Quando gli astronauti ritornano sulla Terra dopo una missione spaziale, la loro navicella effettua un ammaraggio nel bel mezzo dell’oceano, a una velocità di oltre 200 km all’ora, rallentata solo da un minuscolo paracadute, e resta a galleggiare nell’immensità delle acque aperte in attesa che una nave recuperi l’equipaggio e lo prenda a bordo. Un momento parecchio complesso e traumatico anche per chi si addestra anni a gestire situazioni simili.
È questa la metafora usata dal rapper australiano Masked Wolf, che con il singolo Astronaut in the Ocean ha superato 25 milioni di streaming in tutto il mondo (Italia compresa, dove il brano sta andando fortissimo) per raccontare la sua condizione mentale in un periodo particolarmente difficile della sua vita. «Non avrei mai immaginato che ottenesse un successo del genere: quando è arrivato a 10 milioni di ascolti ero felice, ma quando è esploso non sapevo davvero cosa dire. Mi sembrava irreale», racconta in collegamento via Zoom dall’emisfero opposto. «Non ho ancora neppure festeggiato, sono troppo assorbito dalla scrittura di nuove canzoni, e poi sono il tipo di persona che non festeggia neppure il suo compleanno. Ma quando dimostrerò di non essere una one hit wonder darò davvero una grande festa: il mio obbiettivo principale è quello».
La sua vita è solo lavoro in questo momento, ci racconta: si sveglia ogni mattina alle 7 e trascorre la sua giornata tra interviste, promozione, studio di registrazione, preparazione dell’album e di quello che spera sarà il suo primo tour, non appena si potrà ricominciare a viaggiare. «Non ho neanche più tanto tempo per ascoltarla, la musica, anche se quello è un bene, perché altrimenti rischio di farmi influenzare troppo e di inquinare la mia scrittura», aggiunge. «Da ragazzino facevo soprattutto canzoni intime, emotive, roba sul mio cuore infranto e lacerato. Probabilmente oggi scrivo quello che scrivo proprio perché ho continuato su quella falsariga».
Il suo destino, inizialmente, sembrava ben lontano da quello di diventare un rapper di successo: era un grande fan dei Beatles, un ragazzo timido e introverso in un continente che non ha una scena hip hop particolarmente radicata a livello internazionale. «Ma quando soffrivo o mi sentivo fuori posto preferivo scrivere rime, piuttosto che parlare con qualcuno dei miei sentimenti. Sono sempre stato una persona molto chiusa, mi tengo tutto dentro» ricorda. «Il rap era una valvola di sfogo, e questo ha provocato una sorta di reazione a catena che mi ha portato ad essere dove sono oggi».
Di cose per cui sfogarsi il giovane Masked Wolf ne aveva parecchie. «Fino a 13 anni abitavo con i miei genitori, ma poi hanno divorziato e sono andato a vivere con i miei nonni, che oggi non ci sono più», spiega. «Crescere con due persone così anziane è stato bello, ma anche molto duro: parlavano pochissimo inglese, perché erano emigrati in Australia dalla Grecia. Figuriamoci se capivano il rap: ogni volta che facevo musica, sfondavano la porta di camera mia a furia di bussare e dirmi di fare meno casino», ride. Dall’esterno nessuno direbbe che la sua passione è l’hip hop, il che è anche uno dei motivi per cui sceglie lo pseudonimo Masked Wolf: «Sembro una persona molto ordinaria, non un rapper. È una cosa di cui non parlo neanche, nella vita di tutti i giorni. Ma quando entro in studio, la maschera cade e mi trasformo nel lupo che sono».
Entrare in studio, al principio, si rivela più complicato del previsto. «Non appena mi sono diplomato ho cominciato a lavorare, senza neanche prendermi una vacanza. Avrei voluto dedicarmi subito alla musica a tempo pieno, ma i miei genitori si sono opposti: “Devi avere anche un lavoro normale”, mi hanno detto», sospira. «Così ho trovato un impiego qualsiasi, e tutti i miei risparmi li spendevo per la musica. Ho fatto davvero di tutto: l’agente immobiliare, il commesso, l’impiegato in giacca e cravatta… Diciamo che se non altro ho imparato ad apprezzare il valore della stabilità e della routine».
Astronaut in the Ocean è la sua prima grande hit e parla di sentirsi fuori posto, sempre e comunque. «Non sapevo chi ero, non capivo qual era il mio scopo nel mondo, e questo mi causava una grande ansia e depressione. Ero praticamente un asociale, restavo perennemente chiuso in casa», racconta. «Tutti quelli che provano una sensazione simile si sentono come se fossero gli unici, quando in realtà ci sono milioni di persone nella stessa situazione. A chi in questo momento è in quelle condizioni vorrei dire che li capisco, ma che si tratta di una fase transitoria, e che tra qualche mese probabilmente si sentiranno meglio, se si prenderanno cura di loro stessi».
Negli ultimi 12 mesi, la scena hip hop australiana si è espansa parecchio anche al di fuori dei confini nazionali: «Forse il Covid ha aiutato in questo, perché essendo tutti chiusi in casa abbiamo provato a viaggiare con la musica, anziché cucinare, pulire o guardare Netflix tutto il tempo», osserva Masked Wolf. «Se dovessi consigliarvi un artista da cui partire, senz’altro sarebbe il mio rapper australiano preferito, Kid Laroi, che come atmosfere ricorda un po’ Post Malone e aveva il compianto Juice WRLD come mentore». E a proposito di atmosfere, quelle di Masked Wolf ricordano un po’ l’hip hop di una volta, quello della golden age, fatto di rime vere e proprie e contenuti importanti, in netta contrapposizione con il cosiddetto mumble rap, come viene chiamata in maniera dispregiativa quella trap in cui non si capisce neppure la scansione delle parole. «Sempre più rapper seguono questa tendenza, ma non credo che ci sia un ritorno globale alle rime e alle atmosfere degli anni ’90», obbietta. «Ci sono sicuramente diversi artisti che stanno andando in quella direzione, ma penso che le tendenze generali restino verso un rap più improntato sullo stile, anche se non lo chiamerei mumble rap». Sia come sia, il suo nuovo album dovrebbe essere pronto entro la fine del 2021: per allora, se continua così, prevediamo che l’astronauta Wolf sarà di nuovo in orbita.