Attorno al 2005 in Francia spopolava un genere musicale da noi quasi sconosciuto: il Raï’n’B, nato dalla fusione tra l’R&B e il raï, la musica tradizionale del Maghreb. Oggi approda anche in Italia grazie a Miragal (vero nome Afef Jmili) che, come il suo sound prediletto, è cresciuta a cavallo tra due mondi. Il nome che si è scelta viene da un romanzo di Nabokov, Fuoco pallido: «Miragal, “mirage girl”, ha un corpo sinuoso e folti capelli ricci; i re del deserto cederebbero cammelli e fonti pur di averla», racconta.
Nata a Rabat, in Marocco, 23 anni fa, a tre si è trasferita in Italia. «Sono cresciuta qui, ma con un forte attaccamento alle mie radici: a casa si parlava arabo, i miei insistevano perché l’italiano lo usassi solo a scuola». La famiglia, tradizionalista e musulmana, non l’ha incoraggiata ad avere ambizioni artistiche, anzi. «Mi chiudevo in cameretta a cantare e ballare la danza del ventre di nascosto. Sognavo di essere come Shakira o Rihanna, ma non pensavo fosse possibile, per me», ricorda. Tutto cambia grazie a Palmistry, producer inglese conosciuto via web.
«Mi mandò un beat e scrissi di getto la mia prima canzone, Lialy. La caricammo su SoundCloud: mi aspettavo una manciata di ascolti, invece furono una valanga. Ero felicissima». Tre anni dopo le cose vanno a gonfie vele: ha un EP in cantiere, prodotto dai 2nd Roof, cantato in arabo e inglese («Sono andata a trovarli in studio e qualcosa è scattato, abbiamo cominciato subito a registrare»), un contratto con Warner («Ci ho creduto davvero solo il giorno in cui ho firmato»), ed è protagonista dell’ultima campagna Nike.
Anche l’atteggiamento della sua famiglia è in parte cambiato: «Mio padre non si interessa minimamente alla mia carriera, ma mamma e le mie sorelle sono felici: sono la quinta di sei figli, a casa ho parecchi fan», scherza. «Il fatto che io canti nella nostra lingua è importante per loro. Spero che mi accetteranno e supporteranno anche quando usciranno i video, però, perché la mia immagine potrebbe contraddire alcune loro idee». Appassionata di moda, sul look non scende a compromessi. «Mi piace esprimere sensualità e femminilità, ma non è una protesta contro l’oppressione che ho vissuto: è un modo di essere», spiega. «Miragal non è un personaggio costruito o un modo per evadere dalla quotidianità: sono io, è la mia storia».