Gli ultimi sei mesi della vita di Laufey sono stati a dir poco surreali. Lo scorso settembre, la cantante e polistrumentista ventiquattrenne ha pubblicato il suo raffinato secondo album Bewitched. A febbraio, il disco le è valso il suo primo Grammy, nella categoria Miglior album vocale di pop tradizionale. «Ho pensato: cosa?! Il mio manager m’aveva detto di preparare qualche parola per un discorso, nel caso avessi vinto. Non l’ho fatto, non m’azzardavo neppure a immaginare che sarebbe accaduta una cosa del genere». E aggiunge ridendo: «Non so, forse è il retaggio cinese di mia madre che mi fa essere sempre umile e mi spinge a non aspettarmi mai nulla».
Una volta incassata la vittoria, Laufey ha iniziato il primo di due tour sold out, in Europa e negli Stati Uniti, che la terranno in giro per gran parte della primavera e dell’estate. E, in autunno, aprirà alcune date per Mitski («Un mio sogno»). Il 26 aprile la musicista islandese trapiantata a Los Angeles pubblicherà Bewitched: The Goddess Edition, versione deluxe dell’album che ha stregato orde di fan e colleghi. Dice lei che nei quattro nuovi brani della Goddess Edition si esprime in maniera più «onesta e diretta» che mai.
«In passato ho mostrato nella mia musica il mio lato divertente e leggero, autoironico, un po’ caustico. Anche se nella versione deluxe certe canzoni sono sarcastiche, penso che rappresentino una continuazione di Bewitched che riflette la mia maturazione come persona».
Questa crescita è magnificamente tangibile in Goddess, title track dell’edizione deluxe, una riflessione sulla femminilità, sulla vita sotto ai riflettori e sulla pressione per mantenere un livello di perfezione impossibile. «È buffo salire sul palco, indossare abiti bellissimi e molto trucco, stare davanti a migliaia di fan ed essere percepita come una dea», dice Laufey. «È un’esperienza intensa. Poi torni a casa, sei sola e non ti senti più una dea. Magari il trucco è colato, non ti senti bene addosso i vestiti, non ti vedi certo come una dea, ma un essere umano».
Su una base pianistica delicata, Laufey canta inizialmente in modo cauta, per poi assumere un tono risoluto di sfida, mentre appaiono i suoni di un’orchestra imponente. “Ora sai che non sono la tua cazzo di dea”, scandisce la cantante in uno dei suoi arrangiamenti più incantevoli ed elaborati. Laufey ha scritto la canzone pensando alla «nuova vita» che conduce (e, spiega, con un certo uomo in mente), ma spera che gli ascoltatori riescano a identificarsi. «È quel che sentono tutte le donne. In pubblico o su Instagram perfetta, a casa non proprio glamour».
Laufey ha conquistato una fanbase fedelissima con la sua miscela singolare di testi d’amore in stile pop moderno e di sonorità che ricordano Ella Fitzgerald e Chet Baker. Come fonti d’ispirazione cita cantautrici come Taylor Swift e Carole King, «donne forti che scrivono canzoni e raccontano le loro storie molto, molto bene».
È anche su TikTok ed esprime apertamente il suo amore per la piattaforma. «Mi sembra che molti artisti tendano a parlare male di TikTok. So che non è il modo più romantico di promuovere la propria musica, ma sono cresciuta in Islanda, che è una roccia galleggiante in mezzo al nulla. Ho frequentato il Berklee College, una buona palestra musicale, ma senza alcun collegamento diretto con l’industria musicale. TikTok e i social media mi hanno dato la possibilità di presentarmi al mondo. E per questo non posso snobbarli».
La sua vita sarà anche cambiata radicalmente nell’ultimo anno, ma Laufey sta imparando a concedersi un po’ di spazio per sé, per rimanere creativa e mantenere lo slancio musicale. «Devo vivere, per poter scrivere. Ma cerco anche di darmi una disciplina e abituarmi a comporre di getto. È sbagliato pensare che si debba aspettare chissà quale ispirazione per scrivere. Bisogna allenarsi a cogliere l’ispirazione sul momento. È una delle abilità migliori che gli autori di canzoni possono sviluppare».
Da Rolling Stone US.