Lazza ha due pregi indiscussi: è uno dei rapper e produttori dal talento più eclettico, sia nella nuova generazione che in assoluto (dove lo trovate, un altro in grado di fare trap e di suonare un notturno di Chopin al pianoforte?), ed è anche uno dei pochi con cui è possibile che una persona “normale” si identifichi. Anche se ovviamente sposa lo stesso immaginario di tutto il resto della scena – come è giusto che sia, visto che ne è uno degli esponenti più importanti del momento – è rimasto un ragazzo tranquillo, simpatico, alla mano, lontano anni luce dal divismo e dal cliché tormentato che contraddistingue la categoria. Tant’è che, se gli chiedi cos’ha fatto in quarantena, oltre a parlarti del suo mixtape J che esce proprio oggi, ti racconta ridendo che «mi sono impegnato a migliorare la mia immagine, perché non riuscivo più a guardarmi allo specchio: mi sono messo a dieta e ho fatto un botto di esercizio! Era arrivato il momento di dedicarmi un po’ a me stesso». Anche perché non si fermava un attimo dal 2017, anno di uscita del suo album di debutto Zzala (seguito poi nel 2019 da Re Mida, pubblicato anche nelle versioni Aurum e Piano Solo). «Per scelta, in realtà», spiega. «Prima del mio debutto discografico me la vivevo così male che mi è capitato di pensare che non mi fermerò mai più».
In che senso, te la vivevi male?
Non riuscivo a trovare la quadra e il metodo di lavoro giusto, e non è bello avere la sensazione di avere perso il treno, perciò cerco di non perdere la concentrazione sull’obbiettivo neanche per un secondo. Da Zzala in poi la mia carriera è stata sempre in ascesa, per fortuna, e vorrei che le cose continuassero così. Sono molto contento, perché la costanza mi ha premiato: nell’ultimo periodo sono stato presente nel disco di tutti gli artisti che stimo, praticamente, e questo per me è un grande riconoscimento.
Cosa avresti avuto in cantiere, in un ideale 2020 senza Covid?
Tante cose. Innanzitutto un sacco di concerti, che purtroppo sono stati sospesi e rimandati a data da destinarsi. Un po’ mi rode il culo, se devo essere onesto. Non tanto per una questione economica –oddio, anche per quella, in realtà, perché si tratta pur sempre del mio lavoro –, ma perché mi piace tantissimo suonare, e il fatto che me lo impediscano mi destabilizza parecchio. È l’unica cosa che so fare bene e se mi togli la possibilità di stare sul palco, mi togli l’aria che respiro. Nella mia musica l’aspetto live è la cosa più importante, perciò questo stop mi ha colpito molto.
Non hai pensato a delle formule alternative, come tanti altri tuoi colleghi?
Non riuscirei. Il mio live richiede una situazione in cui la gente è in piedi e coinvolta: anche se fossero solo un centinaio di ragazzi, se potessero muoversi e ballare, troverei il modo di farli sentire come se fossero in mezzo a una folla di migliaia di persone e a farli divertire. Ma se dovessi suonare davanti a 500 spettatori seduti, che vorrebbero muoversi ma non possono, dopo un po’ mi scenderebbe tutto l’entusiasmo. E anche a loro, ovviamente. Idem per i concerti in streaming: dovrei provare, perché dare giudizi alla cieca sull’argomento è come dire che non ti piace un piatto senza averlo mai assaggiato. Così a pelle, però, ti direi che probabilmente sarebbe una merda, per me. Il bello dei concerti è proprio l’idea di aggregazione. Guardarti un live in cameretta da solo non mi sembra molto divertente, e non sarebbe divertente neanche per me suonare davanti a un casino di fan, ma senza poterli vedere.
Da qui l’idea di portare avanti il tuo progetto con un mixtape.
Nato completamente durante la quarantena, sì. Sono sempre stato iper-produttivo, non mi passa mai la voglia di fare nuova musica e pretendo molto da me stesso, perciò era naturale che mi rimettessi subito al lavoro. L’ho registrato in parte a casa, ma come tutti i lavoratori autonomi che hanno dovuto continuare a sbattersi anche durante il lockdown, mi sono munito di documenti, autocertificazione, fotocopia del contratto con Universal e una lettera dell’avvocato che attestava che mi spostavo per esigenze lavorative. Mi hanno fermato una volta sola, però, e solo perché avevo fretta e sono entrato in una rotonda come un pazzo (ride). Per fortuna sono stati molto gentili e, dopo avermi chiesto dove ero diretto, mi hanno solo raccomandato di andare piano.
Siccome in Italia c’è ancora parecchia confusione in merito, se tu dovessi spiegare a un neofita qual è la differenza tra un album e un mixtape, cosa diresti?
È la stessa differenza che c’è tra un concerto e un dj set. Nell’album ci sono canzoni che sono adatte a essere suonate durante un concerto: quelle che spaccano, quelle d’atmosfera in cui la gente accende i telefoni e alza gli accendini, quelle riflessive. Nel mixtape, invece, ci sono i pezzi che suonerebbe un dj in un club, per far ballare la gente o farla prendere bene. Per J ho voluto prendere a modello i tape americani, quelli che servono per mostrare il tuo stile e in cui magari ci sono quattro o cinque rapper che si alternano su ogni traccia. In Italia la soglia dell’attenzione purtroppo è molto più bassa, quindi è più difficile fare pezzi che durino cinque minuti e abbiano cinque voci diverse, perciò mi sono accontentato di un solo featuring per ogni traccia.
A proposito, l’unico nome non noto della tracklist è Rondodasosa. Chi è?
È un rapper di San Siro giovanissimo, ha compiuto 18 anni un mese fa, che ho conosciuto per caso una sera e mi ha colpito molto. Mi ha ricordato molto me quando avevo la sua età e mi piace molto la sua musica: non ho voluto fare l’errore che fanno molti nomi già noti, quello di pensare “Sì, è bravo, ma meglio se non lo considero troppo e me ne resto sulle mie”. Sia chiaro, non l’ho incluso per fargli un favore: con questa collaborazione gli sto dando un’esposizione maggiore perché penso che se lo meriti. Non faccio beneficenza.
In America molti mixtape si fanno utilizzando strumentali già edite e spesso già famose, che il rapper di turno riutilizza a modo suo per omaggiare i pezzi e gli artisti che lo hanno più influenzato. Da noi è più raro, anche per una questione di diritti, ma se avessi potuto farlo, quali avresti scelto?
In questo periodo, credo che avrei preso un po’ tutti i beat di Pop Smoke.
Che è un rapper di Brooklyn morto qualche mese fa a soli 21 anni. Come ti fa sentire il fatto che sia arrivato in top 10 in Italia solo con l’album postumo Shoot for the Stars, Aim for the Moon? Prima dalle nostre parti non se lo filava nessuno, a parte una manciata di super nerd del rap…
Purtroppo è sempre così, la gente si accorge che uno spacca solo dopo che è morto. Alla notizia che erano entrati in casa sua e gli avevano sparato al cuore, tutti sono andati a sentirsi per curiosità la musica che faceva e si sono accorti di quanto era bravo. Chiaramente noi addetti ai lavori conoscevamo già bene la sua roba, e a me personalmente piaceva da tempo, tant’è che nel tape c’è anche un beat – quello di Moncler, con Pyrex e Gué Pequeno – firmato da uno dei suoi produttori, Axl Beats. È lo stesso che ha prodotto pezzi come Gatti di Travis Scott e Pop Smoke o War di Drake.
Come siete entrati in contatto?
Grazie alla mia faccia da cazzo: non mi faccio problemi a scrivere agli artisti con cui mi piacerebbe lavorare, anche quando sono americani. Mi presento, gli dico che sono fan della loro roba e gli chiedo se gli andrebbe di collaborare: di solito, anche solo per educazione, mi rispondono quasi tutti. Gli ho fatto sentire un po’ di pezzi miei, gli sono piaciuti e da lì è nato tutto.
J è un progetto rap nel senso più filologico del termine, che segue però un progetto molto più sperimentale e “alto”: Re Mida (Piano Solo), in cui il tuo animo di pianista classico incontrava quello di rapper…
Sono molto geloso di questa mia doppia personalità artistica, perché è il mio biglietto da visita e la mia migliore qualità. Se dovessi parlare di me a qualcuno che non conosco, sarebbe la prima cosa che racconterei, e Piano Solo sarebbe la prima cosa che gli farei sentire, perché rappresenta entrambi gli aspetti.
Resterà un esperimento una tantum o mediti di rifarlo, prima o poi?
Il bello di me è che sono imprevedibile: mi sveglio la mattina e faccio ciò che mi passa per la testa. Questo mixtape ne è la prova: avevo in programma tutt’altro, ma siccome avevo voglia di fare un po’ di pezzi molto rap, e alla fine suonavano tutti davvero forti, li ho raccolti insieme e li ho pubblicati. Non escludo che prima o poi potrebbe venirmi voglia di fare un disco intero per pianoforte e voce, e non mi farei problemi a pubblicare anche quello.
Curiosità: la copertina di J ricorda un po’ quella di Cruel Summer, che presentava il roster della G.O.O.D. Music, l’etichetta fondata da Kanye West. È un tributo?
Sai che non ce l’ho presente? Aspetta che me la vado a cercare… (Pausa di qualche secondo, nda) È vero! No, non la conoscevo. In realtà la copertina è comunque vagamente ispirata all’estetica di Kanye, ma non a questa in particolare: avevamo in mente più che altro quella di Watch the Throne. È un artista che adoro in tutto.
Anche come potenziale presidente degli Stati Uniti?
Lo voterei subito (ride)! Scherzi a parte, lo amo perché è geniale ed esagerato, osa sempre e se ne frega di tutto. Si è presentato sul red carpet del MET Gala (in cui è praticamente obbligatorio indossare abiti di haute couture, ndr) con una giacca che costava 40 dollari, e solo per questo è riuscito a far parlare di sé più di qualunque altro invitato. Anche a livello musicale è pazzesco, si rinnova continuamente e non sai mai cosa aspettarti da lui. Non c’è nessuno al suo livello, neanche in America. Non esisterà mai un altro Kanye West.
Come Kanye, tu sei sia rapper che produttore. Ti manca solo di diventare scopritore di nuovi artisti. Prima o poi ti darai al talent scouting?
Non lo so, però in compenso in studio scherziamo spesso sul fatto che prima o poi sarò io a produrre un disco a Low Kidd, visto che lui ha prodotto i miei. Io e lui siamo davvero intercambiabili, dal punto di vista dei ruoli, anche se ovviamente io sono più forte a scrivere e lui come produttore è inarrivabile.
La prossima mossa, quindi, è questa?
Diciamo che nei prossimi mesi non ho intenzione di stare con le mani in mano, ho già bene in mente cosa fare. Ma preferisco lasciare un po’ di mistero.