L’incredibile intervista ad Axl Rose ai tempi d’oro dei Guns N’ Roses | Rolling Stone Italia
Terapia e pallottole

L’incredibile intervista ad Axl Rose ai tempi d’oro dei Guns N’ Roses

Le risposte a tutte le domande che la gente si faceva mentre la band assaltava il mondo con le canzoni di ‘Use Your Illusion’: l’infanzia in cui ha subito violenza, la terapia regressiva, i casini con Izzy, i ritardi ai concerti, la misoginia. È l’aprile 1992 e questo è un pezzo di storia del rock

L’incredibile intervista ad Axl Rose ai tempi d’oro dei Guns N’ Roses

Axl Rose nel 1992

Foto: Peter Still/Redferns/Getty Images

Pochi minuti fa, stravaccato sul pavimento della villa in cui alloggia a Las Vegas, Axl Rose si lamentava della mancanza di privacy. E forse aveva ragione visto che qualcuno bussa alla porta. Si alza per aprire e trova due fan che sono riuscite a superare il cordone di sicurezza che dovrebbe tenerle lontane dai Guns N’ Roses.
«Spero tu sappia che è stato un gran casino arrivare fin qui per salutarti», dice una.
«Io sono qui perché m’ha trascinato lei», aggiunge la seconda. «Non è che sono una fan dei Guns N’ Roses».

Data la fama di testa calda di Rose, uno s’aspetterebbe un po’ di irritazione o almeno un sorrisetto ironico. E invece il cantante accoglie la coppia sghignazzante manco stesse dando il benvenuto a un gruppo di bimbi che a Halloween fanno il giro di “dolcetto o scherzetto”. Le invita a entrare e, sorridendo, chiede: «Vivete qui? Come vi chiamate? Come avete saputo dov’ero?». Si scopre così che le due han finto d’essere delle squillo per estorcere il numero della stanza a un impiegato dell’hotel. Rose pare sinceramente affascinato dalla storia. Le due restano nei paraggi per un’oretta, con Rose che fa il perfetto padrone di casa: fa battute, offre la cena, ride persino delle loro critiche («Ma quindi domani sarai puntuale o no?»). Se ne vanno immagino convinte che presentarsi a casa d’altri senza essere invitate sia la cosa più naturale al mondo.

È fine gennaio, domani i Guns faranno un concerto sold out e Rose è di ottimo umore. Il fatto che lo sia all’ora stabilita per un’intervista è una specie di miracolo, specie se conoscete l’altra sua faccia. Quand’è sotto pressione oppure è arrabbiato, parlarci significa cercare di schivare dei proiettili. Tende allo sproloquio, si ferma a malapena per prendere fiato, anche il più innocente dei commenti può mandarlo su tutte le furie. Non è per niente piacevole trovarsi in una stanza da soli con Axl Rose e vederlo incazzarsi per via di qualcosa che avete appena detto. Fa venire voglia di andarsene via, e in fretta.

E però, se lo si becca al momento giusto, Rose può essere un conversatore disarmante e formidabile. Quand’è rilassato, sembra che si compiaccia della sfida che un’intervista comporta. Farlo innervosire è praticamente impossibile. Ditegli che gran parte del pubblico lo considera viziato e lui vi sorprenderà dandovi ragione. Informatelo che un personaggio dell’ultimo romanzo di Stephen King lo descrive come uno stronzo e lui vi chiederà se è un personaggio buono o cattivo. Più la questione è spinosa, più offre la sua opinione in modo convinto.

Nel corso della nostra chiacchierata affronta temi decisamente ostici. Parla dell’uscita dal gruppo di Izzy Stradlin alla fine dell’anno scorso. Dei suoi ritardi ai concerti, della guerra coi media, della reputazione di misogino, omofobo e bigotto. Parla per la prima volta in modo dettagliato dei traumi infantili che con ogni probabilità hanno giocato un ruolo importante nel plasmarne il carattere instabile. Di alcuni ricordi decisamente inquietanti che hanno a che fare col suo padre biologico e che sono riemersi durante una terapia di regressione. E rivolge gravi accuse al patrigno. (Non è stato possibile trovare il padre naturale di Rose per avere un suo commento; i suoi parenti pensano sia morto. Il fratello di Rose, la sorella e un amico di famiglia hanno confermato le accuse mosse dal cantante al patrigno. La madre e il patrigno di Rose non hanno voluto commentare).

L’ho visto parlare in modo dolce e riflessivo della sua infanzia, mostrando una rara vulnerabilità, la stessa che ha spinto una volta Sinéad O’Connor a dire che Rose faceva venire voglia di «portarlo a casa e dargli della zuppa». Forse più di ogni altra cosa è proprio questa sorprendente aria di fragilità unitamente al temperamento irascibile a renderlo tanto affascinante.

La sera in cui abbiamo conversato la sorella di Rose, Amy, passeggiando per il Mirage Hotel, si è fermata a guardare le tigri bianche reali dell’albergo. Ha trovato affascinante come una fiera possa essere allo stesso tempo feroce e gentile.
«Proprio come Axl», ha detto qualcuno di sfuggita.
Amy ha riso, rendendosi conto di aver involontariamente descritto il fratello.

Che opinione pensi che la gente abbia di te?
Odio-amore. Ho grandi fan e c’è gente che mi odia.

Hai l’impressione che l’opinione pubblica su di te sia cambiata?
La stampa parla male di me, ma ci stiamo anche facendo nuovi fan, gente d’ogni età che apprezza quel che facciamo. C’è una bella atmosfera calda tra il pubblico.

Che mi dici di St. Louis? Dopo i casini che sono successi, c’è gente che ha scritto a Rolling Stone dicendosi stufa del vostro comportamento. Secondo loro non v’importa dei fan.
Ed è per questo che ci sono stati quei casini? È questo che dicono?

No. Ma credo che St. Louis sia stato un momento di svolta per quanto riguarda l’opinione che la gente ha di voi.
Il modo in cui i media l’hanno raccontato m’abbia fatto sembra responsabile della cosa, ma non credo di essere stato l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’ultima goccia sono state le persone che hanno lanciato oggetti. Abbiamo un bel problema con la gente che era al concerto. Abbiamo suonato per 90 minuti, abbiamo fatto il nostro dovere e lo abbiamo fatto bene. Ma loro volevano di più, sentivano di poterlo avere, indipendentemente da quel che ci era successo o da come ci sentivamo. Quando diciamo «fanculo St. Louis», ci riferiamo alla gente che distrutto quel posto. Loro sanno chi sono. Sono saltato giù dal palco per via di una macchina fotografica o forse no, ma in ogni caso non è una ragione sufficiente per distruggere quel posto. Hanno annunciato che saremmo tornati sul palco, ma a loro interessava solo la rivolta, non la band.

Una cosa che ha fatto incazzare la gente è stato il ritardo nell’inizio del concerto. Perché così tardi?
Seguo il mio orologio interno, riesco a dare il meglio molto tardi. La notte fonda è la cosa migliore per me e questo è il nostro concerto. Ma non voglio che la gente se ne stia lì ad aspettare, mi fa impazzire. Quell’ora e mezza o quelle due ore di ritardo sono un inferno, perché davvero spero che ci sia un modo per andare sul palco, ma proprio non c’è. Sono in ritardo su tutto. Ho sempre detto che lo voglio scrivere nei miei ultimi desideri: la bara deve arrivare con mezz’ora di ritardo e su un lato dev’esserci scritto, tipo in oro, “Mi spiace, sono in ritardo”.

La copertina di Rolling Stone con l’intervista ad Axl Rose

Cosa succede prima di salire sul palco? Cos’è che ti trattiene?
Il chiropratico che usiamo in tour mi fascia le caviglie perché continuo a distorcerle durante i concerti. Ho le caviglie deboli, da sempre. Era una delle cose che mi creava problemi quando facevo corsa campestre. Quindi sto col chiropratico e poi con il massaggiatore, perché con quello che faccio sul palco la schiena è sottoposta a un forte stress. Ci sono gli esercizi per la voce. E a febbraio (del 1991, nda) ho iniziato a fare terapia e, Gesù, ci sono dentro di brutto. Voglio dire, se viene fuori un problema emotivo bello tosto e dopo quattro ore devi affrontare un concerto, è bene trovare il modo per risolverlo e velocemente prima di salire sul palco, in modo da non avere un crollo nel bel mezzo di Jungle. Non è facile affrontare la pressione di dover fare il concerto mentre nella mia vita succedono certe cose. Una volta in Finlandia non riuscivo più a capire cosa stavo facendo. Mi sono seduto durante Civil War guardandomi le labbra mentre cantavo, guardavo il microfono e i musicisti, e si è spento tutto. Non è il genere di cosa che migliora lo show. Siamo lì per vincere, per fare un buon concerto e se questo significa andare in scena con due ore di ritardo, per me va bene. Prendo molto seriamente quel che faccio.

Pensi che i fan invece non prendano sul serio i tuoi problemi? Succede a volta che la gente non consideri le celebrità persone, ma oggetti. Ammirarne la musica o l’arte non basta, vogliono possederti.
Strana bestia. E a questa gente non piace quando faccio capire che no, non mi possiedono. A volte nemmeno io possiedo me stesso (ride).

Mettiamo che un fan ti fermi per strada e dica: «Senti, ho comprato tutti i tuoi dischi, ma sono stanco delle tue stronzate e di aspettarti due ore ai concerti, perché sai, il giorno dopo devo andare al lavoro. A te di me non frega un bel cazzo di niente».
Se davvero non me ne fregasse un cazzo, farei dei concerti di merda. Salirei sul palco e li manderei a fare in culo. Canterei stonato, me ne fregherei. E invece ci tengo, e tengo troppo anche a me stesso per farlo. Mi confonde il fatto che la gente dica: «Domani devo andare al lavoro». Se si trattasse di fare sesso, mica si preoccuperebbero dell’orario. So che è complicato, ma lo è anche salire sul palco. Mi spiace. Cerco di rimediare facendo un bel concerto e spiegando per quel che posso cosa mi passava per la testa e perché non eravamo lì in orario.

T’interessa la reazione del pubblico quando sul palco parli di qualcosa che ti tormenta?
Ho affrontato la cosa in modo un po’ diverso quando abbiamo fatto il primo concerto a Dayton, Ohio. Ci avevano detto che eravamo la band perfetta per l’America di David Duke. E ho pensato: «Ma fanculo David Duke, non voglio essere associato a quella roba» e ho chiesto al pubblico: «È questo che capite di noi, che siamo razzisti e a voi piace pure? Sappiate che non è così». Ho chiesto: «È questo il senso del disco? Tirare coca e fare casino? Perché se è così, me ne vado a casa. Non è per questo che siamo venuti». Ho chiesto alla gente di replicare e ho ricevuto risposte piuttosto interessanti. Hanno reagito in modo un po’ diverso dal solito. In certe zone silenzio, in altre applausi. Si capiva che ci stavano pensando su.

Molti pensano che essendo tu incredibilmente ricco, famoso e coccolato non hai nulla di che lamentarti, eppure fai i capricci ogni volta che ti si vede in pubblico. Come un bambino viziato.
È vero.

Dici davvero?
A volte sì. Sono molto viziato. Mi sono viziato da solo, ma imparerò a gestirla questa cosa. Voglio dire, è una cosa ancora nuova per me. D’altra parte, anche altri si lamentano delle stesse cose di cui mi lamento io, solo che non lo fanno in pubblico.

Ad esempio?
Far buttare fuori qualcuno che sta facendo casino e disturba il concerto. Buona parte degli artisti vanno da un addetto alla sicurezza senza dare troppo nell’occhio. Io invece affronto di petto la persona e interrompo la musica: «Indovina un po’? Hai buttato via dei soldi perché devi andartene da qui». Se una persona cerca di provocarmi, tipo «vieni qua, figlio di puttana, che ti prendo a calci in culo», allora rispondo che «no, non mi prendi a calci in culo, te ne vai a casa. Stiamo facendo un concerto, ci sono altre 20 mila persone, non puoi rovinare tutto, te ne vai tu». Alla gente piace quando mi butto di sotto e faccio a cazzotti, anche se poi finisce il concerto.

Perché pensi di dover scendere di sotto? Non puoi semplicemente ignorare quelle persone?
E perché mai?

Perché devi dare loro attenzione?
Perché non dovrei cercare di risolvere la cosa? E perché non dovrei farlo davanti a tutti? È una distrazione. Nessuno va a vedere una band perché gli fa schifo. Se qualcuno viene a un concerto dei Guns N’ Roses per quello, allora deve andarsene a casa. Pensaci, organizzi una festa a casa tua e qualcuno viene solo per dirti tutta la sera che fai schifo. Gli chiedi di andarsene, no? Il palco è la nostra casa e quelli sono i nostri ospiti. M’hanno accusato di essere arrogante, ma non ammetto di avere torto finché non mi si dimostra che ho torto. Solo perché qualcun altro pensa d’aver ragione non significa che io abbia torto.

M’hai detto di recente che detesti esibirti.
È un lavoro strano, questo. Non sto dicendo che è un brutto lavoro, né che è tutto fantastico. Ma sai, comporta una certa forma fisica e la voglia di uscire là fuori ogni sera. Diventa un obbligo, tipo un mestiere normale. Non toglie la sincerità o onestà alla cosa, ma è comunque un lavoro. E a volte preferirei fare qualcos’altro.

Ma siccome lo fai lo stesso, qualcosa ci ricavi. Cos’è?
L’energia che sfogo. La possibilità di esprimermi come voglio. L’orgoglio che deriva dal sapere che hai raggiunto il tuo scopo. A volte si crea un canale di comunicazione con qualcuno con cui non hai mai comunicato veramente. Una sera in cui ero depresso e Matt (Sorum, batterista dei Guns, nda) s’è avvicinato e mi ha abbracciato: «Va tutto bene, amico». Sono cose piccole, ma speciali. Ora con la nuova band e il nuovo staff per la prima volta mi sento a casa. Prima eravamo solo noi cinque contro il mondo. Ora abbiamo portato un po’ di mondo dentro la band. La prima sera che abbiamo suonato con la nuova formazione ero al pianoforte per November Rain, mi sono guardato attorno e mi sono sentito felice di far parte di tutto questo.

Foto: Kevin Mazur/WireImage

Ho parlato con gente a cui la band piaceva di più quando la formazione era essenziale. Ora avete la sezione fiati, i cori, un secondo tastierista, i concerti stanno diventando molto più professionali e curati.
Non credo però che il gruppo stia perdendo energia. Anzi, adesso c’è molta più energia. Credo che prima la gente vedesse il potenziale che c’era.

Per certi puristi è meglio che la musica sia grezza come quella dei Sex Pistols e dei primi Guns.
Beh, ma allora c’è anche gente che apprezza una ragazza con lo stesso taglio di capelli da dieci anni. Ma lo capisco, davvero. Però ci evolviamo. Una volta David Bowie ha detto che per lui i Pink Floyd erano Syd Barrett. Ma come puoi negare tutto quello che han fatto dopo? Abbiamo ancora certi elementi di un tempo nella nostra musica e nelle nostre performance, ma siamo cambiati. Magari i puristi ci preferivano morti oppure sciolti, per continuare a essere come piace a loro.

Non abbiamo ancora parlato di Izzy. Com’è che se n’è andato?
Per avere una risposta chiara dovresti chiedere a lui. La mia personale opinione è che non ha mai voluto far parte di una band così grande. C’erano responsabilità che non voleva assumersi. Non voleva lavorare con lo standard mio e di Slash.

Mi fai un esempio?
I video, non li voleva fare.

Ha detto il motivo?
Non gli piaceva. Far sì che Izzy lavorasse a una canzone che lui stesso aveva scritto per questo disco era come cavarsi un dente. Per lui erano finite dopo averle incise sul quattro piste. Mi piacciono le incisioni di quel tipo, ma ci saremmo distrutti se avessimo pubblicato una registrazione da garage band. La gente vuole dischi di qualità. È stato un casino convincerlo a lavorarci su, persino sul suo stesso materiale. Le canzoni di Izzy sono finite sul disco perché l’ho voluto io, mica perché a lui fregava qualcosa. La gente si sbaglia di grosso se pensa che non rispetto Izzy o che non ne riconosco il talento. Era mio amico. Non ho sempre avuto ragione io. A volte ho sbagliato di grosso e lui mi ha aiutato a capirlo. Ma so anche che volevo diventare il più popolare possibile fin dal primo giorno e lui no. Penso che sia pronto a fare una roba tipo gli X-Pensive Winos (la band di Keith Richards, nda), quindi chissà, magari il mondo avrà un’altra band fortissima. Se così fosse, li vorrei ascoltare su una cassetta in anteprima, come tutti.

Si può dar la colpa a qualcuno per essersi tirato fuori da una situazione che non sentiva giusta per lui?
Assolutamente no. Ma posso dar la colpa a quella persona, così come quella persona può darla a me, per essersi comportata in modo stronzo nell’affrontare il problema. C’è un fumetto in cui Izzy viene da me e mi dice: «Sai, non mi sento all’altezza», e io rispondo: «Già, e hai anche paura, cazzo». Beh, non è andata così.

E allora com’è andata?

Stavamo girando il video di Don’t Cry, doveva esserci anche lui e invece non si è presentato. Ha invece inviato una lettera breve e fredda che diceva tipo: «Se cambiano questa cosa e pure quest’altra, forse verrò in tour a gennaio». Erano richieste ridicole che non sarebbero state soddisfatte. Ho parlato con Izzy al telefono per quattro ore e mezza. Ho pianto e l’ho implorato. Ho fatto tutto il possibile perché non se ne andasse. Ad alcune condizioni, però. Non avrebbe guadagnato come prima se avesse fatto continuato a fare il solito Izzy. Era un modo per dirgli: «Guarda che non stai contribuendo quanto gli altri». Toccava a me e a Slash lavorare per mantenere alta l’attenzione e l’energia del pubblico. Sei sul palco e pensi: «È dura, ma mi piace, però quel tizio si limita a stare lì impalato».

E però con quel modo di fare esprimeva un suo carisma. Avere cinque diverse personalità sul palco era una delle cose che rendevano eccitanti i Guns N’ Roses.
E questo va bene. Ma diventa una fregatura per il gruppo se il tizio si alza alle sei e mezza del mattino e va in bici e in moto e compra aeroplani giocattolo e dedica tutte le sue energie a qualcosa d’altro, quando invece sul palco serve dare il 100%. Spero che il nuovo album di Izzy spacchi. Ma allo stesso tempo, verrà da chiedersi: perché mai non l’ha fatto con noi? Con noi non faceva nulla.

Possiamo dire che sei incazzato con lui perché perché non ha voluto essere come tu volevi fosse?
No, non è questo. Sono arrabbiato con lui perché se n’è andato in un modo schifoso e cerca di comportarsi come se non fosse successo niente. Si è affidato a persone che considero nemiche. Parlo di gente come Alan Niven (ex manager dei Guns, nda), che credo sia il suo manager adesso. Alan Niven non deve sapere un cazzo dei Guns N’ Roses. Ognuno ha pregi e difetti, e io mi sono stufato di quelli di Alan. Tipo: «Sei coinvolto con quella gente, non possiamo parlare con te».

Andiamo avanti. Prima del tour i Guns hanno dati ai giornalisti un contratto da firmare che ha fatto incazzare un sacco di gente che ha pensato che la band volesse cercare di controllare quel che veniva pubblicato. Mi pare una lamentela legittima.
Sì, ma non credo che abbiano capito bene cosa cercavamo di fare. Stavamo cercando di ridurre la nostra esposizione sui media. Esiste una cosa chiamata sovraesposizione. E poi stavamo cercando di distinguere gli stronzi dai fighi. Pensavamo che non avresti cercato di fregarci se eri disposto a mettere in gioco le chiappe e firmare quella maledetta cosa. C’è stata gente che ha accettato di firmare e a cui poi abbiamo detto loro che non era necessario farlo.

Riesci a capire perché anche un giornalista che non ti vuole fregare si rifiuta di firmare una cosa del genere?
Non so, forse pensano che il nostro desiderio sia edulcorare la realtà.

L’effetto è stato quello, perché il contratto vi dava il diritto di approvazione finale su tutto ciò che veniva scritto.

Io non sono così. Voglio la storia vera. Non voglio leggere “Steven Adler è in vacanza”. Voglio “Steven Adler è in una cazzo di clinica” (Adler, ex batterista dei Guns, è stato licenziato dal gruppo per uso eccessivo di droga, nda). Voglio la realtà. Posso capire che magari sembra che vogliamo far sì di uscirne bene, ma era anche un modo per riuscire a lavorare con certe riviste metal. Molti ragazzi le comprano e preferiamo che abbiano storie vere e non storie del cazzo. Sono tre o quattro anni che non faccio un’intervista con Hit Parader o Circus.

Hai detto che non ti fidi, che non pubblicano quel che dici effettivamente.
Sì. Non è che stampano cose tremende, è che a volte ti ritrovi parole che non hai detto. Tipo una frase Slash non direbbe mai perché si sentirebbe stupido. Però ripensandoci, forse non sono cose poi così tremende, ma il punto è che ne usciamo meglio quando viene pubblicato quel che diciamo davvero. È provato che sono uno che non mente.

Quand’eravate a New York ti sei offeso per quel che Jon Pareles ha scritto sul New York Times e lo hai invitato a salire sul palco a parlarne (aveva scritto che il pubblico era «stranamente contenuto» e Axl l’ha invitato la sera dopo «a spiegare al pubblico perché non si sta divertendo», ndr).
Sul serio volevo mettermi lì e discuterne, non volevo fargli fare la figura del coglione.

Sarebbe stato un suicidio, qualunque cosa avrebbe detto, lo avrebbero fischiato.
Non ha avuto le palle per difendere quel che ha scritto ed è stato smascherato.

Qualcuno potrebbe dire che avendolo invitato a parlarne nel tuo territorio, sei stato tu a non avere le palle. Perché non lo hai chiamato e non ne avete parlato al telefono?
Non voglio far fare altri soldi al New York Times. Era un articolo odioso. Era giornalismo di merda. Avrebbe potuto scrivere: «Il concerto non mi è piaciuto. Penso che facciano schifo». Molto bene. Puoi pensare che facciamo schifo e io posso pensare che tu sia uno stronzo. Ma non cercare di far sembrare che a nessuno sia piaciuto.

Magari ha scritto semplicemente quel che vedeva?
Ma allora ha dei cazzo di seri problemi, quell’uomo, e non ha alcun diritto di essere lì a scrivere del nostro concerto. Il pubblico dei Guns N’ Roses è cambiato e lui non l’ha capito. La maggior parte delle persone che amano i Guns da tempo non lo capiscono, ma possono in qualche modo sentirlo. È che la gente che non fa una vita piacevole non sa riconoscere un momento piacevole.

Quali sarebbero questi momenti piacevoli? Non ricordo molte canzoni piacevoli nel vostro repertorio…
Mi riferisco alla verità sottesa alle canzoni, al messaggio. Se facciamo certi pezzi è perché vogliamo tirare fuori la rabbia. «Ce l’abbiamo fatta, ok, ora posso occuparmi di quel tipo che ho appena definito stronzo». È salutare. Ma non è così che gira il mondo. Il mondo non vuole che tu lo faccia.

Foto: Paul Natkin/Getty Images

Non t’infastidisce il fatto che molta gente pensi che sei misogino, omofobo e razzista?
Può darmi fastidio, ma pensare che io sia razzista è una stronzata. Ho solo usato una parola che era tabù. E l’ho usata proprio perché era tabù. Ero incazzato con dei neri che stavano cercando di derubarmi. Volevo insultare loro, quei neri in particolare, non c’entra niente il razzismo. E quando ho usato la parola froci, non intendevo criticare tutti i gay. Mi stavo lamentando di un gay. Avevo appena sentito la storia di un uomo che era uscito dalla prigione della Contea di Los Angeles affetto da Aids e si stava prostituendo. Ho avuto a che fare con gay aggressivi e ne sono rimasto infastidito. La Bibbia dice: non giudicare. Immagino di aver giudicato e insultato, ma la cosa del razzismo è semplicemente stupida. Posso capire che la gente lo pensi, ma non è quel che intendevo. Credo che ci sarà sempre qualche forma di razzismo – per quanto vorremmo che ci fosse la pace – perché semplicemente siamo diversi l’uno dall’altro. La cultura nera è diversa. Lavoro con un uomo di colore ogni giorno (Earl Gabbidon, la sua guardia del corpo, nda) ed è uno dei miei migliori amici. Ha interessi che sono decisamente “neri” e che mi piacciono. Le cose che stanno così e così saranno sempre.

La gente ha paura del diverso.
Vale per tutti, no? Vale anche per le persone della stessa razza o dello stesso sesso. Forse di tanto in tanto succede qualcosa e si sentono più legati, ma ci sono sempre delle differenze. La cosa fondamentale di One in a Million è che ha portato la gente a riflettere sul razzismo. Molti pensavano che stessi parlando di razza o categorie di persone. Non è così. E ci sono delle scuse, non sono scritte tanto bene, ma sono sulla cover del disco. E nessuno lo ha ancora riconosciuto. Nessuno.

Che mi dici dei pezzi considerati misogini? Molti pensano che Back Off Bitch o Locomotive siano figli delle tue idee sulle donne.
Ma sbagliano. Capisco perché lo pensino, i pezzi sono appena usciti, ma Back Off Bitch risale a una decina d’anni fa. Ci ho lavorato su e ho capito che provavo odio per le donne. In buona sostanza, sono stato rifiutato da mia madre fin da bambino. Ha preso le parti del mio patrigno che mi picchiava. Quando poi era troppo, lei veniva e mi consolava.  Ma non era dalla mia parte. La nonna aveva un problema con gli uomini. Sono andato indietro nel tempo e ho scoperto di aver per caso sentito mia nonna parlare male degli uomini quando avevo 4 anni e questo mi ha causato problemi con la mascolinità. Ero incazzato con mia nonna per i suoi problemi con gli uomini e per come mi faceva sentire riguardo all’essere un uomo. Così ho scritto di quel che provavo nelle canzoni.

Questa rabbia deve aver avuto un effetto negativo sulle tue relazioni.
Ho fatto passare l’inferno alle donne della mia vita e le donne nella mia vita l’hanno fatto passare a me. Scoppio a piangere quando penso a quanto ci siamo trattati male. Con Erin (Everly, l’ex moglie, nda) ci si trattava di merda. A volte andava alla grande, perché i bambini dentro di noi erano i rispettivi migliori amici. In altri momenti invece ci siamo incasinati la vita a vicenda. La frustrazione ti porta a scriverne. La rabbia e le emozioni spaventano la gente, ma è positivo che le persone le riconoscano come pericolose. La nostra musica non dice che dovresti sentirti in questo modo, non va bene se le persone capiscono questo. Stiamo dicendo che ti è permesso sentirti in un certo modo. Se poi vuoi aggrapparti a una cosa che sai essere negativa, è un problema tuo. Io non lo voglio fare. Ho già messo alle spalle la maggior parte di questi testi. Avevo già superato molte di queste cose quando ho iniziato a fare terapia a febbraio. Ci vuole tanto lavoro per tirare fuori queste cose, è un processo lento. E lo faccio mentre sono in tour. Magari certe cose escono alle 4 del pomeriggio, quando meno te l’aspetti.

Show time!
(Ride) Esatto. Show time, lo show deve andare avanti. Ma… amo le donne. Nell’ultima intervista su Rolling Stone dicevo che mi piace vedere due donne assieme. Sono arrivate lettere di organizzazioni lesbiche: «Che cosa disgustosa». Magari sarò disgustoso come tanti altri, ma non era intesa come cosa disgustosa. Le donne sono belle. Non mi piace vedere le persone che vengono usate. Magari mi diverte in modo superficiale vedere una rivista per soli uomini, ma se vengo a sapere che questa persona è incasinata e che è stata usata da chi ha organizzato il servizio fotografico, allora mi si rivolta lo stomaco.

Vuoi dirmi qualcosa d’altro della tua infanzia?
Certo.

Qual è il tuo primo ricordo?
È la sensazione di essere già stato qui e di avere una pistola giocattolo in mano. Sapevo che era una pistola giocattolo, ma non sapevo come lo avessi capito. Questo è il mio primo ricordo. Mi sono sottoposto a terapia regressiva sino ad arrivare al momento del concepimento. Più o meno so cosa stava accadendo in quel periodo.

Cos’hai imparato?
Che la gravidanza di mia mamma non era voluta. Mia madre ha avuto molti problemi a causa di questa gravidanza e io ne ero consapevole. Questo tende a farti diventare davvero insicuro rispetto a come ti considera il mondo. Il mio vero padre era un tipo incasinatissimo. Quando sono nato, non mi importava molto di lui. Non mi piaceva il modo in cui trattava mia madre. Non mi piaceva il modo in cui mi trattava prima che nascessi. Per cui, quando sono nato, speravo che il figlio di puttana fosse morto.

Questa cosa dell’essere consapevole di cose accadute prima della nascita potrebbe confondere la gente.
Non m’interessa, questa è la terapia della regressione e se la gente ha problemi a riguardo può andare a farsi fottere. Ha un suo spessore, è riconosciuta e mi ha permesso di mettere assieme tutti i pezzi della mia vita. La mente conserva tutto. Una parte di te è conscia sin dagli inizi e immagazzina informazioni e reagisce. Ogni volta che capisco di avere un problema con qualcosa, posso finalmente ammetterlo a me stesso e da lì si parte: «Ok, da cove è cominciata questa cosa?» e si torna indietro.

E cos’hai capito?
Che ho cancellato la maggior parte della mia infanzia. Ero solito avere incubi molto brutti da bambino. Avevamo i letti a castello e cascavo dal letto mordendomi il labbro inferiore, avevo incubi decisamente violenti. È andata avanti per anni.

Ricordi quegli incubi?
No, ricordo solo un sogno. Ho sognato che ero un cavallo. Presente quei film con quei cavalli selvaggi che corrono e la possenza che trasmettono? Questo ho sognato. Ho sognato che mi catturavano e mi mettevano in un film stupido contro la mia volontà. E mi mandava fuori di testa. Non capivo quel sogno. All’epoca pensavo solo: ero un cavallo e volevano mettermi in un film. Solo ora capisco davvero di cosa si trattava. I miei genitori avevano detto spesso che era successo qualcosa di tragico e tremendo. Non dicevano esattamente cosa e andavano fuori di testa quando si faceva riferimento al mio vero padre. Non mi è stato detto del mio vero padre fino a che non ho compiuto i 17 anni. Per quanto ne sapevo sino ad allora, il mio patrigno era mio padre. Ma ho trovato dei documenti di un’assicurazione e il diploma di mia madre con il cognome Rose. Per cui non sono nato Bill Bailey, come mi avevano fatto credere. Sono nato William Rose. Sono W. Rose perché William era una testa di cazzo.

Tua madre ha sposato il tuo padre biologico ai tempi delle scuole superiori?
Sì. Mia madre impazziva quando se ne parlava, per quanto era terribile quella persona. Grazie alla terapia ho scoperto che mia madre non andava d’accordo con lui. Lui mi ha rapito perché qualcuno non stava badando a me. Ricordo un ago. Ricordo una puntura. E ricordo di aver subito un abuso sessuale da parte di quest’uomo e di aver visto qualcosa di terribile accadere a mia madre quando è venuta e riprendermi. Non conosco tutti i dettagli. Ma ho avuto le reazioni fisiche tipiche dell’aver subito tutto ciò. Ho avuto problemi alle gambe e altro ai muscoli. Ho nascosto tutto dentro di me e in qualche modo sono diventato uomo, perché il solo modo per affrontarlo era seppellire lo schifo. L’ho sepolto per sopravvivere, ma non l’ho mai accettato. Ho avuto molti pensieri violenti e offensivi nei confronti delle donne, per aver visto mia madre con quest’uomo. Avevo 2 anni, ero molto suggestionabile. Mi feci l’idea che quello fosse il modo di trattare una donna. Ho assorbito una marea di visioni distorte sul sesso come potere e sul fatto che il sesso ti rende impotente e altre idee sbagliate con cui ho dovuto fare i conti. Non importa cosa cercassi di essere, c’era sempre quest’altra cosa che mi diceva come stavano le cose, per via di quel che avevo subito. Omofobo? Credo di avere un problema se mio padre ha abusato di me quando avevo 2 anni.

Immagino. Cos’è successo dopo?
Mamma si è risposata, facendomi arrabbiare. Pensavo di essere io l’uomo della sua vita, per così dire, si era messa alla spella un uomo o ora viveva con me. Sai, ero un bambino.

Era tua.
Esatto. E poi ha sposato qualcun altro, uno che tentava di controllarmi e di impartirmi la disciplina per via dei problemi che aveva avuto nella sua infanzia. Poi mia madre ha avuto una figlia e il mio patrigno l’ha molestata per una ventina d’anni. Ci picchiava. Mi picchiava di continuo. Credevo fosse normale. Non sapevo che mia sorella è stata molestata sino allo scorso anno. Da allora stiamo lavorando a ricostruire le nostre vite sostenendoci a vicenda. Ora mia sorella lavora con me. È felice ed è veramente bello vederla così e che andiamo d’accordo. Mio padre ha tentato di separarci. E in alcuni momenti delle nostre vite gli è riuscito piuttosto bene.

Dov’è ora il tuo vero padre?
Più meno all’epoca dei concerti con gli Stones m’ha scritto suo fratello. In realtà ci ha parlato mio fratello, io non ho voluto farlo, volevo mantenere la distanza. Non ho più avuto sue notizie da allora, ma ne ho parlato con mia madre che finalmente si è aperta e mi ha detto che è morto. Credo sia vero. Ma era destino, era un tipo decisamente sgradevole. Non volevo essere come lui ed era un problema. Dovevo essere macho e non potevo permettermi di essere un uomo vero perché gli uomini sono malvagi, non volevo essere come mio padre. Durante i concerti degli Stones, un giornale di Los Angeles ha scritto un pezzo sul fatto che sarebbe venuta fuori la verità sulla mia rabbia, come se stessi cercando di nascondere qualcosa. Non stavo cercando di nasconderlo, semplicemente non lo sapevo. Non permettevo di scoprirlo anzitutto a me stesso perché non sarei stato in grado di gestirlo.

E ora che hai scoperto queste cose come ti senti?
Non è «la posso gestire da uomo» e nemmeno «ora posso perdonarli». Devi rivivere l’esperienza e addolorarti per quel che ti è accaduto e cercare di rimetterti in sesto. Ed è una catena strana e lunga. Scopri che anche tua madre e tuo padre avevano i loro problemi, e che la loro madre e il loro padre avevano problemi, e così si va indietro nel tempo.

Come la spezzi questa catena?
Non lo so, ma un modo bisogna trovarlo. Certo posso cercare di rimettermi in sesto e aiutare gli altri, ma non si possono salvare le persone. Puoi dare loro una mano, puoi aiutarle a salvarsi da sé. Puoi accettare la tua vita o cercare di cambiarla. Vivo di estremi, di alti e bassi, ma grazie al lavoro che faccio le cose vanno molto meglio adesso. Mi interessa aiutare le organizzazioni che si occupano di abusi sui minori, quelle che usano i metodi migliori, quelle in cui credo.

Hai già incontrato qualcuno?
Sono andato in un centro. Mi hanno detto che c’era un cambino che non riusciva ad accettare quel che gli era successo nonostante fosse circondato da altri bimbi che avevano vissuto esperienze simili. A quanto pare ha intravisto qualcosa in me e nei miei problemi: «Anche Axl ha avuto i suoi problemi e ora sta bene». Si è aperto e ora sta meglio. E questa cosa per me è ben più importante dei Guns N’ Roses, più importante di qualunque cosa abbia fatto finora perché mi ci riconosco. Quanto odio ho provato per mio padre, per le donne, per…

Te stesso?
Sì, per me stesso. Mi ha fatto andare fuori di testa. Sto lavorando per mettermi tutto alle spalle e il mondo non sembra tollerare il fatto che lo stia facendo in pubblico: «Hai un problema? Vattene e risolvilo da solo». I miei parenti conoscevano solo alcune parti di questa storia e nessuno mi ha aiutato per un cazzo. Questa cosa mi fa incazzare. Vorrebbero che tu fossi più tollerante e che le cose tornassero come un tempo: «Non parliamone in pubblico». La mia famiglia ha nascosto tutto pensando di fare la cosa giusta. Il mio patrigno voleva a tutti i costi proteggere mamma e sé stesso non tirando in ballo il mio vero padre. Ma stava anche cercando di pararsi il culo per le cose che aveva fatto lui.

Slash e Axl Rose a Rock in Rio II, il 15 gennaio 1991

Foto di Kevin Mazur/WireImage

Perché ne parli pubblicamente?
Una ragione ha a che fare con la sicurezza. Il mio patrigno era una delle persone più pericolose che abbia conosciuto. Fortunatamente non fa più parte della vita mia o di mia sorella. Magari lo perdoneremo, ma non lo faremo accadere di nuovo. Tutti vogliono sapere perché Axl è così incasinato? Qual è il suo trauma? Ci sono buone probabilità che rendendo tutto pubblico io possa essere attaccato. Penseranno che stia seguendo una moda. Ma è chiaro distinguere chi è stronzo e chi non lo è. Probabilmente ci sono davvero persone che lo fanno per moda, ma credo sia arrivato il momento. Le cose stanno cambiando, stanno venendo a galla.

Di abusi si è cominciato a parlare solo negli ultimi anni. Non parlo di molestie, ma di abusi emotivi.
Tutti i genitori abusano dei loro figli in un modo o nell’altro. Nessuno è perfetto. Ma potete aiutare vostro figlio a star meglio, se riesce ad aprirsi per dire: «Sai, quando avevo 5 anni ho visto questa cosa». A volte sul palco indosso una maglietta che dice: “Dite la verità ai vostri figli”. La gente non capisce bene il significato. Fino all’inizio di quest’anno non mi è stata detta la verità su quel che mi era successo, chi ero, da dove venivo. Mi è stata negata la mia stessa esistenza e da allora sto lottando. Non che io sia la cosa più bella del mondo. Ma ho il diritto di lottare per me stesso.

Se non si conosce la propria identità, ogni cosa è perduta.
La mia crescita si è bloccata a 2 anni. Hanno ragione quando dicono che Axl Rose è un bambino di 2 anni che urla. C’è un bambino di 2 anni che urla, è incazzato, si nasconde e non si mostra spesso, nemmeno a me perché non sono riuscito a proteggerlo. Il mondo non lo ha protetto. Le donne non lo hanno protetto e hanno pensato che dovesse essere eliminato. Molte persone la pensano così oggi. È una cosa davvero strana da affrontare. Ogni tanto mi capita di avere a che fare con un bambino di 3 anni e può diventare un po’ troppo per me. Mi gira la testa a causa dei cambiamenti che mi sta provocando.

Ti stai riferendo al figlio di Stephanie?
Sì. Stephanie (Seymour, la fidanzata di Rose, nda) mi ha aiutato parecchio in questo processo. Scrivono di tutto sulla nostra relazione, ma la cosa fondamentale è che si tratta di un’amicizia. La storia d’amore è una cosa in più. Vogliamo restare amici e e far sì che la nostra relazione non faccia del male a Dylan. Ha la priorità su tutto, può uscirne traumatizzato, non voglio che succeda.

È di Dylan che stavi parlando ieri sera.
Sai, saltano e tutto il resto. Mi fa paura. Danno l’impressione di potersi rompersi da un momento all’altro. Mi spaventa a morte. Sono stato con Dylan e lui era arrabbiato per qualcosa, io cercavo di aiutarlo, e lui si arrabbiava con me, mi sono sentito offeso. Ho pensato che l’unico modo in cui potevo affrontare questa situazione era pensare che stava solo facendo l’idiota in quel momento. Ma mi è stato fatto notare che non sta facendo lo stronzo, ma ha solo bisogno d’amore. Sì, perché l’hanno detto anche a me. Per quanto riguarda la mia musica, è fatta di pura emozione e di sentimento. Magari canto qualcosa e so che alla gente non piacerà o che non è la cosa giusta da dire, però spiega come mi sento. Strano il modo in mi hanno attaccato. La stampa mi ha aiutato a riordinare le idee. Anche il mio patrigno mi ha aiutato. Ho imparato molte cose. Questo non significa che non si sia comportato anche lui da stronzo. Non è giusto cercare di far capire a un bambino di 2 anni chi è stronzo e chi non lo è. C’è una parte di me che ha ancora 2 anni e che migliora ogni giorno di più.

Questo spiega molte cose.
Lasciami dire che non sto cercando una scusa, non sto tentando di sottrarmi a qualcosa. Il punto è questo: ogni persona è responsabile di ciò che dice e di ciò che fa. E io sono responsabile di tutto ciò che ho detto e di tutto ciò che ho fatto, che mi piaccia o meno. Quindi queste non sono scuse. Sono solo fatti che sto affrontando. E se hai un problema, non venire al concerto. Se devi essere a casa a mezzanotte, non disturbarti a venire. Fatti un favore. Non ti dico mica io di venire. Se per te è un problema che io cerchi di gestire i miei casini e di fare lo show al meglio, allora non venire amico. Non c’è problema. Stai alla larga, cazzo. Perché tu ci guadagni qualcosa, ma io sono lì anche per me stesso. Ho un sacco di lavoro da fare, un sacco. Ho fatto tipo sette anni di terapia condensati in un anno, mi ci vuole tanta energia. E i Guns N’ Roses ne richiedono parecchia altra. Cercare di gestire entrambe le cose nello stesso momento mette sotto pressione. Farò del mio meglio quando potrò e come potrò. E in questa materia sono io a giudicare, non il pubblico.

Pensi che tutto ciò influenzerà il modo in cui scrivi canzoni?
Penso che il prossimo album dei Guns N’ Roses, o la prossima cosa che farò, rappresenterà una svolta inaspettata e mostrerà quanto sono cresciuto. Mica voglio essere un reietto di 23 anni qual ero un tempo. Non voglio essere quella persona.

Chi vuoi essere allora?
Chi sono adesso, che mi piace. Vorrei un po’ più di pace dentro di me. Sono sicuro che tutti lo vogliono.

Da Rolling Stone US.

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