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Mauro Pagani e le polemiche a Sanremo: «Sono offeso da disinformazione e razzismo»

Il presidente della giuria d'onore del Festival replica alle critiche per la vittoria di Mahmood. «È una gara di canzoni, e quella era la più forte. Il regolamento non l'ho fatto io, sono sconfortato»

Foto Fabrizio Fenucci

Ci eravamo visti meno di un mese fa, a poche ora dalla sua partenza per la Liguria, dove sarebbe andato per i vent’anni dalla scomparsa del suo amico Fabrizio De André. Oggi, invece, dalla riviera Mauro Pagani è appena tornato, dopo i giorni all’Ariston come presidente della giuria d’onore del 69esimo Festival della Canzone Italiana. Con lui Ferzan Özpetek, Camila Raznovich, Claudia Pandolfi, Elena Sofia Ricci, Beppe Severgnini, Serena Dandini e Joe Bastianich.

Un ruolo che lo ha coinvolto nelle polemiche che, immancabili, hanno riempito il vuoto lasciato dal termine della kermesse sanremese. Ad aprire le danze è stato Matteo Salvini, secondo cui doveva vincere Ultimo, giunto secondo. Il cantautore romano ha rincarato la dose, attaccando i giornalisti e i giurati che avrebbero ribaltato il volere popolare e fatto vincere l’artista arrivato solo terzo per il televoto. Poi ecco il ministro Di Maio, come spesso accade il peggiore in campo.

E allora la questione è diventata nazionale: i vertici Rai hanno detto la loro, stranamente simile a quella dei governanti di turno, pure Baglioni alla fine ha criticato il suo Festival. Insomma, sembrava fosse andato tutto bene e invece è andato tutto in vacca. Mauro Pagani sprofonda sul divano di quel gioiello che sono le sue Officine Meccaniche, e scuote lentamente la testa.

Qual è il tuo stato d’animo oggi?

Stupefatto. Per carità le polemiche a Sanremo ci sono sempre e perdere fa male a tutti, ma un tale livello di disinformazione mi pare offensivo.

Che effetto ti fa essere al centro della scena politica per un giorno?

Sconfortante. Siamo entrati in recessione e i nostri politici pensano solo ai consensi nel breve periodo. 

Andiamo con ordine. Cosa c’è che non va nelle polemiche di queste ore dal tuo punto di vista?

Uno: questo è il Festival della Canzone Italiana, non sono in gara i cantanti. Non è una manifestazione di stima nei confronti degli artisti, una specie di premio alla carriera. Eppure tutti parlano molto dei personaggi e meno delle canzoni. Due: Sanremo ha un regolamento pubblicato mesi prima che dice “da casa potete votare al costo di 51 centesimi, il vostro voto vale il 50%, mentre quello della sala stampa il 30 e la giuria d’onore il 20”. Questa regola è stata stabilita perché ai tempi in cui c’era solo il televoto il meccanismo era troppo vulnerabile ed esposto a possibili manipolazioni e scorrettezze. Per non parlare poi dei tempi in cui si votava con le schedine del Totip.

Immagino ci siano anche un punto tre, e magari un quattro.

Proprio così. Trovo curioso che la Rai si stupisca ora dell’importanza della giuria d’onore – un tempo chiamata di qualità -, visto che il regolamento lo hanno fatto loro e che è stato il Festival a invitarci tutti, uno per uno, un mesetto fa. E poi c’è il dato personale.

Ossia, ti sei sentito violentemente delegittimato.

Faccio questo mestiere da 53 anni: ho smesso di contare i miei concerti dopo i duemila ed erano ancora gli anni ’80 e ho partecipato come musicista, produttore o ospite a più di 150 dischi. Forse qualche competenza ce l’ho. Anche i miei colleghi della giuria possono tutti vantare esperienze nel campo della musica, della radio o della televisione, del cinema o del giornalismo. Hanno deciso tutto loro e adesso, sorprendentemente, si lamentano.

Foto Fabrizio Fenucci

La nuova vulgata è: vale solo il consenso popolare.

Se si volesse ricalibrare il peso delle diverse tipologie di voto, a me starebbe bene: ho preso atto del regolamento, non l’ho scritto io. Viviamo in un tempo in cui la diffidenza verso la conoscenza si sta acuendo in modo preoccupante. Probabilmente tutti noi stiamo pagando lo scotto di troppi anni in cui chi sapeva si è approfittato del suo ruolo e del suo sapere – Tangentopoli è lì a dimostrarlo -, ma sapere non è il male, anzi è il progresso dell’uomo. Al massimo il problema è l’abuso di sapere – che è ancora peggio dell’abuso di potere -, quindi io capisco l’incazzatura della gente e sono a mia volta incazzato con un’intera classe politica. Ma sono allo stesso tempo molto preoccupato per il fatto che abbiamo del tutto perso la capacità di ascoltare gli altri, parliamo sopra alle persone senza neanche cercare di capire cosa hanno da dire. Oggi questo è il clima culturale in cui viviamo.

Il voto dovrebbe essere anche una responsabilità?

Sì. E prevederebbe il dovere di informarsi, invece da noi nemmeno si fa più educazione civica a scuola. Arriviamo all’assurdo di vedere il Codacons sostenere che la gente che ha votato cantanti che non hanno vinto a Sanremo è stata umiliata, e che dovrebbe avere indietro i soldi. A questo punto tutti quelli che hanno votato i partiti che hanno perso le elezioni negli ultimi anni dovrebbero chiedere un rimborso delle tasse pagate?

Gli esperti servono ancora a qualcosa?

Direi di sì. Senza di loro, solo per fare un esempio, non avremmo l’arte astratta, ma saremmo ancora alle grandi riproduzioni neoclassiche di cui siamo stati prigionieri per secoli. Non prendiamocela con il sapere, che ci salverà dall’ignoranza. 

Hai pensato al testo della Domenica delle salme in queste ore, il pezzo che hai scritto con De André?

Parecchio. Oggi chi non sa nulla ritiene di aver comunque diritto di parlare, anzi di avere ragione. Autoaffermarsi ha più a che fare con il tacere e il meditare che non con il parlare a vanvera. Faccio sempre più fatica a essere ottimista, temo che stiamo andando verso l’obsolescenza del mondo occidentale e dei suoi principi fondanti, che sempre più spesso vengono traditi. 

Cosa dici da artista a Ultimo, che si è lamentato per il secondo posto?

Che Maradona, Pelè o Messi sanno che ogni settimana possono perdere una partita e imparare a perdere è imparare a fare il proprio mestiere e a vivere. Che anche i Beatles o Bowie non hanno avuto solo successi, e lo hanno accettato. E che un artista che l’anno prima vince Sanremo Giovani e l’anno dopo non ci riesce, sarebbe auspicabile che non protestasse, soprattutto se il regolamento è rimasto lo stesso.

Foto Fabrizio Fenucci

Se il papà di Mahmood non fosse stato egiziano, non staremmo facendo tutti questi discorsi?

Poco ma sicuro. Viviamo in tempi oscuri, in cui il razzismo non è più strisciante ma palese nella società. Non c’è più vergogna. Vedere così tanta ignoranza e ostilità nei confronti di un ragazzo italiano, nato e cresciuto al Gratosoglio, è una cosa d’altri tempi, offensiva per questa nazione. Ogni volta constatarlo mi fa rabbrividire, e mi riempie di sconforto per il domani dell’Italia e dei miei figli.

Cosa ti è piaciuto del pezzo di Mahmood?

Era un pezzo che aveva tre parti ben distinte e tutte e tre forti, oltre che dosate bene tra loro. E poi lui canta molto bene, non a caso al DopoFestival è stato votato il migliore dagli altri cantanti. L’arrangiamento, inoltre, era di gran lunga il più moderno e attuale tra quelli in gara, avrei voluto scriverlo io. Una piccola meraviglia, davanti a cui bisognerebbe avere l’intelligenza di fare i complimenti e basta. 

La seconda più bella?

Mi piaceva molto il pezzo di Daniele Silvestri, che come è noto abbiamo premiato come testo migliore. 

Come ne esci da questa vicenda?

Da un punto di vista professionale non mi sento sfiorato, da un punto di vista umano sono un po’ rattristato. 

Visto che a Baglioni lo chiedono sempre, ci tornerai a Sanremo?

Ma figurati se mi richiamano (ride). 

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