È raro (ed estremamente piacevole) non avere termini di paragone per definire un’artista. Nell’ultimo anno, però, pare succedere sempre più spesso, soprattutto quando si parla di musica italiana. Artisti come Blanco, Madame, Chiello, e in questo caso come Mara Sattei, una ventisettenne che ha saputo inventare un linguaggio talmente personale che anche imitarla sembra un’impresa disperata, nonostante in molte ci provino. Il talento per l’innovazione è un affare di famiglia, nel suo caso: sorella maggiore dell’enfant prodige tha Supreme, è stato proprio grazie a una manciata di brani prodotti da lui che si è fatta inizialmente notare. Ma non è rimasta a lungo alla sua ombra, perché grazie al suo dirompente e istintivo songwriting ha trovato ben presto la sua strada.
La sua unicità è dovuta a un mix di fattori. Innanzitutto la sua capacità di scrivere canzoni smaccatamente pop, ma completamente diverse da quella che è stata finora la musica leggera italiana. Metriche serrate, neologismi e libertà di linguaggio, come nel rap; intonazione precisa come una spada e estensione notevole, come le superstar internazionali; melodia accattivante e super orecchiabile, come nella migliore tradizione di casa nostra. Anche nel look si rivela unica e vincente, lontanissima da una sensualità sfacciata ed esibita, ma raffinata e controcorrente, capace di mixare classici del bon ton con ispirazioni streetwear. Misurata, silenziosa e mai sopra le righe, sempre elegantissima nelle sue esibizioni dal vivo, è riuscita ad imporsi come una delle più originali artiste della sua generazione, senza sfruttare in maniera bieca i social, senza affrettare i tempi e senza buttarla troppo sulla sua storia personale o su trovate acchiappa-clic. La sensazione è che, là dove altri tentano di fare qualcosa di diverso, lei è già qualcosa di diverso.
Dopo alcuni brani di successo conto terzi (ad esempio Vittoria, per Casadilego, vincitrice di X Factor 2020) e alcune hit condivise (Altalene, per Bloody Vinyl, con Coez), arriva finalmente il suo primo album ufficiale, Universo, pubblicato oggi e interamente prodotto dal fratello. «Sono tre anni che stiamo lavorando al disco, perciò dentro ci sono tante sfaccettature di me, prese anche in contesti diversi a seconda del passare del tempo», racconta. «Tanti brani sono nati nel corso della pandemia, un periodo che abbiamo sfruttato al massimo per lavorare».
C’era grandissima attesa per questa pubblicazione da parte degli osservatori più attenti: basti pensare che c’era chi la vedeva già a Sanremo 2022 con la direzione d’orchestra dello stesso tha Supreme, una voce circolata insistentemente nei mesi precedenti alla divulgazione del cast. «Era solo una voce, però», afferma lei. «Quest’anno la mia intenzione è sempre stata quella di concentrarmi sul disco, che è la cosa più importante, ma sicuramente in futuro vorrò mettermi in gioco anche al festival. Sul direttore d’orchestra prescelto, vedremo!», ride.
Di interviste ne hai sempre fatte pochissime.
Non c’è un vero motivo, in realtà. Penso che un’intervista sia semplicemente un veicolo per arrivare meglio alle persone e ora che ho un disco da raccontare c’è qualcosa di cui parlare. Tendo a dare molta più importanza alla musica, perché è il motivo per cui la gente mi conosce: preferisco dare spazio a quella, piuttosto che a me come personaggio. Insomma, amo condividere – anche sui social, dove pubblico solo cose che ho davvero voglia di postare – piuttosto che apparire.
Se tu dovessi raccontare chi sei a chi non ti conosce ancora bene?
Domanda difficilissima. Sono convinta che siano gli altri a dover dire come sei, piuttosto che viceversa. Sono una ragazza semplice, anche per via del contesto da cui provengo che è molto normale, mi sento simile a tutte le persone che mi ascoltano. Anche nelle mie canzoni racconto storie quotidiane, dalla delusione amorosa all’introspezione.
Dall’esterno sei percepita come la classica artista “da cameretta” che esplode grazie allo streaming. In realtà hai cominciato con una lunga gavetta dal vivo…
Arrivando da un piccolo paese della provincia, Fiumicino, l’unico modo che avevo per farmi conoscere era suonare in giro, così alle superiori ho messo su una serie di band con cui mi esibivo nei locali romani o alle feste scolastiche. Facevamo soprattutto cover, all’inizio: la scrittura è arrivata dopo, anche se i miei primissimi testi risalgono a quando avevo 13/14 anni. Mi davo continuamente da fare, investendo parecchio tempo e facendo sacrifici, perché la musica era l’unica cosa che mi faceva stare bene. Non me ne sono mai pentita, però, perché il mio sound di oggi è frutto di tutto questo.
Cosa ascoltavi da ragazzina?
Da bambina ho ascoltato moltissimo cantautorato, da Battiato in giù, perché era una grande passione di mio padre. Mia mamma mi ha influenzato soprattutto sulla musica americana, in particolare gospel, soul e blues. Ero sempre alla ricerca di roba nuova, quindi andavo a periodi: magari c’erano mesi in cui scoprivo la bossa nova e ascoltavo quella a ripetizione. Nell’adolescenza adoravo l’hip hop, tant’è che tutte le cover che facevo venivano da lì: magari riscrivevo in italiano i testi di Drake per metterci del mio. Ho sempre avuto grande curiosità per ciò che arrivava dall’estero, in generale: mi ha affascinava l’idea di questi ragazzi che, come me, cercavano di uscire dagli schermi della loro cameretta per creare qualcosa di diverso.
È per questo che a un certo punto ti sei trasferita a Londra?
Ho vissuto lì per un anno, all’epoca ne avevo 20 e avevo bisogno di cambiare aria. Così ho trovato un lavoro come ragazza alla pari: curavo una bambina di sette anni, che ho praticamente bombardato di musica nuova facendole scoprire un mondo, visto che di fatto ero in Inghilterra per quello (ride). Ho conosciuto tantissimi artisti, nel tempo libero frequentavo accademie e studi di registrazione, non vedevo l’ora di assorbire nuovi stimoli. Ho perfino cantato nel Christmas Carol della Wembley Arena, dopo aver passato il provino per entrare nel coro. Un’esperienza incredibilmente emozionante. Mi ha lasciato la voglia di imparare da tutto e da tutti.
La cosa più sorprendente della tua musica è che non assomiglia a quella di nessun altro, né in Italia né all’estero…
Beh, innanzitutto grazie, perché è un bellissimo complimento. In realtà non c’è una formula: mi piace seguire il mio gusto e giocare con le parole, tutto lì.
A proposito di parole, i tuoi testi sono super serrati, densi, spesso è difficile coglierne il senso a un primo ascolto. Un tempo si diceva che gli italiani che cantano in inglese lo fanno per non esporsi troppo e “schermarsi” dietro un altro idioma, oggi sembra che si riesca a schermarsi benissimo anche usando l’italiano. Cosa ne pensi?
Nel mio caso non voglio nascondermi, anzi: certo, in me c’è una parte più urban che mi spinge a delle forme un po’ strane, ma mi piace l’idea di far comprendere i miei testi, perché ogni verso che scrivo rappresenta un’emozione da esprimere. Quando vedo che girano dei testi sbagliati che qualcuno ha trascritto e pubblicato su Internet ci resto malissimo, perché anche una parola fuori posto può stravolgere completamente il senso di una frase.
I tuoi primi brani, quelli con cui ti sei fatta conoscere qualche anno fa, si intitolavano semplicemente Nuova registrazione seguito da un numero progressivo…
Il primo è nato da una nota vocale registrata con il telefono, con la mia voce che improvvisava una melodia su un beat. Con mio fratello abbiamo deciso di mantenere il nome originale della nota, e così è stato anche per quelli successivi. Abbiamo pensato che era un buon titolo per il progetto, perché quei pezzi erano una specie di sfogo, un flusso di coscienza che usciva di getto.
Tra te e tha Supreme, chi dei due ha cominciato a fare musica e ha tirato in mezzo l’altro?
Abbiamo fatto entrambi lo stesso percorso, avendo due genitori super appassionati. Abbiamo sei anni di differenza, e a livello generazionale abbiamo seguito strade diverse in contesti diversi, ma spesso ci siamo scambiati le idee.
Andate d’accordo o siete come gli Oasis, che lavoravano insieme ma poi in privato si scannavano?
No, noi andiamo molto d’accordo, giuro (ride). Sicuramente la musica ci ha uniti ancora di più, ma siamo davvero legati, abbiamo un bellissimo rapporto di amicizia e confidenza.
I vostri genitori cosa pensano della carriera che avete scelto di intraprendere?
Sono molto contenti del nostro percorso. È un privilegio poter vivere di musica, non lo danno per scontato: hanno visto i risultati che abbiamo raggiunto grazie al duro lavoro e ne sono orgogliosi. Non è stato tutto rose e fiori, su parecchie situazioni abbiamo dovuto sbatterci la testa da soli, ma alla fine ne è valsa la pena.
Qual è stata la cosa più difficile, finora?
La vita è fatta di sacrifici, se vuoi raggiungere i tuoi obbiettivi. E a volte ti ritrovi a fare i conti con te stessa e con le tue priorità. Il mio lavoro non mi dà stress, perché amo molto quello che faccio e quasi non mi capacito di quanto sono fortunata, ma sicuramente sono ben consapevole che, per poter portare a casa alcuni risultati, è necessario fare tante cose che magari non sono altrettanto piacevoli.
In Universo, la title track, dici “Dicono che la solitudine poi sia un alter ego / finge di restarmi accanto per fare vuoto intorno”. Sei una persona solitaria?
Prima non lo ero, ma ad oggi mi piace stare da sola. Mi rendo conto però che bisogna stare attenti a queste pulsioni perché, come dico in quella barra, a volte finisci per chiuderti in un mondo tutto tuo. In quest’ultimo anno ho avuto tante occasioni per restare sola con me stessa, e quello che sono riuscita a scrivere è stato anche il frutto di questo isolamento, nel bene e nel male. A volte sentirsi fragili e imperfetti aiuta gli altri a immedesimarsi. Per carità, siamo tutti frutto di una storia diversa, ma ci fa sentire parte di qualcosa.
Oltre ai brani più riflessivi e malinconici, ci sono anche dei pezzi a cassa dritta e super tamarri (in senso buono) che magari da te non ci saremmo aspettati, come 0 rischi nel love…
È un brano nato in una serata di sperimentazione. Mio fratello stava suonando, ho sentito quel beat che partiva e ho cominciato a provare una melodia, che poi è diventata quella del ritornello. Ci siamo davvero divertiti, e credo sia una cosa fondamentale. È bene che la gente veda anche questa parte di me, perché mi rispecchia moltissimo: ascolto tanta musica elettronica e vorrei che si sapesse.
La collaborazione che ha incuriosito di più, all’annuncio della tracklist, è quella con Giorgia, decisamente inaspettata. Com’è nata?
Mentre scrivevo questo pezzo al pianoforte mi immaginavo una di quelle classiche scene invernali romane, in cui c’è qualcuno che cammina per Trastevere al freddo, e ho pensato che la voce di Giorgia sarebbe stata perfetta. Sono cresciuta con le sue canzoni e ho visto moltissimi suoi concerti fin da piccola, perché mia mamma è una sua grande fan, perciò ho provato a contattarla. La canzone le è piaciuta, e tutto il resto è venuto da sé. Non smetterò mai di ringraziarla, perché ha creato una magia unica nel brano, che poi è diventato la title track. Oltre a essere un’artista pazzesca, è anche una persona meravigliosa: abbiamo parlato moltissimo e mi ha dato davvero tanti consigli, sembrava ci conoscessimo da anni. Trovare una sintonia personale, oltre che musicale, con qualcuno che ammiri così tanto è davvero bello.
Quando Giorgia ha iniziato a fare musica, spesso si consigliava alle cantanti donne di non provare neanche a scrivere canzoni, ma di affidarsi ad autori (maschi) già rodati. Una situazione che grazie a Dio la tua generazione sta sperimentando sempre meno.
Per fortuna molto è cambiato da allora. Come tutti sappiamo ci sono ancora degli stereotipi che devono essere scardinati. Ma sono molto fiduciosa: con tanto duro lavoro e tanto sacrificio, le artiste donne si stanno aprendo un varco. A volte ci mettono il doppio rispetto agli uomini, e questo purtroppo bisogna riconoscerlo, ma c’è un’evoluzione. Alcune si stanno finalmente prendendo il centro della scena, come Madame, ed è giusto che sia così, perché è il loro posto. Insomma, c’è ancora da fare, ma siamo sulla strada giusta.
Parecchi osservatori identificano la nuova scena pop italiana con un gruppo di artisti molto eterogenei, che percepiscono come parte dello stesso movimento di rinnovamento: Blanco, Madame, Chiello. Cosa ne pensi?
È bello che si parli di nuova scena pop, perché il significato spesso della parola pop identifica la musica che è riuscita ad arrivare al grande pubblico, a diventare popolare. Però penso che ciascuno di noi abbia una sua collocazione all’interno di un genere. E io per prima non saprei dirti dove sono collocata (ride). Ognuno di noi ha sperimentato a modo suo, ha le sue influenze e il suo background. Spero che ciascuno di noi verrà identificato per quello che è, e spero che la situazione globale della musica italiana migliori, soprattutto sul versante live. Vorrei poter ricominciare a suonare dal vivo: il contatto diretto con i fan è fondamentale, giustamente la gente vuole conoscerti. E io non vedo l’ora di conoscere loro.