Mick Fleetwood ha tutto il diritto di rilassarsi. Ha appena chiuso un tour di 13 mesi coi Fleetwood Mac, il primo della band senza Lindsey Buckingham, sostituito dal chitarrista di Tom Petty and the Heartbreakers Mike Campbell e dal cantante dei Crowded House Neil Finn. E invece il batterista, che ha 72 anni, sta già lavorando al suo prossimo progetto: un concerto in onore di Peter Green, co-fondatore dei Fleetwood Mac e autore dei loro primi classici uscito dal gruppo a causa di problemi mentali e dipendenza. Lo show si terrà il 25 febbraio a Londra. Interverranno David Gilmour, Christine McVie, John Mayall e Steven Tyler. «Voglio che la gente sappia che non l’ho fondata io questa band, è stato Peter Green», spiega Fleetwood. «E mi piace l’idea di celebrare i primi anni del gruppo».
Peter Green non s’è visto granché in giro negli ultimi dieci anni. Quando ci hai parlato l’ultima volta?
Un anno e mezzo fa. Ho passato un’intera giornata con lui, c’era anche la mia fidanzata. Ovviamente non è il Peter di un tempo. Suona la chitarra acustica, dipinge, gli piace pescare. Da un certo punto in poi non è stato più bene, ma è ok. Non è per niente egocentrico. Tu gli chiedi se comprende quel che di grandioso ha fatto nella vita e lui ti risponde che “No, no. Ok, forse sì”. Non è uno che si vanta.
Suonerà anche lui a Londra?
No, ma credo che verrà. Vuole mantenere un profilo molto basso e va bene così. Il concerto racconta il suo viaggio nella musica e vuole dimostrare che quella musica è ancora viva. Tutti quelli che ci saranno possono raccontare una storia toccante che li lega ai primi Fleetwood Mac.
Ci sarà John McVie?
No, per quello che si sa al momento. È nel bel mezzo di uno dei suoi viaggi in barca. Ci sarà Christine [McVie].
È stato bello sentirvi suonare Man of the World nell’ultimo tour.
Neil Finn ha fatto un gran lavoro in quel pezzo. È una canzone profetica. Quando scrisse pezzi come quello o l’ultimo che fece con noi, The Green Manalishi, non sapevamo che soffrisse tanto. Ma te ne rendi conto se presti attenzione alle parole, eccome. È una canzone bella e commovente.
Peter non è il solo chitarrista che ha lasciato la band nel corso della sua storia. Saranno una decina. Com’è che tu e John non riuscite a tenervi i chitarristi?
E chi lo sa. È sconsolante pensare a quanti grandi chitarristi sono venuti e passati. Siamo stati io e John a tenere assieme la band. Ma da soli non possiamo farlo e perciò ogni volta che qualcuno ci lascia andiamo a caccia di un nuovo chitarrista.
Ci sono voci di un musical di Broadway dedicato ai Fleetwood Mac.
Se n’è parlato parecchio. Spero che prima o poi diventi realtà. C’è tanta gente che pensa che sarebbe un gran bel musical. È una storia incredibilmente interessante, soprattutto il periodo di Rumours, ma ancora non c’è nulla di definito.
Come va il fisico dopo l’ultima tournée-maratona?
È smettere di fare concerti che ti butta giù. Alle 8 di sera cominci a sentirti nervoso e non sai perché. È il tipo di stress che ti fa andare avanti, come un soldato, e quindi devi stare attento a non buttarti troppo giù quando torni a casa.
Ci sono piani per i Fleetwood Mac? Leggo che Stevie Nicks sta preparando un lungo tour solista.
Un paio di settimane fa, a tour concluso, ci siamo ritrovati a Los Angeles. Siamo tutti aperti all’idea di continuare. Niente scioglimento. Ci siamo presi una pausa, qualche settimana prima di cominciare a pensare a che fare.
Che cosa ti aspetti dal futuro?
Non un lungo tour, forse non ne faremo più. Ma ci sono un sacco di alternative. Prendi Peter Gabriel che fa cinque o sei concerti nei festival estivi, ad esempio. Nel futuro dei Fleetwood Mac vedo qualcosa di simile. Siamo nella posizione di scegliere solo le situazioni dignitose, divertenti, interessanti dal punto di vista storico.
I tour d’addio vanno di moda. Vedi i Fleetwood Mac farne uno?
Immagino di sì. Sarebbe la cosa giusta da fare. Non ci siamo ancora arrivati, ma se e quando ci arriveremo un tour d’addio sarà un bel modo per dire alla gente che non ci vedranno più suonare assieme.
E ti ci vedi suonare assieme a Lindsey Buckingham, in un modo o nell’altro?
No. I Fleetwood Mac sono una strana creatura. Abbiamo preso degli impegni con Neil e Mike tanto tempo fa, quando Lindsey ha lasciato il gruppo. Non c’è proprio modo che succeda, quindi, no. È il classico dramma dei Fleetwood Mac, non c’è dubbio. Lindsey ha lasciato un’eredità che è viva. Quel che ha fatto costituisce una grande, grandissima parte del gruppo e nessuno glielo può togliere, nessuno di noi vuole in alcun modo sminuirlo. Neil e Mike provano grande rispetto per Lindsey. La situazione era chiara. Non eravamo felici. Non funzionava e ognuno ha preso la sua strada. È tutto quel che c’è da dire.
Hai parlato con Lindsey dopo che ha avuto un infarto?
No.