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Lazza: «Scrivo quando c’è qualcosa che non va»

‘Locura’ è l’album di un rapper che racconta cosa vuol dire avere successo oggi. Il lato oscuro della fama, la rabbia, la difesa della privacy, l’ispirazione nella tristezza, le colpe dei social. «Essere cool vuol dire essere se stessi», dice, anche se poi ti prendono per uno scontroso. «Se volevo essere simpatico facevo il comico». Lazza è nel disco di Lazza. E in questa intervista

Foto: Bogdan Chilldays Plakov

Già lo sappiamo, vero, che Locura, il disco di Lazza uscito oggi, scalerà ogni possibile classifica, sfondando nuovi tetti di streaming e visualizzazioni? Il titolo di un suo album del 2019, Re Mida, è stato alquanto profetico: ogni disco che “tocca” diventa d’oro, beato lui che ancora oggi non si sa spiegare il segreto del successo, ci lascia solo qualche indizio nelle nuove rime: “Ho ancora da scrivere pagine e so farlo sembrare facile” rappa in Buio avanti; “Trasformo in euro la collera” dice in Dolcevita.

Eppure soldi e fama non fanno la felicità, Anche i ricchi piangono, così si intitolava una telenovela messicana anni ’80, una proto Locura a memoria di boomer. Le canzoni, sostenute da un flow sempre azzeccato e potente, sono attraversate da una vena dark, lui solo contro tutti, vittima dei lati controversi del successo, della fama tossica. Nell’editoriale del cartaceo Locura Magazine che accompagna l’uscita di oggi, lo stesso Jacopo Lazzarini scrive che «il brillio degli Ori e dei Platini, per quanto sfavillante, non basta a controbilanciare il peso di tutto ciò che non luccica… Zeri in più, problemi in più… è proprio vero che quando sei in cima alla montagna non ti perdonano niente, non puoi sbagliare: qualsiasi cosa tu dica, ci sarà sempre qualcuno che non sarà d’accordo».

Sono solo fisime da star o c’è qualcosa di più profondo? Abbiamo provato a scoprirlo con questa chiacchierata, una seduta di analisi un po’ alla buona, sincera, talmente sincera da lasciare ancora molti dubbi su chi sia davvero Lazza. Sicuramente è un bravo guaglione da sempre innamorato del rap e della rima perfetta, che paga le tasse e non fa il gangsta… ma non fatelo incazzare chiedendogli un videosaluto nei cessi dell’autogrill.

C’è molto attesa per questo disco dopo il successo e Sanremo. Hai sentito la pressione lavorando? I discografici col fiato sul collo, il pubblico di hater che aspetta il passo falso…
Non mi aspettavo neanche io tutto questo successo, ogni volta che ci penso sono scioccato. Chiaramente un po’ mi ha condizionato, anche se mi piace fare quello che faccio, non lo considero solo lavoro. Non ho avuto pressioni da parte dei discografici, mi lasciano fare, rispettano i miei tempi. E gli hater sono benvenuti, se ci sono solo fan vuol dire che sei uno scemo, non è vero che sei il capo. Devi avere qualcuno a cui non piaci, anche se ci sono hater di diverso tipo. C’è quello che fa la critica costruttiva, «non mi piaci per questo motivo», e lo rispetto. Invece gli odiatori seriali, quelli che mi danno gratuitamente del nano mi danno fastidio.

E tu rispondi? Guè su X non se ne lascia scappare uno…
Da quel punto di vista sono figlio di Guè. Mi spiace che tanti fan di Laura Pausini (che canta con Lazza in Zeri in più, nda) siano andati a ripescare delle vecchie cose mettendole fuori contesto, così giusto per trollarmi. Su X è una gara alla risposta più funny, non c’è cattiveria, è uno sfottò generale…

Foto: Bogdan Chilldays Plakov

Sintetizzando, il tema centrale del disco è: hai fatto i milioni, hai il successo, le macchine e gli orologi, eppure vivi una sorta di depressione, di infelicità e tristezza…
Spesso mi vedono come uno che ostenta, che si compra l’orologio figo, la macchina figa. E dire che sugli orologi faccio un sacco di ricerca, è una vera passione. Se da un lato è vero che comprare un pezzo molto costoso significa che ce l’hai fatta, che stai bene economicamente, dall’altro è collezionismo, c’è chi lo fa coi francobolli, io posso permettermi di farlo con altro.

Anche collezionando orologi, l’infelicità rimane.
Penso troppo, mi faccio un sacco di domande, e poi mi innervosisco e mi incupisco. Ci sono degli episodi che mi mostrano quanto l’essere umano possa essere squallido…

A cosa ti riferisci?
Potrei farti milioni di esempi: dalla richiesta di un fan di fare un videosaluto mentre sto pisciando all’autogrill al tifoso che augura la morte alla mia fidanzata o a mio figlio perché tengo per una squadra diversa dalla sua.

In Certe cose dici di aver visto l’inferno, quale?
In quel caso mi riferivo a uno specifico episodio, quando sono stato operato d’urgenza allo stomaco, mi hanno acciuffato per i capelli, ci è mancato poco, ci siamo spaventati tutti.

Come convive questo tuo lato da outsider scontroso, tipo il mondo non mi capisce, il successo è anche una merda, con la tua ambizione d’essere il numero uno?
Ci sono dei lati del successo che sono una merda, non tutti. Sono fiero di dire che per me andare in tour è come andare in ferie. C’è l’impiegato che lavora tutto l’anno per farsi due settimane di ferie, io lavoro uguale e per me le due settimane di tour sono la vacanza, anche al di là del lato economico: quando cantavo per 1000 euro a data comprese le spese mi divertivo uguale.

C’è un lato più dark in questo disco rispetto a Sirio?
Ho trattato più o meno gli stessi temi con una consapevolezza diversa, mi sono concesso di più, penso che sia più figo essere se stessi piuttosto di fingere quello che non sono.

Questo racconto delle proprie debolezze mi fa pensare a un album di svolta del rap italiano come Persona di Marracash. 100 messaggi, canzone-sfogo sulla tua ex fidanzata, ricorda Crudelia.
Probabilmente io e Marra senza esserci parlati la pensiamo uguale su molte cose. Crudelia non è mai stata una mia reference, anche se è uno di quei pezzi che a chiunque piacerebbe aver scritto. Abbiamo avuto una storia simile, Marra riflette molto su quello che dice e io forse sto imparando a farlo.

È un pezzo molto duro: “scordati che mi conosci”, “scrivevano è fidanzato solo perché finanziavo”.
È un pezzo vero, un flusso di coscienza, non mi piace dire bugie. Sono così come canto.

Dicono che non sorridi mai. Non ti interessa apparire simpatico?
Sorrido nei momenti giusti. Se volevo essere simpatico facevo il comico, e molti comici fuori dal lavoro non sono neanche simpatici. Crescendo ho imparato a difendere la mia riservatezza, non mi piace che entri in confidenza se no ti do il permesso. Non è un atteggiamento da presuntuoso, è un mio diritto: se uno ha una giornata di merda, pensa di potersi scaricare su di me insultandomi dimenticando che non ci conosciamo, ed è tutta colpa dei social. In mezzo alla strada non lo farebbe mai.

In Dolcevita dici che scrivi quando sei triste. È lì, nella tristezza, che trovi ispirazione?
La mia vena artistica viene fuori sempre quando c’è qualcosa che non va. È una cosa molto comune, anche nei musicisti classici: si dice che Chopin fosse un depresso cronico. Quando sono felice di solito sono sul palco, non sto scrivendo.

Hai capito il segreto del tuo successo?
Che sono me stesso?

Musicalmente intendo.
Sono un musicista e tendo a usare la scrittura come uno strumento. Fare una doppia rima è come fare un accordo. Sono di una scuola più vecchia dei miei coetanei, una scuola di rime, sono riuscito a godermi Bassi Maestro e i Club Dogo e ancora adesso quando sono da solo in macchina ascolto Giorni matti.

In Mezze verità dici che quelli come te si sono estinti: chi sono quelli come te?
Mi piace che tutto suoni bene, ma anche dire qualcosa di figo in maniera figa. Questo concetto della tecnica nello scrivere mi sembra si sia un po’ persa. Se io sento il disco di Marracash penso: «Guarda che stronzo! Guarda cosa è riuscito a dire!», e voglio subito provare a dirla meglio. Guè riesce sempre a dire una roba cool in ogni strofa che fa, nei dischi degli altri non fa mai il compitino.

Sia Guè che Marra sono ospiti nel disco, insieme a tanti altri come Kid Yugi, Ghali, Sfera Ebbasta…
Quello con Sfera, Fentanyl, è il risultato del mio viaggio negli Stati Uniti. Sono partito per New York salutando la mia ragazza col muso, pensando che sarei andato lì a fare nulla, ero demoralizzato. Lì invece ho fatto subito un bel giro nelle gioiellerie, da fan del cinema mi sono comprato la collana che indosso nella boutique di Diamanti grezzi, il film con Adam Sandler, e poi sono andato in studio, ho registrato la strofa di Fentanyl e sono andato a Miami a rifare il beat dal producer Foreign Teck e poi sono andato a chiuderlo a Los Angeles.

Foto: Bogdan Chilldays Plakov

Come Sfera in X2VR, anche tu hai scritto un album che parla del successo. Sfera si preoccupava di non perdere il legame con la strada dopo aver fatto il botto: è così anche per te?
Non ho mai perso di vista la strada. Ieri sera sono andato al Muretto (storico ritrovo di freestyle milanese, nda) e sono fiero che ci sia la stessa cosa di quando ero bambino, ai tempi di Emis Killa e Fedez, c’era ancora il McDonald’s con le scale che ora non c’è più. Invito chi leggerà questa intervista ad andarci il mercoledì sera, da spettatore o mettendosi in gioco: il livello è altissimo, ci sono 300 persone, pischelli bravissimi, ci vado spesso.

Dai tuoi social sembri condurre una vita normale, non si capisce neanche se sei stato in vacanza questa estate. Sei lo stesso ragazzo del block solo con nuovi vestiti come canti in Hot?
Sono andato in vacanza, ma mi sono goduto la casa senza fare mille stories, un po’ anche perché non volevo far sapere dove ero, specie quando sono stato a Ibiza: lì è pieno di batterie di ladri, di gente che va “a fare le ville”. Uscivo in barca perché in spiaggia è infattibile, mi riconoscono tutti.

Quanto dell’idea, del pensiero di diventare padre c’è nel disco?
Per nulla, l’ho scoperto alla fine della lavorazione dell’album, ero a Parigi e avevo appena finito di registrare due pezzi, c’era la fashion week e la mia fidanzata era lì per lavoro quindi sono rimasto qualche giorno in più. Diceva di non stare bene, le ho detto di fare un test di gravidanza – stavamo cercando di avere un figlio – e lì l’abbiamo scoperto. Vorrei trovare le parole giuste per fare un pezzo sulla paternità senza risultare cringe, non voglio fare una canzone per finire su Cioè.

Non ci sono tracce politiche o sociali anche se sui social incappo sempre in un video in cui te la prendi con lo Stato che ti chiede le tasse e poi l’ambulanza per tuo padre arriva in ritardo.
Purtroppo i social hanno il vizio di decontestualizzare tutto. Io non sono contro le tasse, mi sta sul cazzo pagare un sacco di soldi che prima non avevo per avere dei servizi che non ho. Sono un ottimo contribuente, non evado un euro, mia madre è bravissima a tenere tutta la contabilità. Mi girano i coglioni quando esco di casa e spacco la macchina perché ci sono le buche, o per la storia dell’ambulanza che è successa a mio padre. Pagherei un extra di tasse se le ambulanze funzionassero e se non dovessi andarmi a rifare i cerchioni ogni tot, invece mi sembra di regalare dei soldi, anche se so che sono fortunato a guadagnare un sacco. È come andare al ristorante e la pasta te la portano sputata.

Una barra vagamente politica forse c’è: in Dolcevita dici che sei il prodotto di questi anni tristi…
Il mio disco è un po’ una lamentela su certi lati della fama che non mi piacciono. Sono anni tristi per via dei social, di internet. Pensa all’intelligenza artificiale, potrebbe servire a un sacco di cose utili invece viene utilizzata per far cantare Cenere a Gerry Scotti. Uno può prendere la mia voce e farmi dire un insulto omofobo o sessista e la gente poi pensa che sia vero.

Toglieresti i social ai ragazzini? C’è un grande dibattito in corso su questo aspetto.
La maturità non si misura in base all’età, ma in base alla testa: mia madre a 16 anni già lavorava, è diventata adulta presto, avrebbe tranquillamente potuto usare i social se ci fossero stati.

Torneresti a Sanremo?
Sì, magari facendo una cosa diversa, potrei fare l’ospite come ha fatto Ibrahimović oppure cantare in coppia.

Sia nella vita che nei testi sei molto clean, lo dici tu stesso, nessun atteggiamento gangsta, non parli di rapine, risse o droga. Cosa ne pensi di chi sostiene oggi che il rap e la trap incitino alla violenza?
Ognuno ha il suo immaginario, non posso dire di condividere le scelte di tutti, ma sono fan di quello che è real: se canti di aver fatto reati, non è bello che tu li abbia fatti, ma è real che tu lo dica. Oggi quello sembra essere il trend, ma spesso chi canta quelle storie cerca solo un modo di redimersi. L’altro giorno ho visto sul palco Baby Gang all’evento Suzuki con Amadeus ed era felicissimo di essere lì, aveva l’espressione di chi pensava «cazzo, questa cosa avrei potuto farla molto prima», perché Baby è bravissimo. Da giovane io volevo spiccare per le rime, speravo che il Club Dogo di turno mi notasse, poi con l’arrivo della trap nel 2016 ha iniziato ha contare più lo stile delle rime e oggi il ragazzino spera di essere cool dando una coltellata, rappando di quello. Essere cool è solo essere se stessi.

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