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Laurie Anderson, la vita è un atto creativo

È un’artista vera in un mondo di mediocri. La nostra intervista alla vigilia dello show italiano: l’arte di non prevedere il futuro, ‘O Superman’ nello spot sull’Aids, l’intelligenza artificiale che in un certo senso le permette di scrivere ancora con Lou Reed

Foto: Ebru Yildiz/Nonesuch

Si è lanciata in molteplici forme artistiche riscuotendo ovunque riconoscimenti: dalla musica avant-garde a quella pop, dalle istallazioni d’arte ai libri, dalla regia di film alla scultura. Personaggio multimediale o raccontastorie, come lei stessa si è più volte definita, Laurie Anderson incarna alla perfezione l’idea della art life, la vita intesa come costante atto creativo. «Intendi una vita difficile e miserabile, alla ricerca di idee in grado di torturare il torturato artista?», risponde l’americana, al telefono da New York, nascondendosi dietro a un cliché solo per ridere di se stessa. Brillante performer di spettacoli sperimentali, Laurie Anderson si esibirà al Ravenna Festival il 7 giugno, unica data italiana del tour europeo, accompagnata dal gruppo newyorchese Sex Mob. «Sono spesso in studio a lavorare in progetti solitari così ho pensato che sarebbe stato divertente esibirmi dal vivo, soprattutto con questa band perché capisce bene le mie canzoni: sono pezzi ingannevoli, sembrano facili da suonare ma in realtà non lo sono affatto».

Cresciuta nell’Illinois, la giovane Anderson si dedica allo studio del violino, strumento in cui eccelle, ma poi decide di studiare arte a New York dove emerge tra le figure principali della scena d’avanguardia. Nel 1981 scala le classifiche di mezza Europa con un brano insospettabile: O Superman, otto minuti di arrangiamenti strambi e vocoder, ovvero un filtro elettronico applicato alla voce (sua l’invenzione del talking stick). Poi sono arrivati anche i successi pop, il Grammy, i contributi alla biennale di Venezia, il primato di una residency alla Nasa e una serie performance che sfidano le leggi della categorizzazione. La sua partnership con Lou Reed, suo marito, dura oltre vent’anni, fino alla morte del rocker americano nel 2013; i due erano inseparabili e in un certo senso, lo sono ancora: nell’intervista Laurie Anderson ci spiega in che modo è attualmente impegnata a scrivere con lui un’opera a quattro mani. A Ravenna proporrà sia nuovi che vecchi brani dal debutto Big Science: «Sono parecchio eccitata. Per me è interessante capire cosa significhino oggi certe idee del passato».

Riesco ad avvertire il suo entusiasmo, traspare da una voce vispa, gentile, molto più giovane della sua età (76 anni il 5 giugno). In certe risposte, sento anche l’eco degli insegnamenti ottenuti attraverso decenni di studio su buddismo e meditazione. «Non creo per esprimermi, perché in fin dei conti non so realmente chi sia Laurie, e di certo non sento di doverlo spiegare agli altri. Piuttosto mi sento come un’antropologa che dice: guardate qui, questo è il mio lavoro».

Da dove nasce l’incessante impulso a creare?
Non lo chiamerei impulso, perché non lo avverto come un obbligo, è semplicemente ciò che voglio fare. Trovo il processo creativo molto divertente. Non sono mossa da un desiderio di successo. Il commento migliore che possa ricevere è quando mi dicono che sono riuscita a mostrare sotto una luce diversa qualcosa di già conosciuto.

Big Science quest’anno compie 41 anni, ma era talmente avanti che ancora oggi suona attuale…
Anche a me sembrano canzoni scritte di recente. Al tempo pensavo che forse qualcun altro mi avrebbe seguita scrivendo musica simile, ma in realtà non l’ha fatto nessuno e mi va bene così, non ho bisogno di seguaci.

Sapevi che in Italia, nel 1988, la campagna ministeriale sull’AIDS utilizzava come colonna sonora O Superman? Era uno spot super angosciante ancora scolpito nella memoria di generazioni: la gente si infettava e si formava un alone viola al ritmo del tuo vocoder…
Ah, interessante. No, non sapevo fosse stata usata così. Ma in un certo senso, è una canzone spaventosa perché parla della freddezza della tecnologia, un tema che ho sempre esplorato.

Eppure quando ho scoperto la stessa canzone all’interno di Big Science, mi è sembrato di ascoltarla per la prima volta: cambiato il contesto è cambiato completamente l’effetto. Non ti scoccia che l’abbiano usata in quel modo?
Credo che ogni cosa in grado di generare empatia per gli altri sia un bene. Se invece l’effetto dello spot è stato solo quello di spaventare, allora non credo che la paura generi ripercussioni positive. Per ispirare la gente devi creare qualcosa che dia energia, non che terrorizzi.

Hai intitolato il tour europeo Let X = X. Nel brano omonimo c’è un verso che dice “il cielo è blu, ci sono i satelliti stanotte” e lo scrivevi 41 anni fa. Oggi la gente è più interessata a fissare uno schermo che le stelle: hai visto nel futuro?
Non so leggere nel futuro. Anche se qualche verso dopo, nello stesso brano, dico di riuscirci e lo immagino come un luogo che si trova “70 miglia ad Est”. In effetti se pensiamo al futuro come un luogo, un poco riusciamo a sbirciare, ma prevederlo è impossibile. Molta gente ha una relazione strana col futuro, ovvero cercano di farlo accadere, di avverare i propri sogni. Ma è difficile riuscirci perché è pieno di sorprese e se provi a controllarlo allora ti perdi la vera follia che è la vita.

Quando l’hai capito?
Non subito. Ma ho vissuto gli anni ’60 e in quel periodo chi aveva troppi piani ci faceva pena. La gente che pensava «andrò al college, mi sposerò, farò questo lavoro, questa vita, avrò quest’auto» noi la guardavamo come fosse matta. Volevamo solo danzare in mezzo alla strada e sentirci liberi e abbiamo anche trovato il modo di farlo. Ora è diverso e c’è ancora più gente orientata a pianificare. È come se ciascun individuo fosse una mini corporation con tanto di business plan. Lasciare le cose al destino non è più un’opzione.

Lo è stata per te?
Per me non si è trattato solo di lasciare le cose al destino ma anche di farmi guidare verso opportunità inaspettate, non solo per punto preso ma perché così le cose diventano più interessanti e divertenti. Non vorrei sembrare superficiale, ma cerco di divertirmi parecchio in questa vita.

Sei ancora una fanatica della tecnologia?
Sì, assolutamente. Utilizzo spesso l’intelligenza artificiale, ho appena realizzato un grande show visivo con immagini generate da AI in Svezia intitolato Looking Into a Mirror Sideways. Attualmente lo sto usando anche per un’opera intitolata Arc: è un processo diverso dal solito ed è come servirsi di un collaboratore che non ha regole.

In che modo è diverso?
In un certo senso ho sempre ricorso alla tecnologia per comporre musica, ma è la prima volta che la uso per comporre testi. Sto lavorando con un grande sistema, un super computer che si trova in Australia e dove sono stati caricati tutti i miei testi, saggi e libri. È un sistema che ha completo accesso al mio stile e alla mia storia. Hanno anche inserito ogni cosa che Lou (Reed, nda) abbia mai scritto, detto e registrato, così ora possiamo scrivere canzoni insieme.

Lou Reed era un poeta strepitoso. I suoi testi stanno in pieni con grande potenza anche una volta tolta la musica…
È vero, li trovo meravigliosi. Ma abbiamo anche la musica che fa eco nella testa… Come dicevi prima riguardo O Superman utilizzata come spot contro l’AIDS: il contesto può cambiare l’esperienza. La musica è sempre una collaborazione tra persone, tra l’ascoltatore e l’autore, le due parti danno vita a una cosa a se stante.

Tempo fa guardavo su YouTube una intervista a Lou Reed in cui partecipavi anche tu. Con te a fianco appariva calmo e sereno come non mai in situazioni simili…
Abbiamo avuto una relazione meravigliosa fatta di amore, collaborazioni, amicizia e supporto. Sono stata fortunata, molta gente cerca una storia del genere per tutta la vita senza riuscire a trovarla. Auguro a tutti di poterci riuscire, ma se non dovesse succedere, va bene lo stesso. Sono single da dieci anni ora ed è molto diverso, ma si può comunque avere una vita meravigliosa; ci sono tanti modi per relazionarsi alla gente e imparare dagli altri. Sono una gran patita di insegnanti.

Lavori così tanto con AI, cosa ne pensi del suo avvento? Persino il pioniere Geoffrey Hinton ha da poco lasciato Google dichiarando di essere spaventato dalla potenzialità…
È piuttosto preoccupante pensare a come potrebbe essere utilizzata per far apparire situazioni diverse da quello che sono. Ma esistono anche altre cose che appaiono diverse dalla loro essenza e dobbiamo usare il cervello per fare le dovute distinzioni. Spetta a noi. È una situazione complessa, possiamo restare indifferenti ma non appena qualcuno utilizza la nostra voce per fomentare propaganda nazista o cose del genere, poi cambiamo idea.

Hai fiducia che il genere umano la utilizzi saggiamente?
No, e tu? La useremo sia saggiamente che stupidamente perché siamo capaci di entrambe le cose. Ma è uno strumento potente e ormai non è possibile distruggerlo o riporre il mostro dentro la scatola, dunque tanto vale usarlo per qualcosa di divertente e instaurarci una buona relazione.

La prima volta che sei venuta in Italia era il 1975: suonavi il violino per strada mentre indossavi pattini conficcati su un blocco di ghiaccio…
Ero a Genova per partecipare a una istallazione d’arte, così mi sono esibita in una serie di concerti con il violino per strada accompagnata da un registratore che ripeteva dei suoni in loop. Il blocco di ghiaccio funzionava da timer: l’esibizione sarebbe durata fino a quando si sarebbe sciolto.

Come l’hanno presa tanta stravaganza gli italiani degli anni ’70?
Sono stati un pubblico fantastico: amichevoli, gentili, curiosi, interessati alla musica, ma un po’ confusi dai pattini. Avevo spiegato che era un tributo a mia nonna: il giorno in cui era morta, ero andata in un lago ghiacciato e avevo osservato le papere con i piedi congelati che sbattevano le ali senza riuscire a volare. Non erano concerti annunciati, ma c’era un uomo che sembrava comparire ogni volta che mi esibivo e che avrebbe spiegato la storia al pubblico: «È un tributo al giorno in cui lei e sua nonna erano rimaste ghiacciate insieme in un lago». Non aveva ben capito il mio inglese…

Guardando indietro una vita così ricca di creazioni, per cosa vorresti essere ricordata?
Vorrei essere ricordata dai miei amici come una buona amica.

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