È difficile non notarlo: un ragazzo alto un metro e novanta con un soprabito blu di Armani, orecchini d’argento e una scia di Chanel No. 5: «Mia nonna ha sempre usato Chanel No. 5, l’ho scelto per lei». Sam Smith passeggia per il quartiere di Knightsbridge, Londra, e fa girare la testa a tutti. Sta andando dal suo parrucchiere, nella pittoresca Motcomb Street: «Il mio sogno è venire ad abitare in questa via. Forse ci riuscirò dopo il quarto album». La gente lo ferma in continuazione: «Lo so che non si fa, ma puoi fare una foto con mio figlio?».
È una delle prime volte che Sam Smith, 23 anni, gira per Londra da quando è diventato una delle più grandi popstar del mondo: «Pochi mesi fa non mi riconosceva nessuno». Si ferma davanti a Harrod’s, dove andava sempre ad ammirare le decorazioni di Natale quando era bambino: «Non sono fantastiche?», dice. «Non quanto la tua voce!», gli grida un uomo di mezz’età. Sam ridacchia. «Stai mandando a casa Adele!», continua quello. È una cosa che Sam Smith si è sentito dire spesso ultimamente. Aumenta il passo, fa una risata nervosa e mi chiede: «Hai sentito?».
È da quando è uscito con il singolo Stay With Me che si parla di lui come “Il nuovo Adele”. Facile capire perché: tutti e due sono inglesi, hanno una gran voce, cantano a cuore aperto delle loro disavventure amorose e non sembrano usciti dalla fabbrica di popstar della Disney. «Adele è la mia Michael Jackson», dice Sam, che è un suo fan da quando ha 16 anni. «Mi dà solo fastidio che la gente non riesca a digerire due popstar che cantano canzoni molto personali e non sembrano delle popstar». Fino a due anni fa Sam Smith lavorava in un bar nel distretto finanziario di Londra e a volte si portava a casa per cena gli avanzi di fish&chips dei clienti. Quando non lavorava, mi racconta, si sedeva sul divano, apriva una bottiglia di vino e cercava di trovare il coraggio per andare in un gay bar da solo. Ha raccontato la solitudine di quel periodo in Stay With Me, una confessione in stile gospel sulla sensazione di vuoto che provava dopo il sesso occasionale: «Ho fatto molte one night stand, ho incontrato persone pessime, gente con cui adesso non farei mai amicizia».
Si è anche innamorato di un uomo sposato e una notte, da ubriaco, gli ha confessato quello che provava. Pensava di essere ricambiato, invece no. Gran parte delle canzoni del suo album di debutto In the Lonely Hour, tra cui I’ve Told You Now, parlano di questo: «Mi sono innamorato di un uomo etero. Praticamente mi sono messo in trappola da solo». In the Lonely Hour è entrato nella Top 10 in tutto il mondo e ha venduto 3,5 milioni di copie, gli ha procurato 6 nomination ai Grammy e lo ha lanciato nel primo tour in America, con date sold out ovunque, dal Minnesota al Madison Square Garden di New York. Grazie a quel disco, Sam è entrato nel mondo che ha sempre sognato, fin da quando era un ragazzino di paese: si scambia messaggi con Rihanna («Cazzo, la amo!»), ha cantato con Bono, Seal e Chris Martin per il progetto benefico Band Aid di Bob Geldof («Surreale. E Seal è veramente figo»), è stato invitato al compleanno di Taylor Swift («Mi ha fatto tenere in mano il suo Grammy») e si è scambiato suggerimenti sui ristoranti di Parigi con Jay-Z e Beyoncé. Oltre ad essere chiamato a cantare la colonna sonora dell’ultimo film di James Bond.
Oggi è un po’ stressato, perché non ha ancora trovato il tempo di rispondere a una mail di Elton John. Taylor Swift si ricorda ancora di quando lo ha chiamato per aprire il suo concerto alla O2 Arena di Londra l’anno scorso: «Stavamo facendo il soundcheck, e a un certo punto lui ha cominciato a cantare. Io e la mia band lo sentivamo nelle cuffie, ci siamo fermati tutti e ci siamo guardati in faccia sconvolti. Non ci potevamo credere, era meglio del disco». Beyoncé ha detto che la sua voce «è come il burro». Il suo coautore Jimmy Napes ha una spiegazione tecnica: «Tutti i cantanti hanno un punto morto nella voce tra la tonalità piena di petto e il falsetto. Sam invece canta sempre a un’altezza impossibile. Quello che gli altri fanno in falsetto lui lo fa di petto, con una potenza incredibile. È un talento unico». Esce dal parrucchiere dopo circa un’ora, la sua scodella di capelli è solo un po’ più corta.
Torniamo nella via dei suoi sogni, ci sediamo in un bar e lui ordina una birra. C’è anche Napes. Non può trattenersi a lungo con noi. Arrivano altri membri del suo giro: i tre manager, la sorella Lily e la sua coinquilina Tiffany, una brunetta stilosa, oltre che migliore amica. Vivono insieme da quattro anni, recentemente si sono spostati in un appartamento nell’East End che si affaccia sul Tamigi in cui Sam ama passare il tempo facendo lunghi bagni nella vasca e ascoltando Lana Del Rey.
Non si vedono più così spesso come prima, quando si ritrovavano a casa dopo il lavoro, mangiavano pollo fritto e guardavano le puntate di Lost. Sono anche andati insieme vestiti in modo assurdo a guardare il matrimonio di William e Kate su uno schermo gigante ad Hyde Park: «Ci siamo scolati una bottiglia di vino alle 5 del mattino, stavamo quasi per vomitare e abbiamo passato gran parte della cerimonia a dormire sul prato», racconta Smith. Salgono tutti in macchina per andare in uno dei migliori ristoranti indiani di Londra, il Gymkhana di Mayfair. «È la mia Ultima Cena», scherza Smith mettendosi in posa per una foto. Ordina un Ooty Town Gimlet, un drink molto dolce a base di liquore di zenzero decorato con petali di rosa, e un po’ di bottiglie di vino rosso. Quando esce, Sam Smith fa serata. Alla fine il conto è così salato da far arrabbiare i capi della sua etichetta: «Sforo sempre il budget, mi uccideranno», dice. Il salvaschermo del suo telefono è una foto di lui con a fianco il sedere di una spogliarellista. Quando In the Lonely Hour è uscito in America, ha festeggiato bevendo Martini e tequila tutta la notte e ha finito la serata «saltellando come un pesce» sul pavimento della sua stanza d’albergo, mentre un’amica gli rovesciava addosso bottiglie di acqua Fiji. «Il giorno dopo ero ospite da David Letterman, se ti capita di vedere la puntata noterai che non ero in forma».
Quando ha 13 anni, un ragazzo a scuola gli chiede se è omosessuale. «L’ho guardato e gli ho detto solo: “Sì”»
Sam Smith è cresciuto in un’antica casa del 1600 a Great Chishill, un villaggio nelle campagne inglesi vicino a Cambridge. Sua madre, Kate Cassidy, era una trader della Tullet Prebon, una società di brokeraggio quotata in Borsa a Londra, suo padre un personal trainer che si è sempre occupato della casa e dei figli. «Mia mamma e le mie sorelle sono donne forti che mi hanno influenzato parecchio. Ho un lato femminile molto sviluppato». A 9 anni i suoi genitori gli regalano un microfono e un amplificatore usato. Suo padre prepara la cena e lui in salotto canta pezzi di John Legend, Norah Jones, Britney e Beyoncé. Ogni volta che invitano amici a cena, la serata finisce con lui che canta: «Quando lo racconto la gente pensa che siano stati genitori pressanti, ma non è così». Sam prende lezioni di canto e recitazione e partecipa anche a una versione per bambini di The Rocky Horror Picture Show: «Era una piccola celebrità, in città parlavano tutti di lui», racconta Tiffany. Alla fine, grazie al suo insegnante di teatro, arriva nel West End di Londra, canta negli spettacoli per bambini e viene scritturato nel coro del musical South Pacific: «La mia prima volta nel mondo dello spettacolo: il camerino, i complimenti… una sensazione da cui sono diventato dipendente». Quando ha 13 anni, un ragazzo a scuola gli chiede se è omosessuale. «L’ho guardato e gli ho detto solo: “Sì”. E da quel momento la mia vita è cambiata». I compagni di scuola lo accettano, la sua adolescenza è: «Felice all’80%». Un giorno scrive una lettera d’amore «molto intensa» a un ragazzo più grande.
Lui è eterosessuale, ma risponde con una lettera molto gentile in cui gli dice che lo vede solo come un amico. «Mi commuove ancora oggi a pensarci», dice Sam con gli occhi lucidi. «Si è preso cura di me e mi ha sempre protetto dagli altri. Avrebbe potuto rendermi la vita impossibile, capisci?». I problemi, del resto, non mancano. Una volta chiede in prestito una gomma da cancellare a un compagno, e lui dopo corre in bagno a lavarla. «Coglione! spero che legga questo articolo», dice. Un’altra volta, mentre è con suo padre, qualcuno da una macchina gli grida: “Frocio”. «Ero imbarazzato per mio padre, posso solo immaginare cosa significhi per un genitore. Vorresti ucciderli. Mi sono sempre preoccupato più delle persone che mi stanno intorno, gli insulti non mi feriscono. Ho imparato a ignorarli».
L’episodio più sgradevole, ironia della sorte, accade subito dopo aver lasciato la piccola città di provincia. Mentre cammina per Londra truccato viene aggredito: «Un pugno sul collo da dietro. Non è stato facile». A 17 anni diventa un fan devoto di Lady Gaga. Quando lei arriva con il suo Monster Ball Tour a Londra, Sam salta la scuola, scrive una giustificazione falsa e si mette in coda davanti ai cancelli della O2 Arena. Viene scoperto e si becca tre giorni di sospensione e una sgridata dai genitori: «Ma lo rifarei subito, senza Lady Gaga non sarei qui adesso». Lady Gaga ha detto che averlo ispirato «è l’esperienza artistica più potente della mia vita. Io sono Sam, lo sono sempre stata».
L’estate 2015 Sam Smith ha fatto coming out in un’intervista, e se la cosa è passata abbastanza inosservata vuol dire che i tempi sono cambiati. Le critiche più grandi sono arrivate dall’interno della comunità gay, soprattutto quando Sam ha dichiarato di essere contrario alle app come Grindr e Tinder e di volere che «la mia musica sia ascoltata da tutti». «Sono solo una persona romantica», si difende lui, «credo che con Grindr e Tinder si perda tutto il romanticismo scorrendo via la faccia di una persona in un attimo. Molti degli uomini che ho amato non erano belli. Su Grindr li avrei cancellati». Poi aggiunge: «Sto cercando di dire qualcosa, di cambiare la mentalità della comunità omosessuale. Ho sempre detto di voler essere un cantante, non un cantante gay perché sono gay. Capisci cosa voglio dire? Voi eterosessuali parlate tutto il tempo della vostra eterosessualità?»
Nel 2008, quando ha 16 anni, le cose in famiglia cominciano ad andare male. Sua madre perde il lavoro e finisce in prima pagina sul Daily Mail: “Banchiere della City licenziato perché troppo impegnata a pensare al sogno pop di suo figlio”. «Non è assolutamente vero», dice Sam. Sua madre ha respinto le accuse e ha fatto causa alla banca. Poco tempo dopo, durante una vacanza a New York, una delle sorelle scopre suo padre mentre manda messaggi a un’altra donna. Il giorno dopo i genitori gli dicono che stanno per divorziare: «Io e le mie sorelle non potevamo fare altro che andare a Central Park, sederci su una panchina e piangere. Poi l’abbiamo superata rapidamente». Ha intenzione di inserire una canzone che parla di questo nel suo prossimo album. Me la fa sentire dal suo iPhone, è una lettera ai suoi genitori intitolata Scars. «Ti piace? È molto profonda, sei la prima persona che la sente al di fuori della mia famiglia. Hanno pianto tutti. Abbiamo fatto finta che fosse tutto ok, ma è una cosa che ci ha colpito».
A 18 anni Sam Smith si trasferisce a Londra e trova lavoro in un bar nella City. Registra anche un pezzo che oggi suona profetico, Little Sailor, e lo fa sentire a Elvin Smith, un cantante che ha visto aprire il concerto di Adele. Elvin diventa il suo manager e lo mette in contatto con Napes: «Mi sembrava di sentire la voce di un angelo». Insieme scrivono Lay Me Down, un pezzo che parla di una storia vera: durante il funerale di un conoscente di suo padre, la vedova ha un infarto e muore qualche giorno dopo. Il pezzo finisce nelle mani dei Disclosure: «Pensavamo fosse una donna», dice uno dei membri del duo, Howard Lawrence. I Disclosure lo chiamano per registrare Latch, un pezzo ritmato molto particolare basato su accordi jazz. Smith sta lavorando al bar quando passa in radio per la prima volta: «L’abbiamo ascoltato al telefono insieme», dice Lawrence. Latch entra in classifica in Inghilterra nell’ottobre del 2012 e passa mesi nella Top 40: «Ha avuto un successo che non ci aspettavamo». La maggior parte di In the Lonely Hour è stato registrato in due settimane, al ritmo di una canzone al giorno, in uno studio ricavato da una vecchia scuola vittoriana nel quartiere di St. John’s Wood, lo stesso dove Adele ha registrato il suo debutto (Smith ha lavorato anche con i suoi due coautori, Eg White e Fraser T Smith). Un giorno Sam e Napes sono a corto di idee, escono a mangiare una pizza insieme all’altro autore William Phillips e si ritrovano a parlare in modo molto schietto della vita sessuale di Sam: «Mi ha veramente preso alla sprovvista», dice Napes. Insieme i tre buttano giù il testo di Stay With Me e lo registrano qualche ora dopo aggiungendo un ritmo molto semplice di batteria e qualche parte di piano e organo. Napes dice a Sam di muoversi nello studio e di cantare le armonie del ritornello cambiando la distanza dal microfono: «Lui si è messo a correre in giro, praticamente ha fatto un coro da solo usando solo la sua voce. Quando abbiamo schiacciato play e il pezzo è partito abbiamo capito che era magico. È stato un momento grandioso, non avevo mia vissuto una cosa del genere».
L’etichetta discografica di Sam prova, secondo Napes, «a far girare il pezzo tra tante mani diverse, ma ritornava sempre indietro. Noi ci dicevamo: “Vediamo se riescono a fare meglio”. Alla fine quello che si sente nel disco è il nostro demo». A marzo 2014 Sam Smith viene invitato al Saturday Night Live, un evento raro per un artista relativamente sconosciuto in America. «Quando l’ho visto al SNL ho capito subito quanto potente fosse il dono della sua voce», ha raccontato Lady Gaga, «ero con il mio fidanzato, stavo per partire in tour il giorno dopo, e Sam era lì che cantava Stay With Me. Ci siamo emozionati. È una cosa unica avere una reazione così viscerale e intensa nei confronti di un artista contemporaneo».
Qualche mese fa è stato fotografato senza maglietta su una spiaggia in Australia: «Quella fottuta foto! Mi ha terrorizzato. Sono molto consapevole del mio corpo, e sono fiero di non sembrare una popstar come tutte le altre però ci sono dei momenti in cui mi dico: “Vorrei avere gli addominali di Justin Bieber”». Ha passato gran parte della vacanza con Jonathan Zeizel, un ballerino che ha conosciuto sul set del videoclip di Like I Can. «Un ragazzo fantastico e molto gentile, pieno di talento». Sono usciti con la popstar australiana Ricki Lee, hanno ballato fino alle 6 del mattino e poi sono andati a fare il bagno nudi: «Poi ci siamo detti: “Forse non dovevamo, il mare qui è pieno di squali”». Nonostante questo, Sam minimizza la relazione con Zeizel: «Ho fatto entrare nel mio letto qualcuno per più di due o tre volte, era da molto tempo che non succedeva» (ma da tempo, l’ufficio stampa della sua etichetta ha diffuso la notizia che non stanno più insieme, ndr).
Lo lasciamo prepararsi per il suo concerto, lo troviamo qualche tempo dopo, impegnato sul palco. Taylor Swift ha ragione: al contrario della maggior parte dei cantanti pop che si devono impegnare al massimo per fare in modo che il concerto suoni come il disco, Sam canta meglio dal vivo. La sua voce è ancora più bella ed esce senza sforzo, con una naturalezza quasi crudele. Lo ritroviamo alla fine del concerto, gli fanno una standing ovation, lui rientra a prendersi gli applausi e sorride. «È stato incredibile», mi dice mezz’ora dopo. «Mi sento sollevato, mi sento potente. L’anno scorso, dopo ogni concerto, ci chiedevamo: “Ti è piaciuto?”. Stasera ce ne andiamo dicendo: “Ti deve essere per forza piaciuto”». Fa una pausa, ricordando l’ultimo momento sul palco: «Ho pensato: “Sono molto felice. Sì, adesso sono molto felice”».
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