Rolling Stone Italia

Le Go-Go’s vogliono cambiare il mondo un’altra volta

In occasione del documentario di Showtime e dell'uscita del singolo 'Club Zero', Kathy Valentine e Charlotte Caffey raccontano le origini, l’ascesa, le difficoltà e il ritorno di una delle girl band simbolo degli anni ’80

Foto: Vickie Berndt

«Non ce ne frega un cazzo, non abbiamo paura di nessuno: ripartiamo da zero e cambiamo tutto». La bassista Kathy Valentine e la chitarrista Charlotte Caffey presentano così Club Zero, il primo nuovo pezzo delle Go-Go’s da 20 anni a questa parte: «Abbiamo scritto la canzone per il documentario che racconta la nostra storia, ma soprattutto per noi stesse. Club Zero vuole essere un inno: uniamo le forze, troviamo persone come noi e portiamo avanti il cambiamento».

E dire che le Go-Go’s il mondo lo hanno cambiato davvero. All’inizio degli anni ’80 sono state la prima band formata da sole donne – autrici e musiciste – ad avere successo negli Stati Uniti, Inghilterra e oltre. Attenzione, perché è importantissimo: a differenza delle colleghe, le Go-Go’s scrivevano e suonavano i propri pezzi, pezzi di enorme successo che hanno trasformato cinque punk-rocker di Los Angeles in cinque pop star: un album d’esordio, Beauty and the Beat, al primo posto in classifica per sei settimane di fila negli Usa, almeno tre singoli epocali – Our Lips Are Sealed, We Got the Beat e Vacation – spinti meravigliosamente dall’allora neonata MTV, e due copertine di Rolling Stone, agosto 1982 e luglio 1984.

The Go-Go’s, il documentario diretto da Alison Ellwood per Showtime uscito negli Stati Uniti, racconta proprio le origini, l’ascesa, le difficoltà, i vari ritorni sulle scene del gruppo di Belinda Carlisle, Jane Wiedlin, Gina Schock, Kathy Valentine e Charlotte Caffey.

«Quando ci sei dentro non ci pensi», spiega la chitarrista delle Go-Go’s Charlotte Caffey al telefono da Los Angeles, «ma proprio guardando il documentario ci siamo rese conto di quanto è stato importante quello che abbiamo fatto. È vero, ci sono tante musiciste che hanno cominciato a suonare dopo aver visto noi. E certo che nel music business c’è ancora sessismo, ma abbiamo sicuramente contribuito ad aprire la mente di molte persone, abbiamo aperto molte porte».

Non è un caso che tra le testimonianze raccolte nel film ci sia quella di Kathleen Hanna, cantante delle riot grrrl Bikini Kill, ulteriore prova dell’importante eredità lasciata dalle Go-Go’s. «Per me è stato fantastico sentirla cantare Don’t Talk to Me, una canzone che ho scritto negli anni ’70. Io amo la sua band», racconta Charlotte Caffey.

Don’t Talk to Me non è un pezzo delle Go-Go’s, ma degli Eyes, il primo gruppo in cui Caffey suonava il basso: un classico del punk minore americano. Il giro delle Go-Go’s era infatti quello del Masque, storico locale punk di Los Angeles nella seconda metà degli anni ’70. E la cantante del gruppo Belinda Carlisle, prima di diventare una pop star arcinota anche grazie alla hit da solista Heaven Is a Place on Earth, era stata per un breve periodo la batterista dei Germs, convincente risposta americana agli inglesi Sex Pistols.

Foto: Cassy Cohen

«Vedendo l’esplosione del punk nel Regno Unito, ho capito che quello sarebbe stato il futuro», ricorda la bassista Kathy Valentine. Sua madre era inglese e, per questo motivo, già all’inizio degli anni ’70 era stata in Inghilterra: «Nel 1973 ho visto Suzi Quatro in tv e ho deciso che sarei diventata come lei. Poi, quando sono tornata nel Regno Unito nel ’77, sono entrata in una band, quelle che poi sarebbero diventate le Girlschool».

Avanti e indietro, da Austin, Texas – dove era nata e viveva – a Londra, e infine l’approdo a Los Angeles: «A me piaceva il rock’n’roll, roba alla Stones o Faces. Ma il punk mi ha fatto capire che non era obbligatorio suonare come Jimmy Page o Jeff Beck: potevi mettere su un gruppo anche se non sapevi suonare. Quella di Los Angeles poi era una scena molto varia e inclusiva: c’erano gruppi roots, power pop, surf… Tutti diversi, tutti interessanti».

«Eravamo in 50», ricorda Charlotte Caffey, «uscivamo tutti insieme, andavamo al Masque, facevamo le prove lì, ci guardavamo tutti i concerti. Facevi quello che volevi, potevi essere chi volevi ed è per questo che sono nate le Go-Go’s, un gruppo formato da sole ragazze. Io sono entrata nel gruppo nel ’78, eravamo libere e ci divertivamo. Uscivo dal lavoro e non vedevo l’ora di prendere la chitarra e mettermi a suonare».

Prima di diventare una musicista professionista, Charlotte Caffey lavorava in ospedale: «Ricordo che una volta le mie colleghe stavano raccontando di essere state a Chinatown, dove avevano visto ragazzi con i capelli colorati vestiti in modo assurdo. Tra me e me pensai: “Quelli sono i miei amici”. Non avevo mai detto alle altre colleghe che suonavo in una band, fino a quando ho deciso di mollare. Dissi che andavo in Inghilterra per suonare di supporto ai Madness e gli Specials. Loro risposero: “Vedrai che tornerai gobba”. Io invece pensavo: “Mai, vedrete che non tornerò mai”. E infatti non sono più tornata».

È proprio in Inghilterra che le Go-Go’s ottengono finalmente il loro primo, definitivo contratto discografico con la I.R.S Records, etichetta di Miles Copeland, che le porterà in tournée con i Police: un tour trionfale il cui apice sarà il sorpasso nelle classifiche americane, Go-Go’s al primo posto e Sting & company dietro di loro. Oltre un milione di copie vendute con il disco d’esordio del 1981, Beauty and the Beat.

Charlotte Caffey è l’autrice di uno dei singoli dell’album, la marcia We Got the Beat spinta da un riff di chitarra in bilico tra surf e rock’n’roll. Un gioiello power pop, passepartout new wave: «Quando scrissi quel pezzo mi piaceva, non vedevo l’ora di farlo ascoltare alle altre, ma non potevo immaginare che sarebbe diventato una hit. E devo essere sincera. All’inizio è stata dura. Eravamo cinque donne, non eravamo molto tecniche e nessuna etichetta ci voleva… Era frustrante, ma ci dicevamo comunque: aspettiamo e qualcosa accadrà. E alla fine abbiamo firmato con Copeland e la I.R.S, ed è andata com’è andata».

Kathy Valentine e Charlotte Caffey si erano conosciute a Natale del 1980 nei bagni di un altro famoso locale di Los Angeles, il Whisky a Go Go. Quella sera suonavano gli X, le Go-Go’s erano rimaste senza bassista e quindi Charlotte offrì il posto a Kathy, che era però una chitarrista. «Il giorno dopo mi ha portato una cassetta, mi sono fatta prestare il basso da un amico e ci siamo ritrovati a suonare due concerti al giorno per quattro giorni di fila», ricorda Kathy Valentine: «Così mi sono innamorata delle Go-Go’s».

Piccolo particolare raccontato nel documentario e riportato pari pari da Kathy Valentine al telefono da casa sua ad Austin: «In quattro giorni ho imparato tutte le canzoni delle Go-Go’s, e per farlo mi sono dovuta aiutare con la cocaina. Non che non la usassi per scopi ricreativi, ma in quel caso è stato davvero un aiuto per restare sveglia e studiare: dovevo imparare venti canzoni senza avere mai suonato il basso in vita mia, considerato che ero una chitarrista».

Prima di entrare a far parte delle Go-Go’s, Kathy Valentine suonava in un’altra band, i Textones. Con loro aveva registrato un pezzo power pop, Vacation, diventato in seguito uno dei tormentoni delle Go-Go’s: «Quando ho fatto ascoltare quella canzone a Charlotte lei ha detto subito che la trovava bellissima, ma dovevamo lavorare sul ritornello, e aveva ragione. Però è nel momento in cui canta Belinda che il pezzo diventa una canzone delle Go-Go’s, la sua voce è il nostro marchio di fabbrica».

Il videoclip con le Go-Go’s che facevano sci d’acqua, pompato in televisione da MTV, contribuì a far esplodere la canzone: «Ai tempi non c’erano grandi effetti speciali», ricorda Kathy, «quindi c’eravamo noi cinque che facevamo finta di fare sci nautico davanti all’acqua proiettata su uno schermo, come nei film anni ’60. È grazie ai videoclip che abbiamo avuto un’esposizione senza precedenti per altri gruppi femminili, ma la nostra forza erano comunque le canzoni, ormai grandi classici».

Quella delle Go-Go’s è naturalmente una storia di alti, altissimi, e bassi, bassissimi. Nel documentario, Charlotte Caffey racconta il suo essere stata tossica negli anni ’80: a New York per registrare un album con le Go-Go’s, si perdeva nei bassifondi di Manhattan per recuperare l’eroina. «Non rimpiango nulla, non cambierei niente della mia storia, neanche la dipendenza», dice Caffey. «Ormai sono pulita da 35 anni, significa che doveva andare così. E spero che chiunque soffra di dipendenze capisca anche grazie alla mia storia che, se vuoi cambiare, puoi cambiare».

«Mi dispiace aver gestito male il successo», spiega invece Kathy Valentine: «Le Go-Go’s erano una famiglia, un sogno che diventava realtà, ma quando siamo diventate famose ho cominciato ad avere paura di perdere tutto. Se fossimo state più mature, se ci fossimo prese cura di più l’una dell’altra, sarebbe stato meglio. Però abbiamo avuto la possibilità di tornare insieme, più volte».

Tornate insieme per il nuovo singolo Club Zero e il documentario di Showtime che racconta la loro storia, Charlotte Caffey e Kathy Valentine parlano con lo stesso entusiasmo della batterista delle Go-Go’s, Gina Schock, sicuramente la più esuberante del gruppo. Nel film si ride tanto, anche e soprattutto grazie a lei: «La sua risata è contagiosa». Ma c’è un momento delicato: «Quando le hanno diagnosticato problemi al cuore per cui avrebbe dovuto fare un’operazione, abbiamo deciso di andare a Palm Springs tutte insieme. Avevamo paura, ma ci siamo divertite come sorelle nel bel mezzo di una situazione molto complicata».

Foto: Vickie Berndt

Club Zero è stata scritta a distanza, via mail, tra Los Angeles, San Francisco, Austin, Bangkok e Messico: ogni componente delle Go-Go’s era in un posto diverso, ma nel documentario si vedono Belinda, Jane, Gina, Kathy e Charlotte che provano la canzone sul palco del Whisky.

«Al Whisky ho visto i Blondie che aprivano per i Ramones», ricorda Charlotte, «ma ci ho visto anche PJ Harvey e tanti altri gruppi pazzeschi e concerti favolosi». «È un posto storico», spiega Kathy, «ed è stato significativo tornare lì per girare quella scena perché è dove ho conosciuto le altre, dove ho fatto il mio primo concerto con loro e dove abbiamo fatto la prima reunion. Tutto il Sunset Strip di Los Angeles è molto diverso dai nostri tempi, ma sono felice che locali come il Whisky o il Roxy siano ancora lì, e spero non chiudano mai».

Coronavirus permettendo, le Go-Go’s riprogrammeranno tutte le date del tour che era previsto per l’estate 2020. «Il documentario ci ha avvicinate ulteriormente, ha consolidato il nostro rapporto», dice Charlotte. «La band è ancora più compatta di prima e suoniamo anche meglio rispetto al passato».

C’è solo una cosa che non va: Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti d’America. Club Zero delle Go-Go’s è anche una risposta alle sue sparate via Twitter, alle sue politiche sconclusionate e dannose. «Una persona che dovrebbe guidare il nostro Paese in realtà lo sta portando sotto terra. Sono tempi duri e faremo il possibile per disfarci di lui. Ma, nonostante tutto, ci sono movimenti come Black Lives Matter, che stanno spingendo il cambiamento».

Charlotte da Los Angeles e Kathy da Austin usano parole diverse, ma il concetto è lo stesso: «Siamo stanche, vogliamo che le cose cambino. Non è da noi scrivere canzoni impegnate, ma con Club Zero vogliamo diffondere il nostro messaggio senza fare la predica a nessuno: stiamo dalla parte di chi vuole cambiare questo mondo».

Iscriviti