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David Bowie: «Mi rifiuto di essere considerato mediocre». La prima intervista di Rolling Stone

Quando “Rolling Stone” lo intervista per la prima volta nel 1971, David Bowie è un artista con grandi progetti, un guardaroba strepitoso e un grande tocco per le frasi a effetto. La pubblichiamo nel giorno del compleanno

Con il suo abitino di velluto a motivi floreali e gli occhi truccati, con i suoi bei capelli biondi che gli cadono sul petto e un cappello comprato nel reparto donne del negozio “City of Paris” a San Francisco, David Bowie è incantevole, e ha una somiglianza quasi sconcertante con Lauren Bacall, anche se lui preferisce il paragone con l’ultima Greta Garbo.

È negli studi della radio KSAN-FM di San Francisco e sta spiegando a un incredulo dj che il suo ultimo album è una raccolta di ricordi delle sue esperienze da travestito. A Hollywood, a un party in suo onore, manda fuori di testa tutte le ragazze in hot pants dando il benvenuto con i capelli pettinati come Edy Williams e indossando una lunga gonna, prima di scusarsi e andare a un’altra festa qualche isolato più in là per vedere l’artista pop Ultra Violet che concede delle interviste, mentre fa il bagno nel latte.

Nonostante sia il creatore di uno degli album più interessanti dell’anno, The Man Who Sold the World, David Bowie è ancora praticamente sconosciuto. Ma non per molto: il magnificamente scandaloso cantante, attore e cantautore londinese 24enne farà il primo tour in America in aprile (è già stato negli Usa a febbraio, ma non ha potuto esibirsi per problemi con il visto).

«Mi rifiuto di essere considerato mediocre», dice Bowie, «se fossi mediocre, fallirei. Ecco perché la performance è così importante per me». Ha in mente di presentarsi sul palco vestito da Cleopatra, con il trucco pesante e un costume che spera possa ricordare a tutti quelli disegnati negli anni ’30 dal grande artista art deco Ertè. Dice che introdurrà anche elementi di mimo, un’arte di cui si è occupato nel corso della sua carriera, soprattutto scrivendo, producendo e recitando per la compagnia di mimo di Lindsay Kemp a Londra. «Voglio catturare l’attenzione del pubblico con una serie di movimenti molto stilizzati, molto giapponesi».

Assicura di averlo già fatto in passato, con risultati soddisfacenti: «Tre anni fa, alla Festival Hall di Londra, ho fatto una performance di 20 minuti sulle note di una mia canzone intitolata Yet-San and the Eagle, che parla di un ragazzo che cerca di trovare la sua strada nel Tibet occupato dal regime comunista cinese. Potrei portarlo in giro anche in America. Ha avuto molto successo, il pubblico lo ha capito e lo ha apprezzato».

Non è preoccupato della minore esperienza e quindi della minore recettività del pubblico americano nei confronti delle performance musicali che incorporano anche elementi teatrali: «Se qualcuno pensa che siano solo delle distrazioni o degli espedienti per mascherare qualche difetto nella mia musica, allora è meglio che non venga a vedermi. Deve stare alle mie condizioni o niente. I miei spettacoli sono esperienze teatrali, sia per me che per il pubblico. Non voglio lasciare alle spalle le mie fantasie per salire sul palco, voglio portarle sul palco con me».

Dice anche che il rock in particolare e il pop in generale non dovrebbero essere presi così sul serio come sta accadendo in questo momento: «Quello che la musica dice può anche essere serio, ma come strumento di espressione artistica non dovrebbe essere analizzato o preso così seriamente come va di moda adesso. Dovrebbe essere oltraggiato, prostituito, trasformato in una parodia di se stesso. Dovrebbe diventare un clown, un Pierrot. La musica è la maschera, il Pierrot, e io sono il messaggio. Puoi dire ai tuoi lettori che potranno farsi un’idea su di me, quando cominceranno a circolare voci negative su di me, tipo quando mi troveranno a letto con il marito di Raquel Welch».

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