Amore indiano è una hit da estate indiana, dunque estate di San Martino, non un’antiestate, ma un’estate malinconica, più commossa che sudata, più d’amore che di consumo ed esce oggi pronta a vedersela, dicono i suoi due padri, con il reggaeton e le love song da spiaggia che impazzeranno in classifica. È una ballatona dalla struttura classica che racchiude in sé la più grande qualità estetica possibile della forma canzone: sembrare all’ascolto qualcosa che già conosci e hai dentro e, al contempo, sorprenderti grazie alle sue intuizioni melodiche, al modo in cui è vestita, con il gusto che solo sa avere un brano quando funzionerebbe anche completamente nudo, piano e voce.
A scrivere Amore indiano sono Francesco Bianconi e Tommaso Paradiso, una coppia che non vi sareste aspettati ma che, come diceva il poeta, ha tutte le carte in regola per essere qui a cantarvi nelle orecchie un pezzo che è il primo coranamento ufficiale di un’amicizia nata anni fa su un treno italiano ad alta velocità e che poi è cresciuta a passo d’uomo, con la lentezza acclusa alla cura delle cose vere.
«Eravamo soli, due solitudini sullo stesso treno, lui si è avvicinato a parlarmi ed era la persona insieme più timida e più coraggiosa e spontanea che mi si fosse mia presentata: ho visto un po’ di me in lui, la mia parte schiva e anche quella appassionata. Abbiamo fatto mezzo viaggio insieme, poi ci siamo iniziati a incontrare per scrivere canzoni».
A parlare è Francesco, lo fa in questa videochiamata a tre sull’asse Milano, Berlino e Pienza da cui Tommaso subito si unisce: «È stato un diesel il nostro rapporto, sia con Francesco che poi con Rachele è stato tutto sempre voluto, cercato e, a distanza di anni da quel viaggio in treno in cui ero timido, la nostra è diventata un’amicizia vera, duratura, che ci ha fatto arrivare a trovarci pienamente amici nel tempo, una cosa cercata, giusta. Non ci siamo fatti mai le foto su Instagram, io e Francesco, ma ci vediamo, parliamo, lavoriamo, non pubblichiamo niente, ma discutiamo di Lynch e di Kubrick, non sono molti nel nostro mondo con questo bagaglio di interessi comuni per davvero, pronti a essere condivisi».
Legati entrambi all’armonia, al gusto per il classico, ai grandi maestri, a tutta una grandiosa esperienza musicale del passato e del presente che li unisce, Tommaso si dichiara apertamente un grande studioso delle canzoni dei Baustelle, mentre Francesco sottolinea il comune fascino primigenio per il pop e per la molteplicità di modi con cui la forma canzone, che è chiusa, può essere aperta e può rinnovarsi, grazie a diversi stratagemmi.
«I nostri stratagemmi sono diversi, ma abbiamo in comune questa devozione direi quasi religiosa nei confronti della canzone. Per questo siamo reciprocamente affascinati da come ci muoviamo in questo solco. C’è una comunanza che ho individuato subito, fin dalle prime cose dei Thegiornalisti. Scrivere canzoni è meraviglioso ma anche molto difficile da fare, una cosa che ho capito di Tommaso è il suo talento pazzesco, avevo già scritto con altri ma lui è vulcanico, ha diecimila idee tutte buone: può succedere che quando ti trovi con una persona con un piano o una chitarra nella stessa stanza non venga nulla. Lui ha una facilità, ha un talento melodico straordinario. Ero nella stanza con una persona piena di idee, con la visione, e il mix in testa come spesso abbiamo noi Baustelle, o come quando i grandi registi dicono che hanno già il montaggio in mente mentre stanno girando». Al lavoro in studio, insieme alla band, anche il fido Matteo Cantaluppi, uno dei massimi ideatori e produttori del new sound italiano che negli ultimi quindici anni ha riportato qui il passato glorioso della nostra canzone fondendolo con nuove chiavi sonore, dalla timbrica all’arrangiamento.
Amore indiano è stata scritta per il piacere di scrivere qualcosa insieme, senza essere mai stata finalizzata a diventare un featuring ma col desiderio di mettere a punto una Long and Winding Road dove le strade restano ventose e separate per unirsi nel desiderio e nell’intento più magico dell’impresa amorosa; sarà l’unico feat del prossimo album di Tommaso Paradiso, in uscita il prossimo autunno, ma per il momento è il manifesto antistagionale di un comune sentire e creare canzoni, dice Paradiso, «è una fase in cui le parole, il verso, lo slogan hanno molto preso il sopravvento, ed è bello entrare in studio con qualcuno che pensa alle settime, alle pentatoniche, non abbiamo fatto la scuola di Morricone e Petrassi ma anche solo poter scrivere tra musicisti, oggi, è una rarità».
Oggi, insieme al pezzo, arriva il video scritto da Francesco e Tommaso e diretto dal fido collettivo YouNuts!. Io, nel frattempo, mi prendo la briga (e di certo il gusto) di mettere i due autori e amici in una connessione più giocosa, ampia e dolce, provando ad andare oltre questa canzone, oltre le intenzioni, affondando nei gusti, nelle paure, nei desideri, dunque in ciò che si rende, poi, materia musicale di due anime vicine. A metà tra il questionario di Proust e un’intervista doppia ad hoc, dunque, eccoli qua.
La canzone scritta dall’altro che ti piace di più.
Tommaso: Le rane.
Francesco: La fine dell’estate.
La qualità dell’altro che ti ha colpito di più.
Tommaso: L’intuizione.
Francesco: La fantasia.
Il peggior difetto della scrittura dell’altro.
Tommaso: Si copia con i Pulp! Ma questo ha un suo bello eh, perché è anche una cifra, a me fa ridere quando qualcuno per esempio usa l’espressione “sono tutte uguali” per denigrare un artista. Io penso: grazie a dio sì!
Francesco: La voracità, che è una cosa che mi sembra un pregio però penso che possa anche avere qualche controindicazione, ma questo lo sa lui più di me. Forse lui, che è vorace ma anche sintetico, si cura da solo.
Una critica infondata sul lavoro dell’altro che vuoi smascherare.
Tommaso: Magari pensano che Francesco e i Baustelle facciano musica snob, che siano eccessivamente ricercati, invece sono fruibili, pop in accezione alta.
Francesco: Spesso quando si ha molto successo popolare, quello che una volta di diceva nazional-popolare, e la musica diventa leggerissima… ecco, una cosa che vorrei sfatare è questa leggerezza: vorrei dire a loro che Tommaso è un musicista vero, non è roba usa e getta, anche quando è una hit, Tommaso ha ascoltato migliaia di dischi, conosce l’armonia, ha la curiosità specifica del musicista, impara, rimacina e ricrea.
Venditti o De Gregori?
Tommaso: Venditti.
Francesco: De Gregori.
Lilly o Sotto la pioggia?
Tommaso: Lilly.
Francesco: Lilly.
Rimmel o La donna cannone?
Tommaso: Questa è difficile, sono fregato. Quale ha l’intro più bella? La donna cannone, dai, scelgo questa, basta. Ma mi prendo Titanic, volendo.
Francesco: La donna cannone, io non ho dubbi, al di là dell’intro, della melodia, dell’arrangiamento, di tutto, ci sono molto affezionato perché è il primo vinile preso dopo che i miei a Natale comprarono un impianto hi-fi da ricchi, e insieme questo album che poi era un Q-disc… vi ricordate, no?
La qualità che una grande canzone deve necessariamente avere.
Tommaso: Un grande inizio e una grande fine.
Francesco: La sintesi tra melodico e imprevedibile.
Quale caratteristica detesti di come si scrivono oggi le canzoni?
Tommaso: La prima tragedia, diciamo così tra virgolette, è che non sai cosa ti sta dicendo chi canta, cosa ti sta davvero raccontando, perché spesso dà voce a un gruppo di autori che sono sempre gli stessi per quasi tutti, quindi si perde la componente intima, di trasmissione di un sentire al pubblico, che è quello specifico di chi scrive. Il secondo problema è che la tecnologia, che pure amo tantissimo perché non sono minimamente passatista, sostituisce spesso la conoscenza dalla musica, e questo alla lunga, ovviamente, è un problema.
Francesco: Il procedere per cliché e per imitazione. I ragazzi hanno meno possibilità di sbagliare, scrivono per imitazione del mondo e non per opposizione, e così si crea un tappeto di canzoni tutte uguali senza quell’elemento del diverso, del deviante, che la canzone deve portare, che sia Walk on By di Bacharach, La donna cannone o il primo album degli Oasis.
Ecco, allora beccatevi questa: Oasis o Pulp?
Francesco: Pulp.
Tommaso: Oasis.
Beatles o Kinks?
Tommaso: Beatles.
Francesco: Beatles, con buona pace dei fratelli Davies.
McCartney o Lennon (ammesso che si possano scindere)?
Francesco: Lennon miglior cantante rock della storia. Plastic Ono Band è uno dei miei dischi preferiti in assoluto nella storia, mi fa piangere come un vitello ogni volta.
Tommaso: Io ti dico un’altra cosa: sono un fan malato dei Beatles, ma l’intera discografia di Lennon solista è proprio ineguagliabile nella storia.
Se non scrivessi canzoni, cosa scriveresti?
Tommaso: Film, sceneggiature.
Francesco: Anche io, scriverei un film.
Il tuo film coperta di Linus, quello che ti rivedi sempre come una coccola?
Tommaso: Ne ho due che vanno sempre insieme, la mia fidanzata non ne può più e mi sta per tirare sassi sul televisore. Miseria e nobiltà, che è una commedia di Plauto, e Totò, Peppino e la… malafemmina. Sono i due film che voglio vedere prima di tirare le cuoia.
Francesco: Ci sono film che amo e non rivedrò mai più, penso a Salò di Pasolini o a certe cose di Lars von Trier, ma se parli di quella cosa lì del rivedere ti dico anche io Miseria e nobiltà, e per questioni affettive – l’ho visto al cinema Pendola a Siena e mi sconvolse, mi parve nuovissimo e ancora oggi mi fa divertire tantissimo e mi dà cose che pochi altri film mi danno – Pulp Fiction.
La qualità della scrittura dell’altro che vorresti avere e non hai.
Tommaso: Il lessico ricco e variegato.
Francesco: La sintesi.
Pezzo preferito di Vasco Rossi?
Tommaso: Va bene, va bene così, anche se nella mia playlist ho Un gran bel film di un Vasco più maturo ma che trovo grandioso. Secondo me Vasco comunque dovrebbe provare a chiamare Malavasi per le prossime cose che farà per dare loro quella sfumatura non dico anni ’80, ma che abbia qualcosa che ricordi quel mondo lì.
Francesco: Sono d’accordo, io dico che Cosa succede in città è un disco bellissimo, di cui amo molto T’immagini. Comunque in prima posizione, scusate, ma metto Vita spericolata.
Cosa ti rende felice in questo momento?
Tommaso: La ristrutturazione di una casa che inseguivo da tre anni, un casale di campagna proprio sopra il mare, vado lì ogni giorno con gli operai e questa cosa se fossi Peter Pan sarebbe un mio pensiero felice.
Francesco: Molto semplicemente l’essere in amore e in pace dopo una vita spericolata… travagliata. Mi sento innamorato in un momento di pace e questa cosa mi dà tantissima gioia.
L’artista che avresti voluto essere quando suonavi da piccolo?
Tommaso: Io volevo essere Liam Gallagher e basta, ma poi, crescendo, Noel.
Francesco: Io, che sono più anziano, volevo essere un ibrido tra Federico Fiumani, Joey Ramone, Lou Reed e Bob Dylan periodo elettrico.
Chitarra o synth?
Tommaso: Chitarra.
Francesco: Massì dai, chitarra anch’io, è il primo strumento che ho cominciato a suonare.
Woody Allen o Carlo Verdone?
Francesco: Tutto si collega, a proposito di film che si rivedono: avrei potuto dirti poco fa Un sacco bello di Verdone, perché lo rivedo spesso. Non so se lui l’abbia rinnegato, perché poi ha fatto film più woodyalleneschi, più d’autore forse, ma per me quel film è malinconico e bellissimo, mi fa ridere e piangere al contempo, con la colonna sonora di Morricone, la sceneggiatura di De Bernardi e Benvenuti. Quindi dico Verdone, per campanilismo e amore per quel cinema. Non conosco lui, ma mi sembra una gran persona.
Tommaso: Dico Verdone ovviamente, io ho avuto l’onore di conoscerlo ed è una persona straordinaria, una disponibilità imbarazzante. Una volta, forse avevo bevuto, lo chiamai e gli chiesi: “Carlo, senti, mi accompagneresti all’asta del Fantacalcio che voglio fare una sorpresa ai miei amici?”. E lui fa: “Ma sì certo, che problema c’è?”. Così sono andato a prenderlo, l’ho portato, si è fatto la foto con tutti i miei amici, poi l’ho riaccompagnato. Solo per darvi l’idea.
Una cosa che vi fa paura.
Tommaso: Io ho paura delle ore della mattina prima di mezzogiorno quando non ho da fare nulla e sono da solo, la nostra testa e il nostro corpo partecipa di tante situazioni con i concerti e con il pubblico. Quello, quando chi amo lavora e non mi sono ancora messo a cucinare, se non ho nulla da fare, è un momento che mi spaventa. E poi, non di meno, mi fa paura l’ignoranza.
Francesco: Anche io mi unisco a quella paura di quelle ore, forse lo avrai capito, sia io sia Tommaso siamo due iperattivi. Un po’ di anni fa sono entrato in crisi nell’aver a che fare con la paura, soffrivo di attacchi di panico che andavano e venivano, lì ho avuto per la prima volta non paura di quello che sta fuori, ma di quello che c’è dentro di me. Poi ho superato quel momento e ora sto bene. Ne abbiamo già parlato noi due, Giulia, e ne ho parlato con Nicola Lagioia dopo aver letto il suo ultimo libro La città dei vivi, perché ha esorcizzato il mio incubo partecipando a una catarsi di questa cosa. Io però continuo a pensare che la paura io debba averla di me, perché poi, insomma, non si sa mai…
Ultima domanda, di grande giornalismo, che vi ricorderete per sempre: Milano o Roma?
Francesco: Io qua devo dire Milano, io a Milano sto bene, è diventata la mia città, e ti rispondo così, senza nulla togliere al modo in cui Roma quando ci vado mi spezza il cuore. Amore indiano è una canzone tra due poli, potrebbe essere una canzone Roma-Milano.
Tommaso: Per me sono due case, Milano è il lavoro, se sono a Roma è perché sono in vacanza, Milano mi ha dato tutto quello che ho oggi, però quando passeggio sul Lungotevere dei Millini, coi platani, via Margutta, Largo Fontanella Borghese, per me quella Roma lì come direbbe il mio amico, anche se lui parlava del camposanto, è Monumentale.
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Foto: Alessandro Treves
Stylist per i Baustelle: Michela D’Angelo