Qual è la parte migliore del successo?
Dal punto di vista personale, è restituire qualcosa alla tua famiglia. Dal punto di vista musicale, è avere la libertà di muoversi in qualsiasi direzione, incluso non andare in tour per più di due settimane consecutive. Non vogliamo perdere di vista i nostri figli.
Qual è la parte peggiore?
Non penso ci sia una parte peggiore (ride). Penso che dovremmo smettere di frignare e, invece, essere felici che a qualcuno interessi quello che facciamo.
Chi sono i tuoi eroi?
Quelli che sfidano lo status quo. In ordine sparso: mio padre, James Hetfield, Mark Rothko, persone che ti spingono a essere indipendente, come Marc Benioff (Ceo di Salesforce) o come Ritchie Blackmore, completamente impulsivi: non hai mai idea di cosa uscirà dalla sua bocca e dalla sua chitarra da qui ai prossimi tre minuti. E poi Cliff Burnstein (il co-manager dei Metallica), che mi ha insegnato a pensare in maniera differente, indipendente e fuori dai luoghi comuni.
Perché James Hetfield è un tuo eroe?
È il musicista più figo che ci sia. Ha avuto a che fare con le mie idee per 35 anni, quindi deve essere apprezzato per questo. Il suo talento è vastissimo, non deve essere sottovalutato.
Avete mostrato le vostre debolezze nel docu Some Kind of Monster: come avete imparato ad affrontare i problemi interni alla band?
Ho imparato che non c’è niente di più importante della salute della band. Al posto di forzare le persone a fare qualcosa che non vogliono fare, bisogna sforzarsi di trovare un’altra opportunità per creare qualcosa di figo.
E su te stesso cosa hai imparato?
È stato parecchio doloroso vedere come si sono svolte le cose. Ma ero orgoglioso del fatto che fossimo totalmente trasparenti, che facessimo entrare le persone nel nostro privato. L’unica cosa che mi fa paura di me stesso è il fatto di avere l’abilità di non aver paura.A volte posso essere così insensibile da innervosirmi. Riguardo alla questione Napster (la causa intentata dai Metallica contro il colosso del file-sharing del 2000, ndr), ho preso dei colpi non da poco. Ho imparato a mettermi un guscio da tartaruga per non farmi colpire.
Sei cresciuto in Danimarca. Qual è la cosa più danese di te?
La mia fronte alta? (Ride). Mia moglie dice che sono un tipo accogliente. C’è una parola danese, hygge, che si può tradurre a grandi line come “accogliente”. In Danimarca è una cosa hygge quando inviti a casa gli amici, accendi candele, offri vino e passi del tempo insieme. L’altra cosa è che sono autoironico e voglio spingere sempre verso il limite. È divertente. Devi essere danese per capirlo.
Quale musica ti emoziona di più?
Quella che ha avuto un ruolo nelle esperienze della mia vita. Babylon by Bus di Bob Marley probabilmente sarà per sempre un disco con un significato particolare nella mia vita: è stato registrato in parte durante il Roskilde, in Danimarca, e l’ho ascoltato più volte da quando è uscito nel 1978. Poi c’è anche Kind of Blue (di Miles Davis, ndr). Poi, Master of Reality (dei Black Sabbath, ndr), che in qualche modo perverso mi ricorda quando, a 13 anni, ho provato per la prima volta del fumo nero afgano con i miei amici.
Cosa leggevi da piccolo e cosa ti è rimasto?
Mi hanno suggerito di leggere Mad Magazine nel ’76, mentre viaggiavo con mio padre in America. Mi ha spiegato molto della cultura americana. Sono sempre stato così, un outsider, indipendente, un po’ cinico riguardo al mainstream, e Mad mi ha formato in questo senso.
Cosa stai leggendo ora?
Ho scaricato il libro di Springsteen di recente. Ho letto le interviste su Rolling Stone e su Vanity Fair e ho pensato che fosse doveroso dargli un’occhiata. Amo come scrive, è simile ai suoi testi. È incredibilmente poetico. Mi piace quanto sia aperto riguardo alla depressione e ai suoi problemi.
Qual è il tuo acquisto più folle?
Ci sono stati dei momenti, non così recenti, in cui spendevo un sacco di soldi in vestiti. Spendevo tipo 3.000 dollari per un abito e un paio di anni dopo guardavo nell’armadio e mi dicevo: “Cazzo, che vestito ho preso? Non l’ho neanche mai indossato”. Per fortuna, è qualcosa che non succede più così spesso.
Che avviso daresti al giovane Lars?
“Rallenta. Assorbi tutto. Apprezza quello che ti succede al posto di fare tutto di corsa”. Il contrario di quello che dice Dave Grohl: “Fatto, fatto, passiamo alla prossima”. Sono successe un sacco di cose negli anni ’80 e ’90 che non ho mai vissuto davvero. Siamo andati in Russia nel 1991, nel pieno del crollo dell’Unione Sovietica. Avrei dovuto aprire di più gli occhi e vedere quello che succedeva intorno a me. Non è un vero rimpianto, ma oggi mi fermo un po’ di più a riflettere e penso: “Wow, è incredibile”.