Ogni persona dovrebbe avere diritto ad almeno un aneddoto con un VIP. Che sia il compagno di scuola diventato grande attore, la tizia a cui si chiedono indicazioni per strada e appena si gira si scopre che è la famosa giornalista, o quello dietro in fila alla biglietteria del cinema che assomiglia tanto al presentatore TV e alla fine è proprio lui, un buon aneddoto è motore di conversazioni e collante sociale, a volte anche una grande lezione di vita. Non me ne vogliano i lettori, ma io ho un aneddoto con un VIP pazzesco. A novembre 2018 ero alla cena di compleanno di un amico, e c’erano molti altri conoscenti tra cui un cantante che aveva prodotto qualche bel singolo e che aveva appena vinto Sanremo Giovani, garantendosi un posto al Festival. Complimentandomi con lui, mi disse «Sì, ma tanto non succederà niente, non so neanche perché ci vado». A febbraio 2019 vinse il Festival di Sanremo con il brano Soldi. Il cantante era Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood.
Di solito sul finale di questa storia mi vengono anche un po’ gli occhi lucidi pensando alla strada che ha fatto questo ragazzo d’oro della musica italiana con un talento troppo grande per stare dentro i nostri confini, con uno stile così riconoscibile da renderlo uno degli autori più interessanti degli ultimi anni, che vince due volte Sanremo con un’estetica che starebbe bene al Coachella. Eppure lui continua a stare in guardia, lo si vede anche nel documentario Mahmood, uscito a fine 2022 per Amazon Prime. Pronto sempre a dire che le cose potrebbero non andare bene, che bisogna stare attenti, che la fortuna potrebbe girare. Però intanto il 13 maggio sarà ospite dell’Eurovision 2023, il 24 maggio lo sentiremo al cinema a doppiare l’attesissimo live action de La Sirenetta, ad aprile 2024 girerà l’Europa per un tour che toccherà 10 paesi, e per riuscire a farci una chiacchierata con calma devo farmi commissionare un’intervista per Rolling Stone.
Foto: Jack Henry. Stylist: Lisa Jarvis
Ho l’impressione che qualsiasi cosa gigantesca stia per succederti, tendi a sminuirla, a dire «Sì, ok, ma tanto non è detto che vada bene». Lo fai per scaramanzia o lo pensi veramente?
Tutte le persone che lavorano con me mi dicono che sono pessimista. Credo sia un modo per proteggermi dalle cose brutte che possono succedere. Partire con basse aspettative non ti può deludere troppo. Io tante volte non sono stato capito. Dopo una, due, tre volte che succede, alla quarta cominci a dirti, «Ok, potrebbe non capirmi nessuno». Io cerco di fare il massimo, ma penso ci sia sempre il rischio che non vada come sperato. Mi fa stare più tranquillo.
Non fantastichi mai su grandi cose che ti possono succedere? Tipo, non lo so, quando sarai candidato agli Oscar per una tua canzone in un film e dovrai esibirti davanti a tutta Hollywood.
Macché, io immagino il peggio. A Sanremo 2023 io e Blanco eravamo ospiti per cantare Brividi e indossavo delle scarpe altissime di Rick Owens. Tutto il tempo pensavo, «Ecco, cadrò dalle scale, adesso vado per terra». Poi quando mi capitano i grandi eventi, mi sento in dovere di dimostrare che sono all’altezza, quindi mi isolo, mi concentro, non ho tempo di pensare ad altro. Me la godo solo quando ho finito.
Lo fai anche prima di ogni data del tour?
In tour succede una cosa diversa: la testa mi gioca dei brutti scherzi. Sto per salire sul palco e mi sento già stremato, come se stessi per svenire. Appena sono davanti al pubblico, poi, sto benissimo. Solo alla fine tour ero davvero stremato. L’anno scorso ho avuto tante soddisfazioni, ma ero ko. Dovevo fermarmi un attimo.
Con la scrittura come sta andando invece?
Ultimamente sono più lento. Per due anni non ho fatto altro che scrivere, ora ho rallentato i ritmi. Anche se in realtà non so se sono più lento o se pretendo di più da me. Ho capito che non voglio scrivere perché mi sento costretto a farlo. Mi sono preso questo anno proprio per scrivere senza costrizioni.
Foto: Jack Henry. Stylist: Lisa Jarvis
Sono andata a rileggere l’intervista che ti aveva fatto Rolling Stone dopo il Festival 2019, che è stata anche la tua prima copertina. Ti chiedevano come si gestisce un successo improvviso. Ora che il successo è stabile, ti chiedo se il successo ha cambiato qualcosa di te e se è diverso da come ti immaginavi.
Per me non è cambiato molto rispetto a prima perché di base mi sento sempre come se mi mancasse qualcosa, come se fossi incompleto, sia nel percorso artistico che nelle relazioni, o con i miei amici. Penso sempre che potrebbe essere meglio, come se dovessi sempre correggermi. Ho scoperto che il successo non diminuisce i problemi, ma neanche li aumenta, però cambiano forma. Ci sono cose da gestire diverse rispetto a prima, ad esempio non ho più lo stesso tempo per scrivere che avevo una volta perché ho molti più impegni.
Ti manca il modo in cui scrivevi prima del successo?
Dopo questi anni sto cercando di tornare al modo in cui scrivevo nel periodo di Gioventù bruciata. Tornare a quella semplicità. Sono uscito con Ghettolimpo nel 2021 che è un disco difficile per certi versi, dove abbiamo osato a livello di produzione e di concetti, parlando ad esempio di mitologia.
Quando ho sentito il disco ho pensato, «Il prossimo ballo di gruppo non è qui».
Ecco, no, ma avevo la necessità di uscire con un disco diverso, che ho capito sempre di più portandolo in tour. Voglio che i miei pezzi mi smuovano qualcosa, sennò vuol dire che sto scrivendo tanto per scrivere. Mi è capitato di scrivere solo per la fretta di chiudere un brano, adesso non lo voglio più fare.
Sicuramente rispetto a prima è cambiato il fatto di avere un pubblico che ti osserva. Hai paura di deludere le aspettative degli altri?
Mi sono posto questo problema, però credo che se pensi così è finita. Io lavoro come se da domani non ci fosse più nessuno ad ascoltarmi. Devo fare una canzone come se nessuno mi conoscesse e quindi anche sentendomi libero di parlare di quello che voglio. Non posso scrivere pensando di dover mettere una cosa o un’altra perché sennò non mi ascoltano più, o perché così “funziona”.
Quindi ancora niente ballo di gruppo?
La vedo dura.
Invece rispetto ai temi dei tuoi brani, senti che qualcosa è cambiato?
Il primo disco parlava di tutto quello che avevo fatto nella vita, avevo 26 anni di cose da dire. Ora sto cercando di essere più specifico, chirurgico, andare in profondità sui sentimenti e i ricordi che voglio raccontare. Alla fine il risultato che voglio ottenere è sempre lo stesso: quando faccio sentire per la prima volta un brano a qualcuno, voglio un po’ vergognarmi.
In che senso?
Nel senso che voglio sentirmi in imbarazzo perché sto facendo ascoltare qualcosa di molto intimo. Se non provo questa sensazione, c’è qualcosa che non va.
Quindi c’è l’ambizione di avere un messaggio?
Sono canzoni che vorrei cantare per anni sul palco, non riuscirei a cantare minchiate.
C’è gente che ci ha fatto i miliardi.
Io mi prenderei male, mi sembra di vendere fuffa. Ma forse sono io che la prendo troppo sul personale.
Il discorso sul “vergognarsi” vale anche per i brani degli altri?
In quel caso no perché mi metto nei panni di un altro, quindi sento meno la responsabilità di essere sincero con me stesso.
Ma quando funzionano i brani che scrivi per altri, non ti viene da dire «Uffa, potevo cantarla io questa»?
Lo pensano le persone che lavorano con me (ride). Me lo fanno notare e in quei momenti cerco sempre di spiegare che è giusto che sia andata a qualcun altro, che in un qualche modo il successo torna comunque indietro, ma io non provo nessuna invidia.
Foto: Jack Henry. Stylist: Lisa Jarvis
Ti sarà capitato che qualcuno rifiutasse un pezzo che avevi scritto per lui o per lei. Come ti senti in quei momenti?
Faccio sempre un esame di coscienza. Forse sono stato troppo libero? Ho seguito troppo il mio gusto? Però penso che il modo migliore per lavorare con qualcuno sia trovarsi con quella persona in studio. Quando mandi un pezzo diventa tutto molto freddo: all’artista arriva una cartella con un tot di file da sentire, che spesso si ascoltano uno via l’altro. Non è molto “artistico”, diciamo. Per il lavoro che ho fatto con Giorgia le ho mandato tanti spunti e riferimenti, lei li ha commentati e analizzati con me e poi è nato il brano Normale. Quando c’è un rapporto diretto è sempre più facile.
Tu non hai mai rifiutato qualcosa fatto da altri?
Onestamente non riesco a dire subito «No, questa non la canto». Prima di tutto per una forma di rispetto, e poi perché penso che in un secondo momento quella cosa potrebbe piacermi, esattamente come può succedere agli altri quando sottopongo le mie idee. In questo anno sto facendo un lavoro di questo tipo, di “scrittura mista”, con altri produttori. Per quello ci sto mettendo tanto. Scusatemi.
Mica ti devi scusare, prenditi il tempo che hai bisogno.
Su Instagram c’è la gente che mi scrive di continuo, «Quand’è che fai uscire cose nuove?». Però per me è importante prendermi tempo per scrivere cose che mi convincono. Poi magari esce il nuovo disco e fa schifo a tutti ed è un flop, però io devo essere a posto con la coscienza. Se non piace, ma io sono convinto al 100%, allora non posso starci male.
Hai lo stesso approccio con il lato estetico del tuo lavoro?
Per me è importantissimo, l’outfit giusto mi dà energia, mi trasforma. Poi con i social e il fatto che sei sempre fotografato durante i live, la parte estetica è fondamentale. Io amo fare ricerca e lavorare con persone molto competenti anche in questo ambito. Adesso sto lavorando con la stylist Lisa Jarvis e l’art director Billy Lobos, mi piacciono perché hanno una visione molto libera, diversa da schemi rigidi come «Devi andare in TV, quindi devi essere elegante». È come lavorare con altri autori: ci si scambia le reference, poi ti propongono qualcosa che a volte potrebbe non convincere subito, ma invece di dire no a priori, provi e alla fine funziona.
Stai lavorando anche con produttori stranieri, come ti trovi?
Hanno un approccio un po’ diverso, anche loro hanno una visione più libera. Mentre magari per trovare delle melodie forti in Italia si tende a seguire sempre la stessa struttura, all’estero no. Una parte di una canzone che qui verrebbe trattata come un’intro fuori può essere anche un ritornello. Questa cosa mi aiuta a liberarmi da alcuni schemi che mi sono creato in questi anni.
Ora hai annunciato anche un tour europeo per il 2024 che avrà solo una data in Italia, il 17 maggio 2024 al Fabrique di Milano. Hai ambizioni internazionali per il futuro?
Uscire per me significa libertà. E poi io mi sento tanto italiano quanto europeo, quindi sono felice di esibirmi in giro per l’Europa. Durante questo anno ho provato anche a scrivere in inglese e spagnolo. È difficile per me scrivere in un’altra lingua, ma prima o poi un tentativo lo farò.
Parlando invece di nuovi lavori che stai facendo, il 24 maggio uscirà il film La Sirenetta dove sarai la voce del granchio Sebastian. Come è arrivata la chiamata?
Il mio manager mi aveva segnalato l’opportunità di un provino per la Disney, senza dirmi per cosa. Poi ho intuito che fosse per il remake della Sirenetta, ho detto subito che volevo provarci. Durante il provino ho registrato un pezzo da In fondo al Mar e due da Baciala, e poi un paio di frasi del parlato di Sebastian. Sulle canzoni ero prontissimo, le avrò cantante diecimila volte. La Sirenetta è il mio cartone preferito, io ero già Sebastian.
Foto: Jack Henry. Stylist: Lisa Jarvis
Tra l’altro il live action è girato in Sardegna, tutto torna.
È stato girato vicino ad Orosei. E a proposito di coincidenze: ho fatto il provino diretto da Massimiliano Alto. Un giorno mi ha detto, «Alessandro, ho visto che hai scritto una canzone che s’intitola Inuyasha», e io «Sì, esatto», «Beh, io sono la voce di Inuyasha». Mi sono quasi commosso.
Come è andata l’esperienza?
Non sapevo come funzionasse il doppiaggio e quanto fosse impegnativo. Ho passato tre settimane in studio a fare sessioni da otto ore tutti i giorni, prima per le canzoni, poi per il parlato. Però le persone che lavorano per Disney sono prese benissimo, uscivo sempre dallo studio col sorriso. Certo, poi andavo a cena e continuavo a parlare come Sebastian, sembravo un po’ rincoglionito.
Torno all’intervista che ti hanno fatto nel 2019 e ti faccio una domanda che si lega anche al documentario uscito per Amazon Prime. Nel 2019 ti chiedevano «Cominciano a girare dei video di te da giovane, che cosa ne pensi?». Ora questi video sono nel documentario, quindi ormai li hanno visti tutti.
Li hanno chiesti a mia madre, io non li avrei mai dati. Lei invece era già pronta con i DVD dei saggi, «Guardate come era bello!». Ero bruttissimo.
Non vedi queste cose in modo positivo, come passi per arrivare a quello che sei ora?
Per carità, sicuramente è servito. Però guardarmi è sempre un enorme imbarazzo, soprattutto a 16, 17 anni, coi brufoli e gli occhiali.
Il momento della canzone La notte ti adora col video in macchina è il mio preferito. La rifai nei prossimo disco?
Vuoi essere cacciata di casa? (Ride) Quello è il pezzo che mi imbarazza di più. Me ne sono fatto una ragione sulla sua presenza nel documentario, mi sono convinto che alla fine è giusto far vedere che si possono fare cose brutte e poi risalire. Però io ho sempre l’ansia che le cose risultino trash.
Che cosa per te è trash?
L’autoromanzarsi, l’autoincensarsi e l’autocommiserarsi sono trash, sono cose che non sopporto. Ho paura di farlo io e non mi piace quando lo fanno gli altri. Mi piace parlare di cose che mi sono successe o del rapporto con gli altri, ma non mi piace usare la retorica dell’aver lottato per qualcosa, oppure piangermi addosso.
Tu hai partecipato in dei contesti dove si abusa delle storie lacrimevoli, come i talent.
Un’altra cosa che mi imbarazza tantissimo è dare giudizi sugli artisti giovani, perché so sulla mia pelle cosa significa essere giudicato quando sei molto giovane. Non vorrei mai causare dispiaceri a una persona che ha ancora bisogno di crescere, potrei dirle la cosa sbagliata pensando di essere nel giusto. C’è gente che ha studiato per dare consigli ai giovani artisti, come gli insegnanti di tecnica vocale e di scrittura con cui ho lavorato negli anni, credo sia giusto affidarsi a loro per coltivare il potenziale.
Iniziano anche ad esserci molti esempi di persone che non vincono o non arrivano neanche a partecipare a un talent e poi fanno lo stesso il carrierone.
Questa è un’altra ragione per cui non riuscirei a giudicare: perché poi è un attimo che passo per quello che non ha capito niente.
A proposito di fama, a te è successo di diventare meme, che alcune tue frasi buffe o facce sconvolte vengono usate sui social. Io ad esempio ho più di uno sticker su WhatsApp su di te, in uno ti trasformi in un mammut.
Io ho lo sticker dell’imitazione che fecero di me e Blanco a Tale & Quale (mostra un’immagine di Francesco Paolantoni truccato da Mahmood, nda).
Cosa pensi quando ti rivedi nei momenti più imbarazzanti?
Penso che alla fine sono fatto così, c’è poco da fare. Mi imbarazzo quando faccio proprio degli errori palesi, mi dispiace ancora per quando ho salutato a fine intervista dicendo «Grazie a Radio Norba» e mi hanno corretto dicendo «Radio Bruno» (era il 2019, nda). Ho fatto una faccia con gli occhi spalancati…
In effetti forse la tua faccia è la cosa più memabile, soprattutto quando vinci qualcosa.
Un sacco di gente mi ha scritto quando abbiamo vinto a Sanremo con Brividi che io avevo un’espressione assurda. Forse mi vengono perché mi trattengo, non riesco ad esultare, mi sembra quasi maleducato.
Come fai a mantenere questo autocontrollo?
Forse nel caso di Sanremo era perché ci ero già passato. La prima volta non sono riuscito a controllarmi, quando Pippo Baudo mi ha dato il premio a Sanremo Giovani per Gioventù bruciata. È stata la felicità più grande, anche più della vittoria con Soldi.
Tu hai fatto due volte Sanremo, l’evento più nazionalpopolare che ci sia, però per il resto non sei uno molto televisivo. Che rapporto hai con la tv?
Ci vado solo se devo promuovere qualcosa, non voglio andare tanto per andarci. Non ho l’ansia di essere dimenticato. Faccio altre cose, come il doppiaggio per la Disney, quest’anno torno all’Eurovision come ospite. Per me è già tanto quello che sto facendo nonostante non abbia dei nuovi brani da far ascoltare. Non amo apparire per apparire. Mi piacere più stare nel mio e poi farmi vedere quando c’è qualcosa da mostrare.
Anche sui social non sei uno che appare molto, che fa costantemente dirette e stories.
Non ce la faccio, mi vergogno un sacco. Anche TikTok non riesco a usarlo, anche se ce l’ho. Però adesso mi ci metto, appena vado a Liverpool per l’Eurovision faccio cento video.
Il prossimo singolo lo fai con il balletto per TikTok?
Vedremo, non so ancora quale sarà il prossimo singolo. Se sarà qualcosa di ballabile, magari…
Intanto puoi allenarti con un balletto per La Sirenetta.
In fondo al mar in versione trap. Chele e dente d’oro.
Foto: Jack Henry. Stylist: Lisa Jarvis
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Le date del tour europeo:
Giovedì 4 aprile 2024 – Rockhal, Lussemburgo (Lussemburgo)
Domenica 7 aprile 2024 – Kentish Town Forum, Londra (UK)
Lunedì 8 aprile 2024 – Olympia, Parigi (Francia)
Mercoledì 10 aprile 2024 – Komplex 457, Zurigo (Svizzera)
Venerdì 12 aprile 2024 – Thonex Live, Ginevra (Svizzera)
Sabato 13 aprile 2024 – Live Music Hall, Colonia (Germania)
Lunedì 15 aprile 2024 – Paradiso, Amsterdam (Paesi Bassi)
Martedì 16 aprile 2024 – Cirque Royal, Bruxelles (Belgio)
Giovedì 18 aprile 2024 – Im Wizemann, Stoccarda (Germania)
Domenica 21 aprile 2024 – Huxleys Neue Welt, Berlino (Germania)
Lunedì 22 aprile 2024 – Stodola, Varsavia (Polonia)
Mercoledì 8 maggio 2024 – Riviera, Madrid (Spagna)
Giovedì 9 maggio 2024 – Razzmatazz, Barcellona (Spagna)
Sabato 11 maggio 2024 – Sala Mamba, Murcia (Spagna)
Domenica 12 maggio 2024 – Pazo de la Cultura, Pontevedra (Spagna)
Venerdì 17 maggio 2024 – Fabrique, Milano (Italia)