Quando ad Adrianne Lenker capita di sentire la musica dei dei Big Thief in sottofondo in qualche bar ha sempre una sensazione di imbarazzo. «Mi viene in mente come mi sentivo quando l’ho registrata, quanto fosse radicale e potente quella sensazione, quasi fisica», spiega. «Poi l’ascolti in un bar e l’effetto svanisce, diventa sottofondo, perde ogni drammaticità».
Negli ultimi anni i Big Thief sono finiti nelle casse di parecchi bar e locali. Coi due album del 2019 U.F.O.F. e Two Hands il quartetto di folk-rock sperimentale è arrivato al livello di successo indie che permette di fare sold out nei teatri, conquistare due nomination ai Grammy e attirare qualche inevitabile critica.
«È bello quando una band motivata esclusivamente dalla voglia di fare arte spacca», dice Jeff Tweedy dei Wilco, da sempre fan della band. «Una delle ragioni per cui piacciono è che ogni loro pubblicazone è a un livello alto».
Nessun altro album della band è frutto di un processo radicale quanto il doppio in uscita l’11 febbraio Dragon New Warm Mountain I Believe in You. Nei giorni difficili dell’estate 2020, in pieno lockdown, Lenker, il chitarrista Buck Meek, il batterista James Krivchenia e il batterista Max Oleartchick hanno passato cinque mesi registrando in giro per gli Stati Uniti, dal deserto dell’Arizona alle montagne del Colorado, fino a New York e Los Angeles. A un certo punto si sono ritrovati a registrare il suono del ghiaccio che si frantuma.
Ne è venuto fuori un album che racchiude il meglio dei Big Thief, che rifiniscono il loro stile – il rock fluttuante di Little Things, il pop con drum machine di Wake Me Up to Drive, il folk sgangherato di Certainty – in un’opera ampia e unica. «La scrittura di Adrianne ha tante sfaccettature», dice Krivchenia, qui anche produttore. «Ho pensato che sarebbe stato bello dare spazio a tutto quanto».
Dragon New Warm Mountain interseca le tipiche narrazioni a base di traumi, cuori spezzati e natura con una leggerezza nuova, sia dal lato musicale che dei testi, un aspetto della scrittura di Lenker che la band voleva mettere in primo piano. Krivchenia ricorda bene il momento in cui Lenker gli ha fatto ascoltare un pezzo che considerava uno scarto, Spud Infinity, nel cui testo “finish” fa rima con “potato knish”. «L’ho ascoltata e mi è venuto da piangere. E lei: nel pezzo dico “pane all’aglio”, non si può dire in una canzone».
Spud Infinity è un pezzo leggero e rootsy arricchito dal violino di Mat Davidson dei Twain, qui per dare risalto a un altro aspetto sottovalutato degli interessi del gruppo. «Quando ho incontrato Buck ci siamo trovati grazie alla musica di Iris DeMent, John Prine e Blaze Foley», spiega Lenker. «Rappresentano una parte profonda della nostra identità».
È come se la band, in tutto il disco, raggiungesse una profonda consapevolezza di sé. «Abbiamo tutti un barometro che dice cosa dovrebbero essere i Big Thief», spiega Krivchenia. «A volte ci capita di riascoltare certe cose e pensare: wow, la gente impazzirebbe, ma non sarebbe da noi».
I Big Thief pubblicano musica con regolarità sin dal debutto del 2016. Durante la pandemia, mentre altri artisti si sono ritrovati di fronte a ostacoli creativi e logistici, tre membri della band hanno pubblicato dischi solisti. Per Dragon hanno registrato 45 canzoni e Krivchenia suggerisce che da quelle session potrebbe nascere un altro disco di inediti. «A ognuno di noi vengono in mente quattro pezzi meritevoli di entrare in un disco».
Adrianne Lenker sa benissimo che il carattere prolifico del gruppo ha contribuito al suo successo. Mentre la musica dei Big Thief entrava nelle caffetterie d’America e animava le playlist dei servizi di streaming, la cantante riusciva a vedere con più chiarezza il ruolo della band in un’industria come quella della musica «decisamente imperfetta e in molti casi dannosa».
È un bel paradosso per un gruppo cresciuto con il busking nelle strade di Brooklyn. Come fa un collettivo sgangherato e art folk, che ama così tanto fare musica, a trovare il suo posto nell’era dello streaming e delle canzoni trasformate in merce di consumo?
«Siamo parte della macchina e io voglio cambiare le cose da dentro», dice Lenker. «Voglio coltivare un ambiente diverso nell’industria, nel mondo della musica o dell’arte… è un’industria dominata dai maschi e dal suprematismo bianco, vorrei creare degli spazi dove la gente non venga etichettata per il genere, il colore della pelle, l’orientamento sessuale. È il lavoro di una vita intera».
Alcune sue riflessioni sulla modernità sono raccolte nella nuova Simulation Swarm, che dice sia ispirata a una serie di esperienze intense, momenti da cui un altro autore avrebbe ricavato un disco intero: il ricovero di quattro giorni a Brooklyn nel maggio 2020, quando, dice, il suo corpo si è piegato dopo sette anni di tour; la separazione da cui è nato il suo album solista; l’infanzia, vissuta in una comunità separatista del Midwest che descrive come «una setta religiosa»; le riflessioni sul fratello biologico Andrew, che non ha mai incontrato ma di cui ha già cantato, ad esempio in Mythological Beauty.
È una canzone straordinaria e poco appariscente che spiega come Lenker e i Big Thief hanno coltivato il rapporto con la loro fan base. Lei lo ha capito durante alcune recenti date da solista e in acustico, quando ha notato che nel pubblico c’era chi piangeva, chi si abbracciava e cantava i suoi pezzi parola per parola. «Cazzo, questa roba sta girando», ricorda di aver pensato. «Mi hanno scritto dei messaggi per dire come la mia musica ha aiutato persone ad amarsi e accettarsi, e non c’è altro che voglio fare. Non m’interessa il successo di massa, né proiettare una certa immagine di me. Voglio che chi mi ascolta riesca ad accettarsi, amarsi e perdonarsi. Voglio che la mia musica sia una guida che aiuti le persone a ritrovarsi, non ad arrivare a me».
Tra le nuove canzoni ce n’è una che l’ha aiutata a mantenere i piedi per terra. È l’ultimo pezzo di Drargon, intitolato Blue Lightning, una canzone da falò che ha scritto sotto forma di lettera agli altri membri della band, che ora sono la sua famiglia. Più passa il tempo, più Lenker riesce a incorporare nella musica pezzi della sua vita adulta. «Come tutti, sto ancora elaborando la mia infanzia», spiega. «Ma siamo una band da un decennio, viviamo esperienze di cui poi scrivo. Abbiamo condiviso momenti tremendi e bellissimi».
E quindi i Big Thief chiudono l’album con un pezzo che parla di gioia collettiva conquistata condividendo esperienze. Nella canzone, Lenker canta di moralità e dice ai suoi compagni che “voglio essere la stringa che allacci”.
«Non sappiamo quando moriremo, è assurdo, triste, dolceamaro e meraviglioso. Le amicizie, però, sono importanti», dice degli altri della band. «Viaggiamo assieme, facciamo una sacco di esperienze, sogniamo insieme e ci facciamo domande, parliamo insieme e non troviamo mai…».
Fa una breve pausa. «Forse non troveremo mai le risposte, ma il viaggio lo facciamo assieme condividendo le nostre domande».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.