Vi ricordate la polemichetta, quanto mai inutile, per cui un artista di ‘Serie A’ dovrebbe suonare soltanto tra gli spalti di un palazzetto o le tribune di uno stadio? La risposta ‘ideale’ è arrivata da qualcuno che, fino alla settimana scorsa, con il rapper improvvisatosi Grande Inquisitore condivideva il tavolo di X Factor, ovvero Manuel Agnelli. Trent’anni di carriera con gli Afterhours, sempre con il coltello tra i denti, la visibilità della televisione eppure, se tutto il mondo della musica cerca l’iperbole del sold out come ossigeno, Agnelli la pensa diversamente, con un tour solista nei teatri, An Evening With Manuel Agnelli, in partenza il prossimo 30 marzo dal Teatro Lyrick di Assisi.
Perché questa scelta?
Questa sarà la prima volta in cui farò un intero tour da solo e il senso di tutto ciò è la mia affermazione di libertà. Voglio tornare a fare musica per la musica, tornare a un contatto intimo e diretto con il pubblico dopo questi tre anni di televisione e di grossi eventi con gli Afterhours, tra cui il concerto dei trent’anni al Forum. Sono state esperienze fortemente stimolanti per cui mi sento fortunato, però ora ho bisogno di tornare ad alleggerirmi, senza produzioni da sessanta persone al seguito, senza aver per forza la televisione e una telecamera davanti. Voglio potermi comportare come voglio, ritrovare la mia leggerezza, cercando di raccontare chi sono al pubblico attraverso la musica e perché no, anche attraverso il dialogo. Tornare in posti piccoli in cui poter gestire il concerto come più mi piace, di volta in volta, senza un progetto che per forza ti costringa dentro un binario troppo stretto da dover percorrere e che ti obbliga a fare tutte le serate uguali.
Il lavoro con gli Afterhours ti stava stretto?
Sono due cose diverse, lavorare con musicisti di enorme talento è un vantaggio e con loro riesco a realizzare cose che da solo non saprei o non potrei fare. D’altra parte gli Aferhours sono diventati un progetto enorme e ogni volta che ci muoviamo abbiamo una corazzata al seguito. La pausa che ci stiamo prendendo come band serve anche a farci tornare a sentire la musica in un certo modo, a farci rimettere tante cose al loro posto. Ho bisogno di non avere più quel peso, non perché mi senta ingabbiato, ma perché l’ho già fatto e ora ho bisogno di altro.
Insomma, l’iper personalizzazione di Manuel Agnelli come giudice di un talent non ha ucciso gli Afterhours.
No assolutamente, gli Afterhours esistono e hanno un futuro. Ora ci stiamo fermando in un periodo creativamente molto attivo: l’ultimo disco è andato benissimo nonostante fosse un lavoro molto complesso. È un album che ancora ci sta dando grandi soddisfazioni e che ho ancora voglia di suonare dal vivo. L’iper personalizzazione in realtà mi ha dato una sicurezza maggiore come individuo, ma non ha intaccato più di tanto gli Afterhours, anzi, è stato solo un vantaggio: il fatto che io avessi una grande visibilità ci ha dato la possibilità di organizzare quello che volevamo, come e quando volevamo.
Questo tour non potrebbe essere letto come un preambolo a un disco solista?
Proprio perché in questo momento non voglio avere una progettualità ma sto cercando l’esatto contrario, non sto programmando un lavoro solista ma, se succede, perché no? Sto scrivendo tanto, con Rodrigo D’Erasmo e da solo, componendo al pianoforte quasi tutto. Per me è molto significativo, dato che il piano è il mio strumento principale e negli After l’ho sempre usato in maniera ‘casuale’ e centellinata. Ancora non so cosa farò con ciò che sta nascendo, può essere che diventi qualcosa di mio. Per adesso posso permettermi il lusso di poter fare quello che voglio e in questo momento ho bisogno di non avere un progetto che mi ingabbi o mi costringa a realizzare qualcosa che sia per forza efficace nel breve o nel lungo periodo. Ora voglio tornare a fare musica in libertà, e di questo ho bisogno come l’ossigeno: vivere alla giornata senza progetti a lungo termine.
A proposito di ossigeno, un progetto come An Evening With Manuel Agnelli, fatto di musica ma anche racconti e storytelling, mi ha ricordato il tuo programma televisivo, intitolato proprio Ossigeno. Quanto c’è di quell’esperienza in questo nuovo tour?
C’è davvero tanto, Ossigeno mi ha fatto crescere ed è una televisione che mi è piaciuto fare. Mi è stato richiesto di riproporre il programma e ne stiamo parlando, perché quello è il modo che mi piace di più per rappresentarmi e per rappresentare la musica in televisione. Se come ascolti è stato molto basso, come feedback è stato eccezionale, per cui vale la pena pensare a una nuova stagione. Vedremo, se son rose fioriranno.
Restando su questo tema, durante una nostra intervista avevi raccontato che uno dei motivi dietro un programma televisivo con quell’impostazione era la voglia di ‘combattere’ l’impoverimento culturale che stiamo vivendo in questi anni. Dietro An Evening With Manuel Agnelli c’è ancora questa volontà?
Non faccio questa cosa per combattere l’impoverimento culturale, non sono un Don Chisciotte che vuole cambiare il mondo. Io porto la mia testimonianza come individuo e penso sia importante che ognuno di noi faccia lo stesso, con coraggio, coscienza ma soprattutto senza la vergogna di dover fare per forza qualcosa di importante o tanto meno di non poterlo dire. Abbiamo tutto il diritto di prendere una posizione e di manifestare la cultura senza essere additati come ‘radical chic’.
Cosa intendi?
In Italia negli ultimi anni stiamo vivendo in una destrutturazione culturale fortissima e le mostruosità le vediamo tutti i giorni; contro tutto ciò io posso opporre solamente delle briciole, ma le mie briciole le voglio fare. Con la mia visione della società e della musica porto una testimonianza, e credo che già cantando un certo tipo di canzoni, portando un certo tipo di letture e di storytelling sui contesti in cui siamo cresciuti significa già fare un discorso di critica sociale. L’esistenza di una band molto legata alla realtà in cui è nata, già questo secondo me è un atto politico, qualcosa che purtroppo tende a mancare nelle nuove generazioni. Vedo sempre meno artisti che prendono posizione in maniera chiara, anche solo con le canzoni, senza per forza incatenandosi alla porta del comune di residenza.
Tematiche di cui difficilmente hai parlato a X Factor, da cui hai deciso di allontanarti. Girava la voce di un tuo addio già dalla scorsa stagione, cos’è successo?
Non lo nascondo, avevo delle perplessità sulla mia partecipazione a quest’ultima stagione e credo che a X Factor forse questo non l’avessero accettato perché, nell’immediato, non avevano trovato un mio sostituto. Le cose poi erano cambiate, perché si era presentata la possibilità di lavorare con Asia Argento. Con lei avrei potuto approfondire il discorso che avevo portato avanti nei due anni precedenti, ovvero una visione della musica lontana dal mercato, dai numeri o dal successo a tutti costi; abitudini distorte ma diffuse come un virus tra i ragazzi che iniziano a suonare solo per la fama, come primo e unico obiettivo. Mi aveva ingolosito la possibilità di avere una complice, una persona con cui ‘esasperare’ certi contenuti proprio perché al tavolo dei giudici ci sarebbe stata lei, che è molto più estrema di me.
Quanto successo con Asia Argento ha influito sul tuo addio alla trasmissione?
Secondo me Asia doveva rimanere, e mi ha dato ragione il fatto che quelle vicende non abbiano avuto nessuno sviluppo. La sua partecipazione sarebbe stata un bene per la trasmissione e le prese di posizione nei suoi confronti sono state eccessive. Certamente X Factor ha un’immagine molto precisa di pulizia e penso non sia stato facile per i vertici del programma gestire una situazione del genere in maniera logica e sequenziale: era un caso diventato internazionale, fuori dal loro controllo. Il riverbero della sua esclusione certamente ha avuto un impatto su di me, anche durante la stagione, ma non è il motivo per cui ho lasciato la trasmissione.
E qual è?
Il motivo principale per cui ho lasciato è che vedevo ormai solo la parte televisiva e distorta di me, vedevo diminuire l’efficacia e il senso della mia partecipazione a X Factor. Non volevo diventare il ‘pupazzotto’ del giudice cattivo, quello che schiaccia il bottone e dice la cattiveria, non volevo diventare grottesco, ma il mio addio è stato molto ponderato. Rinuncio a cose molto grandi, a decine di migliaia di euro così come a benefit di visibilità che si sarebbero poi tradotti in un certo tipo di possibilità lavorative, anche al di fuori di X Factor. Sono certamente orgoglioso del fatto che tutti i miei concorrenti oggi lavorino nella musica, anche con discreti risultati, vedi i Måneskin; tuttavia penso che una mia permanenza mi avrebbe snaturato tanto e che avessi già detto quello che volevo dire. È stata una decisione dolorosa – anche perché credo che X Factor sia il miglior programma televisivo in Italia – ma che dovevo prendere. Dietro X Factor c’è un lavoro totalizzante, ti da molto ma ormai mi stava portando lontano da quello che io voglio essere, un musicista.
Insomma, era ormai soffocante.
Si, lo è diventato. Il primo anno è stato entusiasmante, sembrava che la trasmissione potesse prendere una direzione netta, maggiormente rivolta alla musica e non alla televisione, ma così non è stato. Ho provato a fare il mio ma non sono riuscito a spostare le cose più di tanto. Credo comunque di aver dato un contributo, e proprio per questo ho deciso di non rimanere nel programma, per non annacquare quanto fatto, per non dar l’impressione di dover per forza tenermi la sedia incollata sotto il culo; l’esatto contrario dell’imborghesimento di cui mi avevano accusato certi giornalisti.
A proposito del rapporto con i media, che idea ti sei fatto della polemica con Anastasio?
Quanto successo è frutto della confusione pazzesca dei nostri tempi, dove le parole hanno perso peso e significato, e finché si fa nella musica è un conto, quando comincia a diventare politica la cosa è più grave. I media hanno di certo la loro responsabilità: la diffusione delle notizie, soprattutto su Internet, è diventata incontrollabile e fa schifo come spesso questioni campate per aria diventino verità in pochissimo tempo. D’altra parte credo che anche Anastasio sia stato superficiale nel non dare la giusta importanza al suo gesto. Mettere un ‘like’ può non valere un cazzo, e a sua discolpa parziale c’è da dire che l’episodio risale a prima della sua notorietà, per cui non ha ragionato sulle sue responsabilità – responsabilità che qualsiasi cittadino comunque dovrebbe sentire. È chiaro che se sei un personaggio pubblico un gesto del genere non significa semplicemente “essere un libero pensatore”, ma ha un altro peso. Io lo difendo, credo che Anastasio sia rimasto vittima di un modo di pensare e della superficialità dell’informazione: è stato tacciato di fascismo, credo stupidamente. Tuttavia spero che quanto successo gli abbia insegnato, per il futuro, a prendersi la responsabilità di quello che dice e di quello che fa.
I biglietti per An Evening With Manuel Agnelli sono disponibili su ticketone.it, mentre di seguito trovate tutte le date:
30.03 ASSISI (Pg), Teatro Lyrick
02.04 FIRENZE, Obihall
03.04 MESTRE, Teatro Toniolo
05.04 PESCARA, Teatro Massimo
06.04 TARANTO, Teatro Fusco
08.04 CATANIA, Teatro Metropolitan
09.04 PALERMO, Teatro Golden
11.04 SENIGALLIA (An), Teatro La Fenice
12.04 BOLOGNA, Auditorium Manzoni
14.04 MILANO, Teatro Dal Verme
15.04 MILANO, Teatro Dal Verme
16.04 TORINO, Teatro Colosseo
18.04 ROMA, Auditorium Parco Della Musica / sala Sinopoli
19.04 GENOVA, Teatro Della Tosse