Di cosa rappiamo quando rappiamo d’amore? Senza arrivare a tirare in mezzo lo scrittore Raymond Carver, c’è qualcuno che può aiutarci a rispondere a questa domanda, perché dopo ben sette album in cui ha esplorato, con il suo flow romantico e sexy, l’universo delle relazioni, oggi – con l’uscita di Stupido amore – arricchisce il racconto di un nuovo capitolo.
Mecna è riuscito a rendere negli anni il suo stile riconoscibile e apprezzato senza inseguire le mode del momento, anticipando il trend del disco personale che Marracash ha poi consacrato al grande pubblico. Dopo sei dischi d’oro, un disco di platino e importanti collaborazioni – a cui si aggiungono i nuovo featuring con Dargen D’Amico, Guè e Coez – Mecna torna nel rap game con un album suonato (c’è anche il violinino di Rodrigo D’Erasmo) di canzoni d’amore che non sono solo canzoni d’amore, come ci racconta in questa intervista.
In questo disco l’amore sembra più uno strumento, un linguaggio per parlare d’altro.
L’amore è un pretesto, in questo album ho parlato molto di relazioni in generale: amicizia, rapporto con i genitori, con la religione, perfino con la morte. Quindi la parola amore potrebbe essere sostituita con passione, qualcosa di forte che ti spinge a farti mille domande senza mai essere soddisfatto della risposta.
Sei al tuo ottavo disco. Come si è evoluto questo racconto dell’amore/passione crescendo? Conta l’età anagrafica?
Andando avanti cambia la vita e il modo di vederla e raccontarla. Sto cercando di fare un percorso, di capire qualcosa in più di me quando scrivo. E anche se l’80% dei pezzi è autobiografico, attingo molto dalle storie di amici e conoscenti, da quello che vedo andando in giro.
In Mille voci collabori con Drast degli Psicologi, che è di una generazione diversa dalla tua, più giovane. Hai trovato delle differenze o delle similitudini nel modo di raccontare le relazioni?
Non c’è molta distanza, in quel pezzo si parla della difficoltà di esprimersi in una relazione, è una cosa che vivono tutti. Ci sono molte sfumature del rapporto di coppia che sono senza tempo e prescindono dalle generazioni. È la fotografia di un sentimento, non di un momento.
Dal successo di Persona di Marracash l’autoanalisi rappata sembra essere un territorio sempre più frequentato nella scena hip hop. Tu come ci sei arrivato?
Di solito parto da una base, da un’idea di arrangiamento, poi è la scrittura in sé che mi porta come un fantasma in altre direzioni. L’autoanalisi è proprio nel processo di scrittura, è il bello di iniziare a scrivere un brano e vedere dove ti porta.
Questo intimismo auto biografico è diventato il tuo marchio di fabbrica.
La solitudine e l’insoddisfazione sono sempre state una spinta a scrivere, e questa scrittura intima su sonorità ben precise è diventato il mio linguaggio. Se mi apro in modo totale a chi mi ascolta la mia musica arriva meglio e io mi sento meno solo.
Anche il pubblico oggi è più sensibile a questo tipo di racconto?
Sì, è un processo naturale. Il rap in questi anni è arrivato a tanti con mille sfaccettature diverse, anche superficiali in senso buono, e ora la gente forse ha bisogno di ascoltare qualcosa che vada in profondità. Che è la vera essenza del rap, quello che mi ha fatto avvicinare alla musica.
Una cosa che ti allontana un po’ dal canone di linguaggio rap è il fatto di non mettere nei tuoi testi molti riferimenti alla contemporaneità. Ne ho trovato solo uno in Stupido amore, in cui citi Virgil Abloh…
Da una parte è questione di carattere, dall’altra è la paura che così i bravi invecchino prima. Parlo però di quello che mi succede intorno: oggi tantissime persone che conosco della mia età fanno figli e su questo ho scritto un pezzo. In questo disco ci sono un paio di brani che fotografano la mia opinione sugli altri e sul mondo: L’odio e Canzone da dedicare raccolgono le sensazioni di questi ultimi due anni in cui sembra che sia andato tutto a rotoli.
È un disco che musicalmente hai pensato con la band. Cosa è cambiato rispetto agli altri tuoi lavori?
Dopo tante produzioni elettroniche avevo bisogno di confrontarmi con un mondo diverso, anche se la direzione è sempre riconoscibile. Da tre anni vado in giro per concerti con la band, mi sembrava naturale portarla dentro il nuovo progetto.
Usi molto l’Auto-Tune. In un libro uscito da poco, Auto-Tune Theory, Kit Macintosh sostiene che questo strumento digitale dia vita a un sentimento reale che spesso enfatizza la passione e il lirismo di un normale cantato. Sei d’accordo?
Sì, son un fan dell’Auto-Tune perché utilizzato bene può far vibrare delle corde in più. Anche dal vivo, solo con un pianoforte ha un effetto fortissimo.
Nella vita, oltre a fare il cantante, sei anche un grafico. Quanto c’è di questo lato artistico e professionale nelle tue produzioni musicali?
Mi aiuta a rendere con immagini quello che voglio raccontare con la musica. Non solo la copertina, io curo i video, i set per i tour, tutto: in questo momento storico quello che la gente vede è, ahimè, quasi più importante di quello che ascolta. Il concept visivo di Stupido amore è il letto che c’è nella copertina, e che abbiamo utilizzato per i visual, per i videoclip: questa idea arriva con la musica e io tengo le fila di tutto il processo.