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Malika Ayane: «Berlino mi ha liberata dalle pressioni, qui non mi sento mai giudicata»

Il trasferimento in Germania, il nuovo singolo ‘Sottosopra’, la voglia di «andare dritta senza perdere tempo per cercare di piacere a tutti», il prossimo tour, serenità e birrette. Abbiamo incontrato la cantante nella capitale tedesca

Foto: Michele Piazza

«Hast du Platz für fünf Leute?», chiede Malika Ayane al barista, sfoggiando un ottimo tedesco. Fuori dal locale lo sfondo è il pallore consueto della capitale tedesca nei primi giorni timidi di primavera, piove a intermittenza, il cielo sopra Berlino a inizio aprile. A pochi metri dal nostro punto di ritrovo vive Blixa Bargeld, è facile incontrare il leader degli Einstürzende Neubauten tra le vie di Mitte. Nella zona un tempo sede dei primi club improvvisati negli scantinati, ora una vecchia balera degli inizi del Novecento guarda stupita il Museo dei Samurai costruito dall’altra parte della strada; nell’isolato accanto, l’ultima casa occupata del vicinato osserva i condomini archi-star tutt’intorno come un condannato a morte, mentre qualche fumoso locale jazz ancora si nasconde tra gallerie d’arte contemporanea e oyster bar.

«Questa piazza, queste strade, le case e le facce delle persone sono cambiate tantissimo dalla prima volta in cui sono venuta qui», racconta Ayane, «e certamente mi piange il cuore a vedere un concessionario di lusso là dove c’era il Tacheles (storico centro sociale di 9000 metri quadri sgomberato nel 2012, nda), ma credo sia anche giusto che il presente non rimanga invariato. Cioè, se io facessi le stesse cose con lo stesso atteggiamento della prima volta in cui sono venuta qui avremmo un problema», aggiunge ricordando il colpo di fulmine che la lega da tempo alla capitale tedesca.

«Avevo 18 anni, volevo fare la musicista, a Milano suonavo nei localacci accanto al Cimitero Monumentale. Lavoravo come receptionist in un ufficio che vendeva terreni su cui costruire antenne, probabilmente il luogo meno creativo del mondo. Il mio primo stipendio lo spesi per il biglietto aereo: non avevamo internet sui telefoni e dovevo attraversare tutta la città per andare alle serate dello YAAM», aggiunge, parlando dello storico avamposto reggae sulle rive della Sprea, insieme all’iconico Holzmarkt 25 unico superstite della zona nei pressi di Ostbahnhof, culla del clubbing berlinese nei primi anni 2000, oggi conosciuta come East Side Gallery. «Scoprii che quel mondo era davvero possibile, che ovunque andassi c’era musica, chiunque poteva essere chi voleva». E ancora, le “chincaglierie” di Kottbusser Damm, i tanghèri delle bettole argentine o i concerti improvvisati nei locali di Skalitzer Straße, «perché va bene la techno, ma Berlino è anche molto di più: una città in cui mondi opposti vivono in armonia».

Foto: Michele Piazza

Malika potrebbe andare avanti per ore a raccontare della sua vita nella città: «Ora vivo qui fissa, ho comprato casa, ma ho fatto spola con l’Italia per dieci anni. Ho vissuto a Schöneberg, Prenzlauer Berg… poi ho iniziato a scroccare gli appartamenti agli amici, senza vergogna». Un’immagine lontanissima dall’artista formatasi tra il Conservatorio di Milano e il coro della Scala, un racconto che mai avremmo pensato di sentire dalla voce elegante dei cinque Sanremo. Quasi una Doppelgänger, per rimanere sul tedesco, protagonista del suo nuovo singolo Sottosopra, in uscita il 12 aprile: un autoritratto della propria identità e dei propri contrasti, quasi uno specchio della sua vita a Berlino, “una città invisibile, che sparisce se hai la luce accesa”, canta nel brano.

«Wir möchten zwei Bier, bitte» chiede al cameriere arrivato a prendere le ordinazioni. Sono le 18:30, qui è praticamente ora di cena e l’aperitivo berlinese è cominciato da un pezzo, possiamo iniziare con l’intervista.

Nella prima strofa del tuo nuovo singolo canti: “In un’altra stagione avrei detto magnifico […] non avrei fretta di entrare nello specifico, o scavare piano fino all’osso”. Sembra esserci un forte senso d’urgenza, di reclamare un’identità.
Quando abbiamo iniziato a scrivere questa serie di canzoni, di cui fa parte Sottosopra, mi sono resa conto che era il momento di fare quello che mi pare, di andare dritta, senza perdere tempo per cercare di piacere a tutti. Ho capito che un brano diventa importante per chi lo ascolta solo se lo fai con onestà. Se qualcuno non ti si fila non ti si filerà, e va bene così, si va avanti continuando a fare ciò che ci piace. Il brano racconta di chi sono oggi. In questi 15 anni di pubblicazioni ho imparato a liberarmi dal timore di sbagliare.

Quanto ha influito Berlino su questo percorso di cui racconti in Sottosopra?
Molto, questa città mi ha aiutato a liberarmi da tante pressioni che qui per fortuna non esistono proprio. Ovunque vada non mi sento mai giudicata, se qualcuno mi avvicina è perché mi ritiene interessante, non per quello che ho fatto. Qui ho avuto il tempo per scoprire che sono tanto altro rispetto a quello che mostro al pubblico. Per quanto sia molto socievole, sono anche molto introversa, per cui a volte risulto stronza o fredda, ma è una difesa. A Berlino posso stare tutto il giorno in un locale, passare dall’ora del caffè fino alla chiusura, e non ci sarà mai nessuno che mi fa sentire a disagio. Nonostante in questi dieci anni la città sia molto cambiata, la sua anima rimane la stessa, e io continuo a scoprirne pezzi nuovi, con lo stesso stupore della prima volta, con lo stesso incanto, anche se più moderato. Allo stesso modo faccio con me stessa, accettando i miei cambiamenti senza giudicare. Un atteggiamento verso la vita che è anche il senso di Sottosopra: continuo a costruire i miei contorni senza mai sentirmi fuori luogo, pur rimanendo me stessa, con le mie buone maniere (ride).

Foto: Michele Piazza

A Milano invece?
Io vengo dalla periferia della città, andavo a sentire le band nei centri sociali, era più facile trovare una propria dimensione, una propria identità parallela, anche se eri squattrinato. Oggi giochiamo alla metropoli, ma Milano rimane una città piccola. Sei sempre sottoposta a uno sguardo, non per forza severo, ma che non può che essere comunque giudicante. Ho vissuto per anni preoccupandomi tantissimo di poter uscire a bere una birra con gli amici senza il “ma che razza di persona sei? E i figli?”. Sentivo la pressione di dover sempre performare, che poi ci si sente soli, anche se circondati di persone. Qui invece ho trovato un sanissimo esistenzialismo, una solitudine che non fa mai male, anzi.

Ne parli nella seconda strofa di Sottosopra, “un castello di sabbia su una spiaggia libera, uno sguardo mentre fai la spesa”.
Te ne accorgi quando entri in un bar, puoi trovare a qualsiasi ora persone che leggono per i fatti loro per poi iniziare a parlare con sconosciuti. Una solitudine che ha senso, perché significa accettare serenamente di essere un granello, perdersi in mezzo alla gente, e penso che perdersi sia una cosa meravigliosa. Trovo sia giusto prendersi il tempo per scavarsi dentro, soprattutto in un mondo che è sempre più veloce. Come vogliamo vivere il tempo che abbiamo a disposizione? Vogliamo continuare a cercare la cornice perfetta per la nostra immaginetta performante, oppure andare a fondo, stare anche in apnea, anche schiantandoci con tutta la forza che abbiamo? La trovo una possibilità stupenda, e chi ce l’ha dovrebbe sfruttarla fino alla fine.

“Ho imparato ad andare sotto, quando l’aria non c’è”, come nel refrain del tuo nuovo singolo.
Quando ho iniziato la mia carriera, soprattutto agli artisti giovani veniva chiesto rigore. Non si poteva andare a Sanremo a fare gli estrosi, altrimenti non saresti mai stato preso sul serio. Dovevi stare dentro una scatola, ma allo stesso tempo non avevi la certezza che quei binari già tracciati ti avrebbero portato da qualche parte. Mi piace che oggi queste tensioni si siano allentate. Oggi puoi partecipare al Festival anche se non sai cantare alla perfezione, e va bene così. Quando ho iniziato io sarebbe stato impensabile.

Qual è il tuo rapporto con la musica e la scena italiana ora che vivi all’estero?
Sono un po’ dispiaciuta che, quando si parla di musica italiana, si intende solo quella che passa in radio e che fa numeri. Così come le radio aiutano brani mediocri a diventare tormentoni, sarebbe bello se fosse dato lo stesso spazio anche a tutta la musica bellissima che esiste là sotto. A volte siamo talmente dentro il vortice che ne veniamo risucchiati e iniziamo a perdere tempo dietro cose come “quell’intervista è venuta male”, “quel pezzo non ha abbastanza stream”, “chissà cosa penseranno i follower se faccio questo”… e credo che uscire da certe dinamiche, anche geograficamente, aiuti a capire cos’è davvero importante. Ciò che conta è ciò che ti rende felice e onesto: i concerti, ad esempio, quelli ci salvano sempre.

A proposito, tra qualche mese parte il tour, la prima data è fissata a Trento il prossimo 10 novembre. Qual è il rapporto con il tuo pubblico quanto torni in Italia?
Riesco a vedere solo la parte bella, essenziale, di ciò che faccio: parlare con le persone che vengono ad ascoltarmi, sentire di chi si è innamorato con La prima cosa bella, di chi ha fatto figli, o di chi si è lasciato e ora non riesce più ad ascoltare quella canzone. Quando succede sento un’enorme gratitudine, che nessun numero o nessuna intervista venuta bene può eguagliare. Si torna sempre lì, a ciò che ti fa dare un senso agli anni che hai a disposizione: trovare la serenità. Riuscire a farlo è un dono, e chi ci riesce deve condividerlo. Regalare serenità, e birrette (fa un brindisi).

E allora, Prost!

Foto: Michele Piazza

Le date del tour:

10 novembre Trento – Auditorium Santa Chiara
13 novembre Torino – Teatro Colosseo
15 novembre Milano – Teatro Dal Verme
16 novembre Mestre (VE) – Teatro Toniolo
18 novembre Bologna – Teatro Celebrazioni
23 novembre Spoleto – Teatro Nuovo Menotti
27 novembre Firenze – Teatro Puccini
29 novembre Senigallia (AN) – Teatro La Fenice
30 novembre Roma – Auditorium Parco della Musica
3 dicembre 2024 Napoli – Teatro Augusteo

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