L’intreccio di interessi che ha fregato i Black Keys | Rolling Stone Italia
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L’intreccio di interessi che ha fregato i Black Keys

Dopo un anno particolarmente difficile, Dan Auerbach e Patrick Carney sono pronti per parlare di tutto. Lo fanno in questa intervista, la prima concessa dopo la crisi: il tour cancellato, l’industria musicale incestuosa che penalizza le band, la nota positiva rappresentata dal nuovo album ‘No Rain, No Flowers’

L’intreccio di interessi che ha fregato i Black Keys

Black Keys

Foto: Larry Niehues

Il 2024 è stato un anno bello tosto per i Black Keys. S’aspettavano di portare nei palazzetti il dodicesimo album Ohio Players e invece il tour è stato cancellato a fronte, così è stato detto, di pochi biglietti venduti. Hanno poi licenziato il management, di cui faceva parte il peso massimo dell’industria musicale Irving Azoff, e il team che segue la comunicazione. Due settimane dopo il batterista Patrick Carney ha scritto un tweet rivolto ad Azoff, tweet che ha poi cancellato: «Ci hanno fregati. Vi farò sapere in che modo, così che non succeda anche a voi. Restate sintonizzati» (in un altro tweet rimosso Carney scriveva sarcasticamente a proposito di Azoff che «è bello sapere che ti preoccupi sempre per gli artisti”).

A parte qualche esibizione (leggete più avanti per saperne di più sull’evento controverso America Loves Crypto), Dan Auerbach e Patrick Carney sono rimasti relativamente tranquilli, inaugurando una specie di residency a Nashville chiamata Record Hang, feste animate da musica suonata rigorosamente in vinile. Finora non avevano mai parlato pubblicamente di quel che era successo.

I due hanno passato la maggior parte dell’estate e dell’autunno scorsi a scrivere e registrare una quindicina e passa di canzoni per il prossimo album No Rain, No Flowers, un modo per mettersi alle spalle i problemi facendo musica (stanno ancora decidendo quanti brani inseriranno nella versione definitiva del disco che uscirà nel corso dell’anno). Il primo singolo The Night Before l’hanno scritto con Daniel Tashian, coautore e coproduttore di Golden Hour di Kacey Musgraves, ed è piuttosto allegro. «È nato in modo naturale, tutti assieme in studio», racconta Auerbach.

All’inizio della scorsa settimana hanno annunciato le date del tour riprogrammate e attese da tempo. Non suoneranno nei palazzetti, ma in teatri e posti più piccoli. «È tutta l’industria musicale ad essere cambiata negli ultimi 15 anni», dice Carney. «Stiamo ancora cercando di capire come girano le cose».

In questa intervista, la prima dopo l’annullamento del tour e la separazione dal management, fanno analizzano gli eventi dell’anno passato guardando al futuro con ottimismo.

Perché l’album s’intitola No Rain, No Flowers?
Dan Auerbach: Viene dalla title track scritta con Rick Nowels. È un modo di dire che mi pare indichi il modo giusto per superare i casini in cui ci siamo trovati.
Patrick Carney: A Rick piace partire dai titoli e questo Dan se l’era appuntato nel telefono. A volte per andare avanti bisogna rassegnarsi agli eventi e nell’ultimo anno per noi è andata proprio così.

The Black Keys - The Night Before (Official Music Video)

Ecco, come riassumereste il vostro 2024?
Carney: Direi illuminante e rivelatore. Dan e io abbiamo una buona conoscenza dell’industria musicale, ma è stato scioccante sperimentare in prima persona quanto è cambiata. Abbiamo colto l’occasione per ripensare il nostro modo di fare le cose e incidere un disco che avesse soprattutto una connotazione positiva.

Che cosa in particolare vi ha scioccati?
Carney: Vedere quanto il business è diventato forte e l’intreccio di interessi. È sconvolgente. Te ne rendi conto, da artista, quando cerchi di interfacciarti con questa realtà per avere input strategici e commerciali che siano utili e costruttivi.

E tu, Dan, come definiresti l’anno passato?
Auerbach: Alti e bassi, notti insonni, telefonate alle 2 di notte, preoccupazioni e stress, dispiaceri. Ma anche tanta creatività. Sono entusiasta della musica che stiamo facendo. Mi sembra che l’energia creativa stia fluendo alla grande.

Scendiamo un po’ nel dettaglio. Due settimane dopo la cancellazione del tour, un portavoce dell’Azoff Management ha detto che la separazione è stata amichevole. Anche voi la definireste così?
Carney: (Fa una pausa) Be’, li abbiamo licenziati. Sono cose che capitano. Abbiamo lavorato a lungo a Ohio Players, l’abbiamo consegnato nell’ottobre del 2023, c’era un sacco di tempo per organizzare il tour, ma le cose sono partite in modo strano. Il nostro piano era di andare prima in Europa, ma alla fine ci hanno fissato nove concerti per un tour di tre settimane, il che significa che non c’era verso di guadagnarci qualcosa. Abbiamo dovuto cambiare il programma più volte perché il nostro management era proprietario di un locale a Manchester e voleva farci suonare lì anche se il posto non era ancora pronto. Eravamo già stati in Europa una trentina di volte nella nostra carriera e questo è stato il tour peggio gestito che abbiamo mai fatto, anche se gli show di per sé sono stati incredibili. È stato il primo segnale che forse c’era una cattiva organizzazione.

Quando si è incrinato il rapporto con Irving Azoff?
Carney: È una faccenda complessa. Non voglio nemmeno nominare quell’uomo. Preferisco osservare la cosa da una prospettiva più ampia. La cosa fondamentale che abbiamo imparato è che molte società di management sono direttamente collegate a un’azienda che gestisce ogni singolo aspetto della promozione in questo Paese. L’industria musicale è incestuosa, dal ticketing alla promozione al management, eppure per gli artisti, e questa è la cosa che mi preme dire, è pressoché impossibile parlarne. Si ha a che fare con società di management che sono comproprietarie di festival. Ti ritrovi al servizio di gente che ha altri interessi. Quando mi chiamavano e lui proponeva qualcosa, io ingenuamente pensavo che dietro non ci fosse niente, ma sempre più spesso non è così. Dan ed io non vogliamo stare qui a fare la figura degli stronzetti lamentosi, ma ci siamo fatti un po’ fregare.

Patrick, l’anno scorso hai twittato: «Ci hanno fregati. Vi farò sapere come, così che non succeda anche a voi. Restate sintonizzati». In che modo pensi di essere stato fregato?
Carney: Ho dovuto cancellare quel tweet per non essere denunciato.

Chi ha minacciato di farti causa?
Carney: Nessuno, ma è vietatissimo parlare di quello che succede. C’è una tale interconnessione che ogni concorrenza viene eliminata. Affinché una società capitalista funzioni deve esserci concorrenza. Ma tutto è collegato e quando gli interessi convergono da una sola parte, non c’è modo di averla, quella concorrenza. Una decina dei nostri show nelle arene che non stavano vendendo bene, ma la verità è che erano posti in cui non avrebbero dovuto essere organizzati quei concerti. Avremmo dovuto prendere atto della situazione e cercare altri luoghi per suonare in quelle città. Invece ci è stato consigliato di cancellare tutto il tour. Ci è stato detto che erano stati prenotati altri locali, che tutto si sarebbe svolto in location più raccolte e che sarebbe stato fantastico. Non era vero niente. È un gran casino e la conclusione è che non possiamo nemmeno parlarne perché altrimenti non potremmo più lavorare.

Dan, sapevi che Patrick avrebbe fatto quel tweet?
Auerbach: No, mi sono svegliato e l’ho visto.

E come ti sei sentito quando l’hai letto?
Auerbach: Ho capito che era importante.

Nient’altro?
Auerbach: No.

Avete mai preso in considerazione l’idea di ridurre le dimensioni del tour al posto di cancellarlo? O non era un’opzione percorribile?
Carney: Una persona con la quale poi abbiamo smesso di lavorare mi ha detto che le date erano state spostate in locali più piccoli. Avremmo potuto cancellare il tour e, nel giro di un paio di giorni, annunciare le nuove date. Ma non c’era nessun programma, non era stato prenotato nessun locale. Erano stronzate. Non voglio usare la parola bugia perché non voglio essere denunciato, ma il piano che ci è stato prospettato non esisteva.

I Black Keys dal vivo. Foto: Getty Images

Adesso sono curioso di sapere cosa ne pensate della causa intentata dal Dipartimento di Giustizia contro Live Nation, accusata di essere un monopolio (Live Nation ha negato con forza).
Carney: Dopo la fusione, Obama disse che somigliava a un monopolio e che bisognava stare attenti. La ragione per cui è stata approvata, anche se era un monopolio, è che gli artisti non hanno contratti a lungo termine e quindi teoricamente possono decidere di legarsi a qualcun altro. Ma, di fatto, se non lavori con una certa società con chi puoi farlo? Quello che molta gente non capisce è che quando si controlla il ticketing, la promozione e tutto il resto, e poi si arriva a possedere i locali e ad avere interessi comuni con i manager, diventa sempre più difficile per gli artisti guadagnarci qualcosa. Non succede solo del settore musicale, anche altrove gli intrecci e gli agglomerati sono tali da rendere difficile fare concorrenza.

È stato detto che le vendite dei biglietti del vostro tour erano modeste e il New York Times ha scritto che «certi tour, come quello dei Black Keys, possono essere frutto di una sovrastima della domanda da parte della band». È così?
Carney: Non saprei. So che dopo il lancio delle date ho controllato la mia posta elettronica e c’era una mail da Ticketmaster a proposito del tour, arrivata il giorno stesso in cui è stato annunciato. E poi nient’altro, per sei settimane. Quando alla fine ho controllato i numeri, dopo la cancellazione delle date, ho visto che avevamo venduto biglietti per quasi 10 milioni di dollari e mancavano quattro mesi al primo show. Abbiamo dovuto ingoiare il rospo, cazzo.

Dopo l’annuncio del tour, più di qualche fan si è lamentato per i prezzi elevati dei biglietti, che di solito sono gli artisti a stabilire. A quanto pare, in alcuni locali i posti peggiori arrivavano a costare anche 100 dollari.
Carney: Per quell’ultimo tour non ci è stato chiesto nulla a proposito del prezzo dei biglietti. Non li abbiamo fissati noi. Abbiamo capito che dobbiamo essere più presenti e lo saremo per il prossimo tour. L’ultima cosa che io e Dan vogliamo fare è spennare i fan.

Col senno di poi, avreste cercato di abbassare il prezzo dei biglietti?
Carney: Sì. Quando abbiamo fatto il tour nei palazzetti per El Camino (nel 2012-13, ndr), il biglietto per gli anelli più in alto mediamente costava una quarantina di dollari. Poi, col bagarinaggio, quei biglietti sono arrivati a 65 dollari, il che significa che i bagarini ci hanno guadagnato più di noi. È scoraggiante, perché i fan pagano e la band non ci guadagna. Oggi il costo di un tour rispetto al 2012 è tre volte e mezzo superiore, ma i prezzi dei nostri biglietti non sono aumentati altrettanto.

Dopo l’annullamento del tour avete licenziato il vostro management e il team di PR, ma non l’agenzia che ha effettivamente gestito il booking del tour. Perché?
Carney: (Fa una pausa) Perché credo che molti accordi siano stretti tra il management e un’altra società più grande.

Foto: Joshua Black Wilkins

L’anno scorso avete fatto un po’ di concerti, tra cui un evento chiamato America Loves Crypto dedicato ai «cinque milioni di proprietari di criptovalute che potrebbero decidere l’esito delle elezioni del 2024». Com’è nata l’idea?
Carney: Molto semplicemente, avevamo perso tutte le nostre entrate dell’annata e avevamo degli impegni nei confronti delle persone con cui stavamo lavorando. Ci hanno offerto un sacco di soldi per fare un concerto, abbiamo visto che i Black Pumas lo avevano fatto, così abbiamo detto: «Ok, fissatatelo». Tutto qui, amico.

Siete, come dire, fan delle cripto?
Carney: Siamo grandissimi fan del Crisco (un grasso vegetale per uso alimentare, utilizzato soprattutto nel cake design, ndt).

Comunque avete ricevuto una bella dose di critiche. Il commento più diffuso fra i vostri fan su Reddit è stato: «LMAO. Quello è un political action committee che ha appoggiato i peggiori candidati di entrambi i partiti. Che diavolo stanno facendo?». Avete pensato ai risvolti legati a quell’evento?
Carney: Ovviamente ci siamo accorti di tutta la merda che stava per investirci, ma ci siamo detti: e quindi? Ci avevano detto che era un evento bipartisan, molto ristretto. Era nella nostra città natale, siamo tornati a casa e siamo andati a trovare i nostri genitori. Era già successo che il mio nome venisse messo in cattiva luce sulla stampa, quindi non era una cazzo di novità… E poi, se suonare un concerto per 300 persone può influenzare il voto dell’intero Stato, allora abbiamo un cazzo di problema molto più grosso, amico mio.

Alla luce di quanto successo l’anno scorso, ora avete un atteggiamento diverso in vista del prossimo tour?
Carney: La cosa più importante per noi, adesso, è mettere in piedi dei buoni concerti che piacciano ai fan. Ci siamo ispirati a band i cui dischi magari non hanno avuto successo, ma che hanno creato un legame profondo con la gente. Abbiamo pubblicato quattro album in cinque anni, forse stiamo saturando il mercato, ma finché ti senti di farlo, lo devi fare. Siamo entrambi sulla quarantina. Facciamo questa roba da 20 anni. Ora apprezziamo molto di più quello che abbiamo costruito insieme. E durante l’ultimo anno abbiamo visto ammalarsi delle persone a noi care. Non puoi dare per scontata la vita. Quindi se fai qualcosa che funziona, perché non continuare? È importante che la gente sappia che eravamo diventati un po’ pigri nei confronti dell’aspetto finanziario perché eravamo occupatissimi a essere creativi, ma ora ci siamo ricordati che dobbiamo prestare attenzione a entrambe le cose.

I cinque anni tra Turn Blue del 2014 e Let’s Rock del 2019 in cui praticamente non vi siete parlati vi hanno penalizzato a livello di slancio o di successo potenziale?
Carney: Io la vedo così: allora facevamo un sacco di soldi, manco  li stampassimo noi, però eravamo infelici. Adesso scriviamo tonnellate di canzoni e stiamo molto meglio. Non eravamo in grado di creare musica quanto avremmo voluto ed è da lì che è nata la rottura. Volevamo solo fare musica, che è quello che cerchiamo di fare adesso. Per il tour abbiamo scelto i locali che sembrano piacere di più ai fan, che piacciono di più a noi, e vedremo cosa succede. Speriamo che la gente venga.

Di voi due, è sempre stato Patrick quello più portato a gestire gli affari del gruppo. Dan, gli eventi dell’anno scorso ti hanno fatto venire voglia di impegnarti di più in questo senso?
Auerbach: Dobbiamo concentrarci su ciò che sappiamo fare meglio e ognuno di noi ha talento in determinati ambiti. Ci fidiamo l’uno nell’altro ed è la cosa più importante in questo momento. È buffo, perché probabilmente tutto deriva direttamente dai traumi che abbiamo vissuto nell’ultimo anno, ma ne siamo usciti più uniti che mai. Siamo diventati ossessionati dalla musica e dal collezionismo di dischi, e passare più tempo assieme fa bene alla nostra musica e agli affari.

Esattamente a cosa ti riferisci quando parli di traumi?
Auerbach: Aver fatto tutto il lavoro preliminare, partire in tour e suonare, per poi vederci portare via tutto e rovinare il legame che abbiamo creato con i fan proprio quando ci sembrava di essere in un ottimo momento. Come abbiamo detto, gli show in Europa, anche se la parte finanziaria è stata gestita in modo pessimo, sono stati fantastici e ci aspettavamo lo stesso rientrando negli Stati Uniti. Avevamo modificato le scalette, suonavamo delle cover, avevamo in programma di fare anche altro. Vedersi strappare via tutto questo dalle mani è stata una cosa che non avevamo mai provato prima, in oltre 20 anni di attività. Quindi sì, è stato traumatico. Ma siamo più grati che mai perché ora possiamo andare in giro a suonare e possiamo rivedere i nostri fan.

Sembrate stare meglio a livello mentale rispetto a sei o nove mesi fa.
Carney: Sì. Siamo competitivi e ci piace lavorare. Ma iniziamo ad agitarci quando capiamo che le regole sono state stravolte al punto che non è più possibile vincere. Ora ci ispiriamo a persone che giocano in modo diverso e non si fanno risucchiare da queste stronzate. La loro idea di successo è più legata al modo in cui si relazionano con i fan. È a loro che ci ispiriamo. Quasi tutti i dischi che ho amato da piccolo, come Marquee Moon dei Television o London Calling dei Clash, sono stati dei flop commerciali, eppure per me sono importanti. Di tutta questa faccenda più che altro penso: non è pazzesco che siamo riusciti a vivere una fase della nostra carriera in cui abbiamo pubblicato due dischi di doppio platino, uno dietro l’altro, in un momento in cui la gente aveva smesso di comprare i CD? Abbiamo vissuto la coda finale di un’epoca. Spero che tutto quello che stiamo facendo abbia una certa risonanza. Ma se non sarà così, faremo semplicemente un altro album.

Qual è la vostra definizione di successo nel 2025 rispetto al periodo di Brothers/El Camino?
Carney: Non avevano mai passato una nostra canzone alla radio ed esistevamo da otto o nove anni, un sacco di tempo, più di quanto sono durate molte delle mie band preferite. Quando è arrivato il successo non siamo mai riusciti a godercelo perché lavoravamo sodo. Era come se la ricompensa per avere fatto un buon lavoro fosse ancora più lavoro. E continuava ad arrivarne sempre di più, finché non ci siamo esauriti. Penso che tutto accada per una ragione. Quello che è successo l’anno scorso è stato un pugno in faccia che ci ha fatto capire come dobbiamo comportarci se vogliamo avere una carriera lunga. La nostra versione del successo, ora, è essere in grado di fare la musica che vogliamo, farla ascoltare alla gente e fare dei concerti a cui vengono i fan. Molto semplice.

Che cosa avreste fatto di diverso nel 2024, avendone la possibilità?
Carney: Non voglio ripensare al passato. Sono cose che succedono. Andiamo avanti.

Da Rolling Stone US.