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Lo Stato Sociale a Sanremo 2021: «La competizione va bene per i cavalli, non per gli artisti»

Non considerano il Festival una gara, ma uno spettacolo a cui contribuiranno con ‘Combat pop’. Porteranno all'Ariston i lavoratori dello spettacolo. Zero fighettisimi: «Vogliamo parlare alla pancia del Paese»
Lo stato sociale rolling stone

Foto: Jessica De Maio

Con quel nome d’arte e il periodo che stiamo vivendo, sono forse fra i più attesi all’Ariston. Perché come sempre Lo Stato Sociale, oltre a farci ballare, ci farà riflettere e sorridere. Dopo Una vita in vacanza che si era classificata seconda nel 2018 – ma è un tormentone che ancora riecheggia – si presenteranno a Sanremo con il brano Combat pop, che invece è un manifesto di intenti: «Sottolinea la nostra critica sociale con vocazione popolare». E nella serata delle cover, come è stato annunciato, saliranno sul palco con l’attore Sergio Rubini e i lavoratori dello spettacolo interpretando Non è per sempre degli Afterhours.

Li abbiamo incontrati via Zoom, tutti divisi in albergo secondo le disposizioni anti-Covid, per capire qual è l’approccio a un festival così particolare e quali sono i loro obiettivi. Uno di certo lo hanno escluso: «La competizione va bene per i cavalli, non per gli artisti».

Intanto come state vivendo uno dei Sanremo più strani della storia?
Bebo: Siamo tutti divisi ma uniti in albergo e in questi giorni di prove abbiamo constatato tanta giusta preoccupazione per il Covid. Siamo super tamponati ed effettivamente è tutto un po’ strano, certo però lo sarà ancora di più nella settimana del festival e soprattutto l’impatto con il teatro vuoto. Ma siccome siamo professionisti, cercheremo di portare a casa anche questo.

Carota: Ci sono tantissime file, sembra sempre di essere davanti alla posta. È difficile poi il rapporto umano, perché ci sono tante persone che conosciamo, ma non possiamo salutarle come vorremmo. Ci rivediamo poi su Zoom, però che palle.

Una band come voi abituata al coinvolgimento del pubblico, come si prepara alla sua totale assenza?
Checco: Essendo un Sanremo caratterizzato da tanti colleghi che arrivano dal giro live, sarà una performance ancora più anomala. Più televisiva che teatrale. Tutti gli artisti hanno bisogno della gente e noi cerchiamo spesso di abbattere la barriera palco-pubblico, il fatto che non ci sia uno dei due elementi ci rende tutto un po’ più difficile, ma stiamo lavorando affinché qualcosa sul palco accada per uno spettacolo bello anche per chi è a casa.

Lodo: Stiamo cercando di portare sul palco della gente particolarmente famosa. I famosissimi.

Da tifosi di calcio, con che spirito vivete la competizione? Vi sentite più come la Juve, che parte sempre favorita, o il Leicester, la possibile rivelazione?
Checco: Come metafora abbiamo sempre preferito il Foggia di Zeman.

Lodo: Come diceva il poeta: “Competitions are for horses, not artists, la competizione va bene per i cavalli, non per gli artisti”. Non si tratta di una gara, ma di uno spettacolo. Se lasci il segno, non importa arrivare noni come l’anno scorso Achille Lauro. Non è importante la competizione. In un momento così, per noi non conta affermare una propria identità al di fuori di un contesto, come nel 2018, ma la nostra appartenenza in un contesto, cioè quella di chi si troverà all’improvviso a Sanremo arrivando dal mondo della musica live che è stata, per ora, azzerata.

Come vi immaginate la musica post pandemia? Più tecnologia o comunque ritorno ai live?
Carota: Lo streaming è veramente insopportabile. Ci ho anche provato ad acquistare i biglietti per alcuni spettacoli, però è come vedere dei live su YouTube. Se vendi un servizio deve essere qualcosa che la gente non si aspetta. A me piacerebbe tantissimo la realtà aumentata. Ho già fatto delle chiacchiere con dei ragazzi che sviluppano questi software per una esperienza immersiva. In quel caso sarei molto favorevole a utilizzare una tecnologia alternativa. Ma il vero core business rimane sempre il live.

Lodo: Mi immagino un ritorno all’età precolombiana. Sono stato a pranzo qualche giorno fa e non si trovava un posto a sedere. Appena le “gabbie” sono aperte c’è una grandissima fame. Per questo mi prefiguro un mondo dei concerti stretto, sudato e pieno di contatto umano. Io più che altro mi chiedo: come sarà il mondo della musica? Ci sono persone che sono diventate famose in questo periodo che non hanno mai fatto un concerto. Saranno capaci di sostenere i live scompariranno, o saranno loro a insegnarci come si fanno i concerti attraverso una naïveté che noi non abbiamo?

Mi collego a quanto ha detto Lodo, visto che ha vissuto l’esperienza di X Factor. Che cosa hai potuto verificare da parte dei concorrenti, giovani o meno, verso un diverso approccio alla musica?
Lodo: Oscar Wilde ha detto: “L’ignoranza è come un delicato frutto esotico. Basta toccarlo perché la freschezza scompaia”. In generale, l’occhio innocente è capace di visioni. Nella musica degli ultimi 20-30 anni i cambiamenti sono sempre partiti dalle osterie o dai club con la voglia di rifiutare un meccanismo esistente. Nei talent in questo momento, parlando di diritto del lavoro, c’è un punto cruciale da cambiare. Mi riferisco al contratto che blocca questi ragazzi. Se è vero che trovi il disperato pronto a fare qualsiasi lavoro per mezzo euro al giorno, e questo va combattuto, trovo altrettanto ingiusto che si impedisca a quei giovani di esprimersi. Perché quando entrano nel talent firmano un contratto con una major alla quale sono legati per tre anni. Magari arrivano secondi o terzi, oppure semplicemente l’etichetta non ci punta subito e quindi rimangono fermi. Ecco, sarebbe importante dargli la libertà di massimizzare quel periodo di popolarità. Per questo vincono gli streamer rispetto a quelli che escono dai talent, perché nella maggior parte dei casi chi esce dai talent non viene subito sostenuto dalla major e magari arriva sul mercato troppo tempo dopo.

Facendo un passo indietro all’ultimo anno, vi siete sentiti trascurati dalle istituzioni?
Bebo: Per forza, facciamo parte del settore dello spettacolo che è stato martoriato. Un attore davanti a uno spettatore, da questo parte il nostro lavoro e non è stato fatto a sufficienza. Sono anche state ottenute alcune cose, sia tra fondi pubblici che da fondi privati, però la battaglia è lunga. Credo sia necessario che questo anno non venga dimenticato, anzi, deve diventare un trampolino di lancio per rinnovare il mondo dello spettacolo sui diritti, sulle condizioni economiche, sulla dignità e la salute di chi ci lavora. Il non sentirsi più solo come dei concorrenti o di parlare solo di cose tecniche ha compattato il settore. Ma le istituzioni sono state tragiche.

Carota: C’è un unico filo che collega l’industria musicale con tutti gli altri settori dello spettacolo. Che siamo legati ai luoghi in cui poi ci esibiamo. Verso i musicisti la tutela c’è stata, ma se non c’è verso i locali, dopo cosa andiamo a fare?

Fedeli al vostro nome d’arte, vi presentate con il brano Combat pop. Già dal titolo sembra un manifesto di intenti.
Albi: È una celebrazione della contraddizione. Viviamo in un mondo con delle mancanze di diritti, che vorremmo semplicemente aggiustare per il benessere collettivo. Ma bisogna vivere dentro questa contraddizione, mantenendo un conflitto con ciò con cui non sei d’accordo, provando a migliorare il contesto in cui vivi. Combat pop ha questo spirito di critica sociale ma con vocazione popolare.

Sono in pochi ormai gli artisti a inserire la critica sociale nei loro testi.
Lodo: Noi siamo quelli che forse di più cercano di parlare di queste cose con la pancia del Paese. Altri dicono cose anche più argute di noi, e alcuni sono a Sanremo, ma noi vogliamo arrivare a far ballare la nonna e il bambino. È questa la nostra sfida. Chi porta temi complessi spesso è convinto che siano solo per chi se li merita o per chi li sa capire. Noi, invece, manteniamo una utopia verso la gente, secondo la quale nessuno merita più o meno di accedere a dei pensieri che abbiamo sulla realtà. Se i nostri ragionamenti sono tradotti in maniera popolare arriveranno a tanti. Poi, molti non li capiranno, ma va benissimo. Preferisco tutta la vita il 20% di 100 che il 100% di 10.

È un po’ lo spirito emiliano che viene dalla musica delle balere?
Albi: Eh sì, l’emilianità è presente in questo gruppo e si traduce in aggregazione e socialità.

Prima di salutarci, qual è la vostra canzone preferita dei Sanremo passati?
Lodo: Se me lo dicevi prima di Jannacci.

Albi: La terra dei cachi di Elio e le Storie Tese.

Carota: Almeno tu nell’universo di Mia Martini.

Checco: Una vita tranquilla di Tricarico.

Bebo: Vacanze romane dei Matia Bazar.

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