Sulle prime spaventano un po’ i nomi d’arte senza le vocali. Non sai mai come pronunciarli: devi fare lo spelling come con LNDFK (letta all’inglese el-en-di-ef-key) oppure le vocali vanno pronunciate ma devi necessariamente conoscerle tu, tipo SBTRKT che si pronuncia subktrakt? Il modo migliore per togliersi il dubbio comunque è chiederlo sempre a chi conosce già l’artista. O meglio ancora, all’artista stesso. Potrebbe dirti che LNDFK sta per Linda Feki, nome metà italiano metà tunisino, e che non c’è LNDFK senza Dario, il suo produttore. Ma non vorrei spoilerare troppo l’intervista qui sotto.
Il primo EP è uscito a novembre, per cui Linda e Dario stanno portando il loro live elettronico in giro per la penisola. Il 30 marzo saranno al Labò di Parma, il 31 al Buh Circolo Culturale Urbano di Firenze, il 7 aprile al Tilt di Avellino e l’8 Spazio Intolab di Napoli.
LNDFK è una o due persone?
Linda: Siamo in due ma io sono il volto del progetto. Lui invece è il producer [indica Dario].
Da dove venite?
Linda: Da varie parti. Io sono nata in Tunisia, mio padre è arabo. Sono cresciuta a Napoli, dove ho conosciuto Dario quattro anni fa. Studiavamo nella stessa scuola di jazz, siamo entrambi del 1990.
Dario: Io sono napoletano. O meglio arzanese, da un paesino attaccato a Napoli. Lì ho uno studio in cui produco beat hip hop ed elettronici. Ho un diploma in pianoforte al Conservatorio, ma a forza di produrre beat ho sentito il bisogno di cercare una voce..
Linda: E io cercavo un produttore! Ci siamo ritrovati a suonare standard jazz ma siamo passati in fretta a comporre roba nostra.
Senti, tanto prima o poi ve l’avrei fatta questa domanda, tanto vale farla subito: state anche insieme?
Linda: Non lo so, tu che dici?
Secondo me, sì.
Linda: Sì, stiamo insieme. È nata prima la musica ma a forza di stare sullo stesso progetto è scattato qualcosa. Molta empatia, stesse influenze: il resto è venuto da sé.
A me il timbro di Linda ricorda un po’ quello di Syd, la cantante degli Internet. Che dischi usate per riferimento?
Dario: Ce ne sono svariati. L’obiettivo sarebbe suonare come gli Hiatus Kaiyote: sarebbe il sogno. Noi comunque ascoltiamo musica che viene prevalentemente da Los Angeles e da etichette come la Brainfeeder.
OK, la corte di Flying Lotus.
Dario: Flying Lotus, Taylor McFerrin, Thundercat, Anna Wise, Kendrick Lamar. Tutta questa scena di neo-funk elettronico fortemente influenzato dal jazz. Merito anche della posizione, la California è sempre stata un passo avanti parlando di contaminazioni. Puntiamo a quello.
Linda: Abiamo avuto la fortuna di ascoltare molti di questi artisti dal vivo in America. Anna Wise e Taylor McFerrin a New York. Molti altri in Europa, come Kamasi Washington all’Umbria Jazz.
Ma a voi è piaciuto? Secondo me ‘ste due batterie sul palco erano troppe.
Linda: Ci sono stati pareri molto discordanti. Due batteristi erano superflui.
Dario: Uno dei due batteristi è il fratello di Thundercat, Ronald Bruner. Il disco è bellissimo ma ammetto che dal vivo sono quasi dei metallari, come lo potrebbe essere Mike Patton e le robe pazzissime che ha sempre fatto. Ci sta che sei rimasto un po’ deluso.
Comunque che ci facevate a New York?
Dario: Ci abbiamo vissuto per tre mesetti l’anno scorso. Ho dei parenti a Long Island quindi è stato più facile trovare un appoggio di là. Ho avuto anche la possibilità di studiare con alcuni musicisti: esperienza incredibile. Ti apre la mente.
E dopo New York dove avete vissuto?
Linda: Siamo tornati a Napoli per un periodo e poi ci siamo spostati a Parigi, dove è iniziata una collaborazione con due producer del luogo. Collaborazioni ancora embrionali che non sono uscite. Poi di nuovo a Napoli perché è iniziato il tour, ma ci piacerebbe tornare in Francia il prima possibile.
Lust Blue è stato il primo EP in assoluto?
Linda: Sì, è uscito a novembre per Feelin’ Music, un’etichetta svizzera, e ha dentro un po’ di collaborazioni carine, tra cui un producer pugliese Bonbooze. Adesso stiamo già lavorando all’album.
Sarà pieno di campionamenti pazzi come l’EP? Ho sentito che vi siete sbizzarriti.
Dario: Un sacco di campioni che uso sono presi da vinili, quindi hanno delle vere batterie. Ma molti arricchimenti percussivi e ritmici sono stati completamente creati a partire dall’ambiente. Abbiamo campionato il ghiaccio in un bicchiere, le catene della macchina, lo zucchero oppure i suoni della bocca. Sono sicuro che faremo così anche nell’album. Parto da un campione e poi vado ad aggiungere effetti con Ableton. Faccio una specie di sound design, che alla fine secondo me aggiunge valore rispetto ai producer che spulciano le librerie di suoni senza metterci qualcosa di loro.
Linda: Poi vorremmo portare questa cosa anche nel live. Una volta è successo che, essendo rotta l’asta, ho dovuto attaccare il microfono con il nastro adesivo all’asta. Mi piaceva il suono del nastro quindi mi sono ritrovata a usarlo dal vivo come uno strumento. A breve introdurrò anche una batteria elettronica nel live perché ho iniziato a suonarla per i fatti miei.
Questo vostro essere po’ hip hop ha a che fare con Napoli?
Dario: Certo che sì. Vengo da Arzano, che è vicino a Secondigliano e tutte quelle zone di Gomorra in cui il rap è sempre andato fortissimo. Sono nato in una famiglia abbastanza borghese—sai, pianoforte, studi al Conservatorio—ma poi uscivo di casa e mi ritrovavo fra MC, writer e gente di strada.
Linda: La mattina suonava Beethoven al pianoforte, il pomeriggio Bill Evans e alla sera ascoltava J Dilla.