Rolling Stone Italia

Matt Bellamy: «La pandemia ci ha insegnato che dobbiamo rallentare»

Il frontman dei Muse racconta che cosa ha imparato durante il lockdown, perché ha bisogno di fare musica senza l'assillo del marketing, l'influenza su Ricky Gervais su 'Tomorrow's World', i piani futuri della band

Foto: RMV/Shutterstock

Matt Bellamy dei Muse aveva già in programma di prendersi una pausa nel 2020. In ottobre la band ha chiuso il grande tour di Simulation Theory e lui aveva bisogno di decomprimere, passare un po’ di tempo con la moglie Elle Evans, prepararsi alla nascita di un figlio. L’isolamento per il coronavirus, quindi, non ha rappresentato un grosso problema e gli ha dato invece il tempo di dedicarsi alla musica, come ha fatto nel nuovo brano solista Tomorrow’s World.

Come va l’isolamento?
È un’esperienza insolita, credo per tutti. Sono diventato l’insegnante di scuola elementare di mio figlio. L’algebra della seconda è più difficile di quanto mi aspettassi. Per quanto riguarda il lavoro con i Muse, avevo già deciso di prendermi un anno di pausa. Di solito facciamo un anno di tour e uno di registrazioni, spezzare la routine non è poi tanto male.

In più, mia moglie partorirà tra poche settimane. Affrontare questa cosa è complicato: quando è cominciato il lockdown, a inizio marzo, tutti si domandavano che cosa sarebbe successo. Capire come andare dal ginecologo e cose del genere è stato snervante. A parte questo, ora sto a Los Angeles e ho la fortuna di avere un po’ di sole.

Come sta il resto della famiglia?
Ero preoccupato per mia madre. Vive nel Regno Unito da sola ed è ovviamente anziana. Poco prima del blocco dei voli sono riuscito a farla venire qui da noi. Non sapevo cosa sarebbe successo, ero felice di vederla arrivare. Per i primi 10 giorni ha dormito in una stanza separata ed è rimasta a distanza, poi si è reintegrata. Anche questo è stato un bel sollievo. Non volevo che restasse sola in Inghilterra, soprattutto alla luce di come stavano andando le cose in quel momento.

E poi c’è mio figlio, che è nato da una relazione precedente. Abbiamo la custodia congiunta e tutto il resto. È stato difficile, perché abbiamo dovuto concordare il nostro livello di isolamento. Per fortuna eravamo allineati su molte cose e siamo riusciti a spostare nostro figlio tra le due case. È una situazione difficile da gestire, ma ovviamente sono tra i più fortunati. Il mio lavoro non è cambiato granché, avevo già deciso di prendermi un anno di pausa.

Potrai assistere al parto? So che alcuni ospedali hanno implementato regole più restrittive… 

Al momento l’idea è di gestire gran parte del travaglio a casa. Abitiamo molto vicino a un ospedale ed è uno di quelli che autorizza il marito a stare con la moglie durante il parto. Un mese fa non era così. È stato allora che abbiamo pensato che la situazione era preoccupante. Oggi sembra che negli ospedali non ci sia più quel livello di panico.

È incredibile pensare a quanto in fretta sia cambiato il mondo… 

Se penso al passato… sei o sette mesi fa eravamo sul palco per suonare di fronte a 50 mila o 70 mila persone. Sembra un altro mondo.

Adesso non potresti suonare neanche in un club di 100 persone. Sarebbe illegale.
È davvero strano. Voglio capire che cosa succederà all’industria della musica dal vivo. È preoccupante. Anche se dovessero trovare un vaccino, non credo arriverà alle masse tanto velocemente. Mi domando che effetto avrà questa cosa sulle persone nel lungo periodo, psicologicamente, non so come si sentiranno di andare a vedere un concerto. Potremmo vivere un periodo in cui i locali sono aperti, ma la gente non vorrà andarci perché considera gli assembramenti non siano più sicuri.

Cosa ha ispirato la canzone Tomorrow’s World e come l’hai registrata? 

L’ho registrata in un piccolo studio vicino casa. Avevo scritto gli accordi un po’ di tempo fa, ma non avevo mai trovato il testo. Sembrava la colonna sonora di un film che non esiste. Poi, durante l’isolamento, ho iniziato a suonarla al pianoforte e le parole sono venute fuori da sole. Descrivevano come mi sento al momento.

L’idea era evocare un po’ di ottimismo, immaginare come potrebbero cambiare le cose. Esistono dei lati positivi? Per me si tratta di passare più tempo con la famiglia, con mio figlio, la mia futura moglie e il bambino che sta per nascere. E ho anche più tempo per godermi le piccole gioie della vita. So che non è stato così per tutti, ma per me è stata un’esperienza illuminante. Gli ultimi 20 anni della mia vita sono stati un ciclo continuo di tour, registrazioni e viaggi. Anche quando non ero in tournée o al lavoro su un album, cercavo una scusa per volare a Londra un paio di giorni, o per andare in altri posti. Giravo come un matto. Questa situazione mi ha costretto a pensare a cosa significa vivere a un ritmo più lento, apprezzare la vita a casa e il tempo con i miei figli. Adesso sono concentrato sulla scuola. So esattamente cosa sta studiando mio figlio e cosa gli succede. È stato illuminante, e credo che la canzone lo rifletta. Verso la fine del pezzo evoco l’idea che il mondo dovrebbe essere… che dovremmo rallentare il ritmo di vita.

Ci sono altre fonti di ispirazione? 

Ho visto lo show di Ricky Gervais, After Life. L’ho guardato tutto di fila un paio di mesi fa. È geniale. Forse, in qualche modo, ha ispirato questa idea. Mi ha colpito una battuta della seconda stagione. Parla di quando sei innamorato e non ti importa di nient’altro. Ok, è una cosa sdolcinata, ma è vera. Se sei abbastanza fortunato da amare qualcuno o avere un partner che ti piace davvero, capisci che il ritmo delle nostre vite, la competizione per fare più soldi, il traffico, il caos e tutte quelle altre cose non sono davvero importanti.

In altre parole, agli esseri umani non serve molto per essere felici. Di sicuro non ci serve tutto questo per sopravvivere. Buon cibo, aria fresca ed esercizio sono un buon inizio. E l’amore, se possibile. La canzone cerca di decrivere che cosa significa averlo capito dopo tanto tempo. Non abbiamo bisogno di molte cose. E credo che tutti noi, così come l’intero pianeta, potremmo beneficiare molto da questa mentalità. Ci sono tante tragedie, tante cose orribili che accadono là fuori, ma c’è anche l’occasione per imparare qualcosa.

Registrerai altre canzoni come questa? Sei tentato da un disco solista? 

Non mi interessa fare un album. Per me, avere uno studio a casa oggi significa non avere bisogno di un’etichetta o di marketing. Posso registrare una canzone e basta. Non ho bisogno di partire in tour per promuoverla, non devo gestire chi si occupa di marketing e chi lavora nell’etichetta. In un certo senso, scriverla mi è servito per imparare queste cose. L’industria musicale è piena di persone che si occupano di marketing e social media, che cercano modi di farsi sentire. E invece io me ne sto qui a giochicchiare col pianoforte e non me ne frega niente.

L’ho pubblicata e basta. Niente marketing, niente etichetta. Nulla. È stato bello capire che fare musica è sufficiente. Se ti va ascoltala, e forse per me è già abbastanza. Probabilmente pubblicherò altre canzoni, ma non ho un piano. Farò uscire dei pezzi qua e là, e mi godrò la libertà di poterlo fare senza avere gente che mi assilla.

Cosa succederà ai Muse? Avete idea di quando farete un altro album?
Dipende da cosa succederà al mondo. Al momento ci stiamo organizzando per rivederci, idealmente nel posto dove tutto è cominciato, il Devon, e ripartire come facevamo all’inizio. Vogliamo tornare al metodo che usavamo in origine, cioè scrivere musica durante le prove, due volte a settimana. L’idea è di passare il 2021 così. Se dovesse funzionare, metteremo insieme un album o un po’ di canzoni e forse torneremo in tour nel 2022.

Iscriviti