Anche chi non guarda X Factor probabilmente ha sentito nominare a ripetizione i Melancholia negli ultimi giorni. Il motivo è la loro eliminazione a sorpresa di settimana scorsa, quando tutti li davano tra i favoriti: “traditi” dalla manche con l’orchestra e da un tilt innescato dai giudici, il televoto non li ha premiati, interrompendo la loro strada a un passo dall’agognato traguardo della finale, provocando non poche polemiche anche tra la giuria.
Eppure, secondo molti i vincitori morali di questa edizione sono proprio loro. In primis per la performance di congedo da brividi che hanno fatto durante l’Hot Factor, il talk che segue la trasmissione: un fiume in piena di rabbia, delusione, dolore e grinta che è raro vedere perfino sul palco di un vero concerto, figuriamoci su quello di un talent show televisivo. Secondariamente, perché i loro brani inediti sono subito balzati ai piani alti delle classifiche digitali. E ultimo ma non ultimo, perché sulla scia di questo travolgente entusiasmo è stato annunciata a sorpresa l’uscita del loro EP What Are You Afraid Of?, letteralmente “di cosa hai paura?”, che debutta oggi su tutte le piattaforme e contiene nove brani inediti scritti dalla band, di cui sette mai sentiti all’interno del programma.
Quando raggiungiamo al telefono Benedetta (22 anni, cantante; gli altri membri del gruppo sono Fabio, tastierista 24enne, e Filippo, chitarrista 23enne, tutti di Foligno), la sua voce suona rilassata e serena, ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dopo questa uscita di scena al cardiopalma.
Come mai il titolo What Are You Afraid Of?
Ogni brano è intriso di storie personali molto importanti e parla di un viaggio all’interno di se stessi. Viaggio in cui è facile incontrare paure e ansie profonde, per definizione.
Di cosa hai paura tu, ad esempio?
Credo di soffrire di tutti i tipi di ansie esistenti: prendo ogni cosa di petto e molto istintivamente, e il rovescio della medaglia è che vivo sempre sotto stress, con un’energia repressa enorme. Se vogliamo buttarla sul ridere, ho una paura fottuta dei piccioni! Ma parlando più seriamente, la mia più grande fobia è quella di non essere accettata o riconosciuta per quella che sono. È difficile da spiegare, ma è davvero un disagio profondo, per cui forse dovrei tornare dritta in terapia (ride).
La musica ti aiuta in questo?
Sicuramente è una catarsi gigantesca: siamo tre persone che interiorizzano tantissimo e che si rodono il fegato piuttosto che esporsi. Si può dire che, nel nostro caso, la musica non sia un filtro tra noi e la realtà: i filtri siamo noi, e la realtà è la musica.
Quando avete cominciato a scrivere questo EP?
Il primo pezzo, Black Hole, lo abbiamo scritto cinque anni fa, anche se poi lo abbiamo rielaborato in una versione completamente diversa. La maggior parte dei brani si sono evoluti con il tempo, in realtà, ma ce ne sono alcuni che sono sopravvissuti esattamente così com’erano, come Cellar Door. Siamo cresciuti tanto nel periodo in cui li registravamo, e la varietà del sound è dovuta anche al fatto che i nostri ascolti sono cambiati con il tempo. Si va dai Radiohead ai Gorillaz ai Twenty One Pilots a James Blake.
Colpisce anche il fatto che, a differenza del 99% dei prodotti usciti dalla trasmissione in questi anni, What Are You Afraid Of? non contiene cover, ma solo brani inediti…
Questo è stato un anno di prime volte, per X Factor, e forse la decisione di non inserire cover è stata figlia di questo, oltre che del fatto che avevamo già nove inediti pronti. Ci piace cantare brani di altri, ma siamo molto attaccati alla nostra musica, perciò uscire con un disco che contiene solo roba nostra è una grandissima soddisfazione. Se avessi dovuto scegliere di inserirne una, sarei stata indecisa tra Sweet Dreams degli Eurhytmics e Grounds degli Idles.
Era già previsto che l’EP venisse pubblicato immediatamente dopo la vostra uscita da X Factor?
Assolutamente no, è stata una bellissima sorpresa anche per noi. Quando ce l’hanno detto mi è cascata la mascella (ride). Avevamo la fortuna di avere già questi pezzi pronti, che hanno avuto una gestazione di anni e anni: noi per primi non vedevamo l’ora di farli sentire a tutti.
A proposito della vostra uscita da X Factor, una delle cose che ha più colpito è stata la vostra performance travolgente di Alone, così accorata e straziante da risultare quasi dolorosa. Sei salita sul palco con l’intenzione di fare ciò che hai fatto o è stato un impulso del momento?
No, per niente. Quando ci avevano eliminati, avevo detto: «In questi casi non so parlare, preferisco cantare». Ed è meglio bypassare anche le nostre reazioni post eliminazione, perché è stato come essere investiti da un treno. Eravamo dietro le quinte dell’Hot Factor in attesa del nostro turno e, esattamente cinque secondi prima che si aprissero i ledwall per farci entrare, è arrivato da noi Fabrizio Ferraguzzo (music director di X Factor, ndr) e ci ha detto: «Okay, non parlate: cantate Alone». È stata la notizia più bella che ci potessero dare. Il nostro grandissimo dispiacere di non avere passato il turno era dovuto anche al fatto che non avremmo avuto l’occasione di cantare quella canzone nella manche successiva: è un pezzo a cui teniamo tantissimo.
Un momento che resterà scolpito nella mente di molti telespettatori.
Noi sappiamo solo suonare, e quello abbiamo fatto, con tutto il cuore e tutta l’anima. L’attimo più emozionante per me è stato dopo avere urlato praticamente in faccia la canzone ai giudici, quando mi sono girata verso Fabio e Filippo e li ho visti piangere mentre suonavano. Lì ho capito che stavamo esprimendo il nostro bisogno più grande, un bisogno condiviso da tutti e tre.
Tradizionalmente, per i concorrenti fuoriusciti dal programma, uno degli shock più grandi è rientrare nel modo esterno e scoprire da un giorno all’altro di essere diventati delle vere e proprie star. Com’è stato per voi venire a sapere che c’erano shitstorm in corso e petizioni online contro la vostra eliminazione?
In realtà questo è il primo anno nella storia di X Factor in cui hanno fatto tenere i telefoni, quindi a differenza delle edizioni precedenti non eravamo proprio fuori dal mondo. Detto questo, quando abbiamo letto quelle cose eravamo sconvolti, in senso positivo: è stato pazzesco capire quanto la gente ci stimasse e ci apprezzasse, sia a livello musicale che personale. Se la nostra più grande paura è quella di non essere accettati, per tornare all’inizio dell’intervista, tutto ciò non può che farci piacere e scaldarci il cuore. La consapevolezza di essere riusciti a lasciare il segno è bellissima.
Anche voi, come molti vostri fan e il vostro giudice, percepite in qualche modo come un’ingiustizia questa eliminazione?
All’inizio l’abbiamo vissuta con grande tensione, proprio con scazzo – uso volutamente questa parola perché non riuscirei a trovarne un’altra – perché avevamo in mente tutto un percorso ed eravamo già proiettati alla puntata successiva. Oggi, però, posso dire che aver suonato Björk con un’orchestra e Rodrigo D’Erasmo, e avere avuto poi la possibilità di cantare il nostro inedito da eliminati, è stato il miglior modo possibile per uscire da X Factor. Ci abbiamo messo la faccia, siamo stati noi stessi fino in fondo, ed è meglio andarsene così. Non siamo delusi o risentiti.
All’estero, band con il vostro background magari non pensano neanche a entrare in un talent show, ma emergono esibendosi nel circuito dei live o negli showcase festival per gli addetti ai lavori. Se ci fossero state delle alternative ai talent anche in Italia, pensate che le avreste percorse?
Eh, magari ci fosse stata la possibilità! Sia chiaro, non demonizzo il mondo dei talent, ma noi in cinque anni abbiamo provato a farci spazio in tutti i modi in Italia, e non siamo mai riusciti a fare quel passo in più che ci era necessario. Non so se la colpa sia della mentalità della discografia o se abbiamo sbagliato noi rivolgendoci agli interlocutori sbagliati: forse non lo sapremo mai. Sicuramente non potevamo fare di più, perché avevamo già esaurito qualsiasi opzione. Abbiamo avuto la possibilità di rivolgerci al grande pubblico grazie a una vetrina come X Factor e, siccome ne sentivamo il bisogno, ci siamo andati. E siamo fierissimi di averlo fatto, perché ci sta portando dove volevamo. Non ci pentiremo mai della nostra scelta, anche perché nonostante lo stress della tv, a cui è difficile abituarsi per un musicista, siamo entrati a confronto con professionisti eccezionali, dai backliner agli stylist alla direzione artistica. Abbiamo imparato tantissimo da tutti, assorbivamo nozioni come spugne. Ora ci sentiamo molto più pronti e completi.
Pronti per cosa, a proposito?
Per suonare, innanzitutto. Sempre, ovunque e comunque. Appena qualcuno pronuncerà la parola magica “tour”, io impazzirò di gioia, perché non vedo l’ora di tornare sul palco e avere un contatto con il pubblico. Nel frattempo, per occupare il tempo, scriveremo tantissimo.