Vallo a capire, Dargen D’Amico. Se non fosse bastata la sua labirintica carriera, il rapper dall’occhiale da sole ha deciso di rimescolare ancora le carte in tavola, chiudendosi in studio con Isabella Turso, pianista, Tommaso Colliva, produttore, e una squadra sempre diversa di musicisti, per incidere Variazioni, punto più alto del suo cantautorap. Ripercorrere la sua storia è una sfida con i generi e con la forma canzone, visto che ogni disco pubblicato (siamo all’ottavo) è una sorpresa e un cambiamento profondo. «Questo è diverso dal solito, è impegnato e impegnativo. Trovarsi a lavorare con due come loro, con una forte personalità, è stato un grande stimolo e una grande fortuna. Ma comporta che ogni volta devi avere lo studio giusto, il piano, gli archi, gli ottoni». Fa sorridere vedere Dargen impegnato a fare musica con i musicisti, lontana da quella “da luogo di cultura, col posto a sedere non cedibile”, di cui parlava nel suo primo lavoro solista, più di 10 anni fa. Ha conosciuto Isabella Turso durante «un surreale evento benefico, con Barbara D’Urso. Parlavamo di musica, ascoltavamo cose complici, non uguali, ma che si parlavano».
E l’ha aiutato a scardinare le sue credenze, in qualche modo. «Ero abituato male: è stato impegnativo ed educativo. In più ho messo in mezzo anche la scrittura di un libro. Di solito abbandono per pudore, mi chiedo: “Il mondo ha bisogno di un mio libro?”, e ogni volta dico di no. Mi ha obbligato Francesco Gaudesi (socio nell’etichetta Giada Mesi, ndr), mettendo in vendita un’edizione con libro e disco». Obbligato non a scriverlo, sia chiaro, ma a finire il lavoro. Perché Dargen non ha certo bisogno di essere spinto a scrivere. «Ho iniziato a fare musica, perché mi interessava la scrittura, è uno sfogo. L’importante è scrivere. Il resto viene dopo: con la musica è un dialogo sensuale, un gioco. La faccio vestire da infermiera, poi da maestra…».
Dal già citato Musica senza musicisti, ma in realtà dalle Sacre Scuole, il gruppo creato con Fame e Il Guercio (ovvero Jake La Furia e Gué) negli anni ’90, il lavoro di Dargen è sempre stato camaleontico. Fregandosene delle caselle di genere. «È una fortuna e una deformazione. Non sempre è un bene per chi mi segue. Non sono più “quello di Mi Fist”, come direbbero i Dogo. Ma ogni step fa parte di un percorso, è un rischio. Fare musica in Italia è un rischio gigantesco. Non lo consiglio a nessuno».
Questo ruolo di chioccia gli viene naturale. O meglio, tantissimi quando parlano dei loro punti di riferimento per quanto riguarda la scrittura fanno il suo nome, a partire dai più giovani. «Penso che Tedua, Rkomi e Izi siano nomi importanti, che mettono la musica davanti all’estetica. Mi sento vicino a loro, con vissuti diversi, ovvio».
Di recente, sul suo Instagram è apparso un meme, anzi un auto-meme, creato da lui («sono molto orgoglioso»), che lo ritrae in studio, disperato per “Quando citano Nostalgia Istantanea nelle didascalie per i selfie delle natiche”.
«Mi fa ridere vedere come le cose si trasformino, prendano strade non previste. Negli anni, è capitato di vedere sempre più sbarbati e sbarbate che postavano foto del sole scrivendo sotto che “non scalda uguale”. Se lo leggi scorporato è un claim perfetto, magari l’ha citato qualcuno, non conosci neanche il pezzo, ma funziona. Non avrei mai pensato di poter diventare un hashtag».