Si chiama Le canzoni di Mogol e Battisti la nuova sfida del paroliere in vendita dal 27 ottobre, che ha visto schierare in prima linea i giocatori più talentuosi di casa Mogol. Dagli ex studenti del Cet, che dal ’92 prepara e lancia musicisti nel panorama musicale italiano, a insegnanti come Robi Pellati, batterista di Ligabue, Deborah Johnson, figlia di Wess, e Randy Roberts, figlio di Rocky Roberts. Accompagnati da un’orchestra studiata per generare un incontro tra il rock e il suono classico degli archi, in un esperimento complesso, per nulla facile, durato cinque mesi di sala d’incisione.
Qual è stata la sfida più impegnativa di questo progetto?
Lavorare su delle versioni che rispettassero la melodia e la magia delle canzoni di Lucio Battisti, ma con influenze e ritmiche decisamente rock, un rock non distorcente, capace di conservare il feeling senza tempo dei brani di Lucio con il suo pubblico, ma con un passaggio segreto per raggiungere anche le nuovissime generazioni. Perché pezzi come Insieme a te sto bene o Il tempo di morire non possono essere dimenticati, anzi hanno bisogno di rivivere attraverso nuovi linguaggi.
Le sessioni di registrazione del disco:
In altre parole un incoraggiamento a reinventarsi. Un consiglio per le nuove generazioni?
Assolutamente, ma non solo per loro. Credo che un aspetto imprescindibile del nostro lavoro sia quello di non smettere mai di seguire le evoluzioni della musica, in tutti i suoi generi, anche nel rock. E per fare questo ci vogliono due cose molto importanti: cultura e capacità di ascolto. La realizzazione di un lavoro di qualità non può esistere senza fondamenta, altrimenti crolla tutto. E nella musica una buona idea, per trovare collocamento in un progetto concreto, può essere supportata soltanto dalla conoscenza di tutto quello che è venuto prima, perché la cultura ti soccorre laddove la passione non può arrivare, attraverso la nostra capacità autocritica oggettiva che ti permette di giudicare il tuo lavoro. Altrimenti sei un dilettante!
Cos’è il rock per Mogol?
È un modo per rivitalizzare una melodia troppo carica di zucchero, ricorrendo al battito del cuore. Ed è esattamente l’intenzione da cui sono partito per produrre questo disco, e onestamente credo di esserci riuscito. Il risultato di quest’esperienza è la prova che esiste ancora la possibilità di fare un lavoro di qualità, basta circondarsi di persone capaci, legate da una buona dose d’entusiasmo. Sono convinto che Lucio, se fosse stato qui, avrebbe fatto esattamente la stessa cosa.
(editing a cura di Rosamaria Coniglio)