Dei mesi di lockdown nelle grandi città sappiamo tutto: le strade svuotate e lasciate ad ambulanze e rider, gli ospedali paralizzati, i supermercati presi d’assalto, le code per i tamponi. Ma com’è stato vivere quel periodo in un posto dove l’isolamento è una condizione naturale? Ascoltare Lettere da Altrove è un buon modo per capirlo. Si tratta di un progetto multimediale – un concept album e una serie di video – che racconta una storia ambientata in un ricovero barche su un lago del Nord Italia. L’ha scritto Lory Muratti, polistrumentista, scrittore e regista che per anni si è firmato con lo pseudonimo Tibe.
«Questo disco è stato un progetto salvagente», spiega al telefono. «A marzo nulla di quello che avevo in programma poteva essere messo in pratica, avevo un disco e un romanzo pronto, ma non potevo fare nulla. Ero appena uscito da una dimensione creativa e mi ci sono ritrovato di nuovo, e in un certo senso è stata la mia ancora di salvataggio. Non pensavo che si sarebbe trasformata in qualcosa di così compiuto, perché all’inizio volevo solo scrivere una storia. Poi mi è esploso tutto in mano».
Lettere da Altrove è un disco spoken word con chiare influenze post rock. È pieno di chitarre avvolte nel riverbero, suoni allungati e distorti, atmosfere sospese, sezione ritmica quasi assente. Al centro c’è la storia di due amanti, imprigionati in un ricovero barche a causa di un’epidemia. «Io parto sempre da una dimensione letteraria, scrivo racconti che per catarsi si trasformano nel testo di una canzone. Di solito i brani sono cantati, vivono nell’universo dell’alternative rock, ma in questo caso ho scelto di mantenere una voce più recitata così da tenere al centro la forma narrativa». L’obiettivo, spiega Muratti, era esplorare «la dimensione emotiva e psicologica dell’isolamento. Non mi sono occupato di notizie pure, dell’allarme, tantomeno di aspetti sanitari o sociali. Volevo raccontare quello che si era perso nel calvario mediatico in cui ci siamo ritrovati tutti».
Bloccato sul lago di Monate, in provincia di Varese, Muratti ha lavorato in totale solitudine, confrontandosi al telefono con l’etichetta e i suoi collaboratori. Nel frattempo, attorno a lui l’atmosfera si faceva sempre più inquietante. «Il vero piano surreale, per chi vive in posti come questo, è che sembrava che nulla fosse cambiato. Anche io andavo a fare la spesa e vedevo le persone turbate, ma ero al centro di una bellezza ingannevole, e mi sembrava di vedere dei fantasmi. In un certo senso eravamo tutti dei fantasmi, e questa assenza mi ha spinto a scrivere come non avevo mai fatto».
Lavorare a Lettere da Altrove l’ha tenuto impegnato ben oltre il lockdown, fino alla fine dell’estate. Il disco esce oggi, mentre diversi Paesi europei – e forse anche l’Italia – si preparano a rientrare in isolamento. «Per me fare questo disco è stato un conforto e spero che possa esserlo anche per chi ascolta. Devo ammettere che quando ho alzato la testa e ho iniziato a parlarne in vista dell’uscita, rendermi conto che stavamo tornando lì è stato straniante», dice Muratti. «Da un certo punto di vista è come se fossi completamente preparato, dall’altro mi domando come sarà questa volta». Magari potrà esplorare le differenze tra i due isolamenti in un altro progetto. «Questo disco è basato su delle lettere scritte nel futuro e rivolte a questo momento», spiega. «Mi piacerebbe ricevere delle risposte dagli altri, trasformarle in una corrispondenza. Sarebbe davvero bello».