Cinema e teatri chiusi sono un problema drammatico, ma c’è un altro pericolo che Lo Stato Sociale ha voluto denunciare dal palco di Sanremo attraverso la canzone Combat pop. Si tratta della «monocultura, perché ormai esiste un solo modo di pensare, di parlare, di amare, di votare, di stare con gli altri», racconta Lodo Guenzi in conferenza stampa.
«Siamo pieni di condizionamenti, di moralismi ipocriti, di cose che non si possono dire, di gente che si offende e questo crea medietà, ci fa rimanere nella mediocrità. Il bello invece è che al mondo c’è gente diversa. Per esempio Bologna vive una stagione di sgomberi. Allora, va bene che ci sia il supermercato, ma non deve uccidere il centro sociale».
Ieri sera i cinque hanno portato all’Ariston i problemi delle attività legate al mondo dello spettacolo chiuse da un anno a causa della pandemia. Sulle note di Non è per sempre degli Afterhours, sono stati affiancati da Emanuela Fanelli e Francesco Pannofino e hanno elencato i nomi di alcune sale chiuse per sempre o in attesa di riaprire. Anche stamattina erano con loro i due attori, così come i due rappresentanti dei lavoratori dello spettacolo già ieri sul palco.
«Bisogna capire che anche quando il Papa parla in piazza dietro c’è qualcuno che fa funzionare tutto. Dovremmo fermarci tutti, così si accorgerebbero che il Paese si blocca per davvero», ha ipotizzato Toto Barbato, gestore del live club The Cage di Livorno. E gli ha fatto eco Morris Donini del Cinema Mandrioli della provincia di Bologna: «Purtroppo non c’è stata neppure l’adesione di tutti gli artisti a questa campagna di sensibilizzazione. Ma quando torneremo a proiettare in sala ci ritroveremo in più la concorrenza delle piattaforme streaming e rischiamo di riaprire nel deserto».