Rolling Stone Italia

Metronomy: «Il pop di oggi è miope»

Abbiamo intervistato il leader della band elettronica inglese, che ci ha parlato del nuovo disco e di come fa fatica a ritrovarsi nel suono attuale della musica mainstream
Joseph Mount (a sinistra) e i suoi Metronomy. Foto: Stampa

Joseph Mount (a sinistra) e i suoi Metronomy. Foto: Stampa

Joseph Mount pronuncia la parola “Metronomy” con un orgoglio che percepirebbe anche una persona che non parla una parola d’inglese. La cosa però non disturba perché non ti spiattella in faccia il suo essersi realizzato, ma semplicemente non fa mistero della sua soddisfazione per come sono andate le cose. È iniziato tutto nel ’99 firmando le tracce a nome Metronomy nella sua cameretta. Col tempo poi si sono aggiunti elementi al complesso, che quest’anno torna fra gli scaffali della sezione “Elettronica” (o, se vogliamo sporcarci la bocca, “Indietronica”) con Summer 08. Passano gli anni, ma il piglio danzereccio e retrò con cui la band di Devon (UK) si è fatta strada tra gli hipster di mezzo mondo non sembra volersi estinguere.

Chiamo Joseph al telefono qualche giorno dopo un primo tentativo andato a vuoto, rendendomi subito conto che la sincerità è uno dei suoi più grandi pregi.

Stai bene? Perché l’altra volta mi hanno detto che eri dal dottore.
Sto benissimo, era una cazzata per non dirti che ero semplicemente in ritardo. [ride] Non avrei fatto in tempo.

Apprezzo molto la sincerità. Dove sei?
Al momento mi trovo a Parigi.

Stai promuovendo il disco, immagino.
Tantissimo, domani torno in Inghilterra. Comunque vivo qui da qualche anno, la mia ragazza è parigina.

L’ultima volta che ti ho visto era al live dei Magazzini Generali.
Era quella discoteca a Milano? Quella dove avevamo parcheggiato il tour bus davanti?

Sì, esatto. Posto pazzo, eh?
Pazzo è un eufemismo. Mi ricordo che c’erano tonnellate di persone spaventose. Ma chi erano?

Erano gli zarri dei Magazzini! Devi sapere che il mercoledì dopo i concerti c’è una serata per tamarri.
Ah, ecco perché! Erano davvero tutti spaventosi. Non tanto per i vestiti o per quante lampade si fossero fatti, ma più che altro perché erano tutti dei cloni, delle fotocopie l’uno dell’altro! Terrificante. Non ho mai visto tante persone uguali.

Senti, ma cos’è successo di tanto importante nell’estate del 2008 da meritarsi il titolo dell’album?
Non ricordo di preciso cosa sia successo nell’estate, ma in generale l’anno è stato significativo. Nel 2008 è uscito Nights Out, il secondo album dei Metronomy ed è lì che—più o meno—mi sono reso conto di essere diventato un musicista. Sai, uno che va in tour, che trascorre la maggior parte dell’anno qua e là per il mondo, che si gode la vita lontano da casa. Il 2008 è l’anno in cui è cominciato tutto e da allora non abbiamo mai smesso di fare concerti, album, interviste…

Guardi a quel periodo con nostalgia?
È strano perché provo nostalgia, ma se ci penso è migliorato tutto da allora. Era l’inizio, non sapevamo nulla di questa vita. Non è di certo una nostalgia tipo: “Oh, come vorrei che fosse il 2008!”. Si tratta più di una mancanza verso di un me più giovane e sicuramente più ingenuo. Ero determinato a trasformare i Metronomy in qualcosa, ma in mano non avevo ancora niente. Quindi, sì, sono nostalgico ma penso di vivermela mille volte meglio oggi.

E che mi dici di Back Together? Sembra che, lì, la nostalgia sia palpabile.
Quella è più una rimembranza dei tempi dell’università, dei miei vent’anni. Rimanda a quell’epoca più che altro per com’è scritta, visto che ad esempio il testo risulta, come dire, vanitoso. E quando hai venticinque anni lo sei. L’intero album vuole far rivivere i miei pensieri da venticinquenne, quindi perlopiù sciocchi e ingenui.

In termini di influenze, mi è sembrato più anni Ottanta che Settanta come l’ultimo Love Letters.
Se mi metti in mano un sintetizzatore e una drum machine, che sono i principali strumenti con cui lavoro, prima o poi il suono che viene fuori è retro, non si scappa. Non mi prefiggo di fare suonare una traccia più anni Sessanta, Settanta o Ottanta. Strumenti, stili e ritmi nati in quegli anni sono ancora onnipresenti nel pop moderno. Non cerco di suonare Ottanta, semplicemente per il fatto che non puoi fare musica anni Ottanta nel 2016. Sono nato nel 1982 e tutti i miei primi ricordi, tutti i primi brividi musicali vengono da quella decade, quindi credo che sia un processo inconscio che non posso controllare. È come un imprinting.

So che sei un patito di vecchi synth analogici. Ne hai trovati di nuovi per Summer 08?
Ho sempre una manciata di synth che mi porto dietro in ogni disco, ma qualcosa di nuovo l’ho provato in questo album. Vediamo… Beh, ho usato molto un Roland Alpha Juno e anche un Alesis Andromeda, molto anni Novanta. La cosa più divertente che posso fare in uno studio è spippolare con i synth, ne avverto il bisogno fisico. Quando costano troppo, li noleggio, ma di solito faccio carte false per comprarli. È strano perché un tempo eravamo in quattro gatti a comprare synth, quindi anche il più valido aveva un prezzo ragionevole. Ora, essendo un po’ di moda, i prezzi si sono alzati mostruosamente. L’Alpha Juno, l’ho pagato 2500 euro e fidati che è uno dei meno cari. Se lo fai come un hobby, ti costa troppo.

Secondo te si esaurirà mai la febbre per i suoni retrò?
Oltre ai dischi vecchi che adoro, mi metto spesso a spulciare le classifiche delle nuove uscite. Quindi, posso dire di essere aggiornato sul suono attuale del pop, che personalmente mi sembra un po’, come dire, miope. Soffre di miopia. Mi piacerebbe collaborare con qualche giovane produttore nel prossimo disco, giusto per aggiungere un po’ di importanza, ma penso di essere troppo vecchio per alcune cose. Non posso liberarmi in un secondo del suono che ho costruito finora. Però credo che sarebbe interessante provare a dare un po’ di 2016 ai Metronomy.

Sei troppo vecchio, chessò, per ascoltare i nuovi dischi della Warp Records?
Alla Warp sono sempre stati bravi a trovare il meglio dell’avanguardia elettronica e pubblicarlo. Però non posso proprio dire di essere un fan sfegatato. Il mio problema con quel tipo di musica è che molto spesso suona intenzionalmente di nicchia. Come se l’artista che stai ascoltando non voglia davvero avere un successo commerciale tipo, boh, Skrillex. Potrebbe essere molto più accattivante come musica, ma non lo è di proposito. È strano perché artisti Warp come Hudson Mohawke collaborano tutti i giorni con produttori e artisti per creare il pop più mainstream.

Già, lui produce da Kanye West a John Legend.
Ecco, c’è spesso questa doppia natura un po’ pretenziosa per cui, al contempo, ti dedichi al mainstream e all’underground senza vie di mezzo. Ma alla fine va bene così.

C’è però un brano che suona più moderno. Quello con Robyn, che tra l’altro è l’unico featuring del disco.
Sì, e in parte il merito va a Erol Alkan. È lui che l’ha mixata, stravolgendo l’idea di fondo, il suono. Molte delle nostre tracce suonano diverse, dipende dal fonico di mix che aggiunge del suo. Alcune nel disco le ha mixate Bob Clearmountain, che era ed è tuttora uno dei più grandi fonici di mix e produttori di sempre. Ha fatto dischi come Born In The USA di Bruce Springsteen, Get Close dei Pretenders e Let’s Dance di David Bowie. Volevo proprio che conferisse ai brani un’impronta anni Settanta-Ottanta e lo noti in Miami Logic, Night Owl e 16 Beat. Niente a che vedere col piglio club di Erol.

Ma come mai solo un featuring e proprio con Robyn?
Primo, perché non c’era motivo di avere altri ospiti nell’album—se tralasciamo gli scratch di Mix Master Mike dei Beastie su Old Skool, ma lui è più un idolo d’infanzia—e poi, perché non amo vedere gli album pieni di collaborazioni. Sembra tanto un’ostentazione del tipo: “MMM guarda come sono famoso!”

“MMM quanti amici importanti che ho”
[risata generale] Esatto! Quella roba proprio non mi va giù, preferisco scegliere qualcuno in base al brano. Robyn era perfetta per Hang Me Out To Dry, che per tanto tempo è rimasta con solo la mia voce dentro, non suonando granché bene. Aveva bisogno di una voce femminile e visto che sono amico da anni con Robyn, le ho chiesto di darmi una mano. Adoro la sua voce e ciò che culturalmente ha fatto lei.

Voi però ce l’avete una voce femminile nella band, no?
Parli di Anna? Sì, lei ha cantato in qualche brano di The English Riviera ma non avrei mai potuto scegliere lei. Summer 08 è il frutto del mio lavoro in studio. È stato registrato vicino a una cittadina dell’Ovest francese, Angers, e poi l’ho terminato fra la Francia e l’Inghilterra. Nessun della band oltre a me è stato coinvolto granché in fase di registrazione. Magari Anna canterà Hang Me Out To Dry nel live ma solo se se la sentirà.

Ho letto da qualche parte che a inizio carriera anche tu avevi qualche problemino a cantare. Ti mancavano le basi oppure eri solo timido?
Più che altro pensavo che avrei fatto solo musica strumentale per sempre. Il piano era di diventare il tipo di artista che chiede sempre ad altri cantanti di cantare, avrei chiesto tanti featuring. Poi però, alimentato da quella smania di autosufficienza che abita in ogni bedroom producer, ho pensato che sarei stato in grado di sedermi lì e finire una traccia dalla testa ai piedi. Senza dover chiedere ad altre persone di cantarci sopra e aspettare che lo facciano. Così ho provato a cantare per la prima volta in Nights Out, il socondo album dei Metronomy. All’inizio ero incerto delle mie doti canore, non mi ritenevo affatto un cantante. Col tempo ho cominciato a capire che più canti e più la cosa si fa divertente, stimolante. Chiunque può cantare, letteralmente.

Mi spiace ma non ce la farai a convincermi che ho una bella voce. Quando la riascolto da registrata provo un misto fra fastidio e rassegnazione.
[ride] Ma no, dai, devi solo farci l’abitudine. Se ascolti Nights Out, il cantato è estremamente semplice, molto pulito. In parte è proprio perché non volevo vergognarmi riascoltando le registrazioni. Tutti hanno problemi a riascoltare la propria voce, a parte chi ha problemi di ego. Ci vuole tempo, il trucco è capire cosa possa rendere unica la tua voce e lavorarci su. Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti.

Ho visto il video di Old Skool, mi sembra di aver riconosciuto un attore di Game Of Thrones, Ben Crompton. O sbaglio?
Non sbagli. Mi fa ridere perché il vero ospite famoso nel video è Sharon Horgan, un’attrice inglese molto brava.

Porta pazienza, ma io ultimamente sto in fissa per Game Of Thrones. E per “ultimamente” intendo gli ultimi quattro anni.
Ti capisco. Quando stavamo scegliendo gli attori insieme a Dawn, la regista del video, abbiamo pensato subito a Sharon Horgan, che sappiamo essere una grande fan dei Metronomy. Di Ben Crompton mi sono accorto soltanto quando ho visto il video per la prima volta. Mi sono detto: “Ma io quello l’ho già visto!” Non sono più molto aggiornato su Game Of Thrones, lo guardavo appena è uscita la prima serie. Sicuramente lo guardavo prima di te!

Iscriviti