Non ero mai stato a una serata Muccassassina in vita mia. E, ormai, credevo di essere l’unico al mondo; perché, tra i miei amici romani e quelli che la capitale la bazzicano spesso, era tutto un turbinio di: «Ma come! Non ci sei mai stato? Incredibile! Ma lo sai, sì, che là sono tutti gay e fanno gli spettacoli con le drag queen e tutti girano in canottiera o a torso nudo e non si capisce niente?».
Io, in effetti, non lo sapevo. E allora ci ho fatto il mio esordio e, prima di raccontarvi la mia serata, voglio dirvi che sì, è vero: sono (quasi) tutti gay, e sì, ci sono le drag queen, e sì, cazzo, tutti (o quasi) girano in canottiera o a torso nudo. E soprattutto, vivaddio: non si capisce niente, lì dentro. E la cosa, sincerità per sincerità, mi ha proprio divertito.
Ma partiamo dal principio. Venerdì mattina mi sono svegliato con un’otite distruttiva all’orecchio destro che mi rendeva più sordo di Beethoven e un mal di gola che altro che la voce da trans (metafora azzeccata, dài). E, prima di prendere il treno verso Roma, mi sono trovato nel silenzio della mia casa a prendere una decisione importantissima: ma io come mi vesto per avere, comunque, la credibilità di uno che sta andando a vedere l’evento per raccontarlo su Rolling Stone, senza sembrare uno che è partito per andare a un battesimo e si è ritrovato in mezzo alle hit remixate di Lady Gaga mentre tutti intorno fanno rumore? Ed è stato allora che ho optato per un paio di jeans scambiati, più aderenti sulle chiappe (per una volta che qualcuno le noterà, ho pensato) e una maglietta degli AC/DC. Così, mi sono detto, a una comunione mi prenderebbero per il miglior amico di Marilyn Manson e al Muccassassina per un banale etero indeciso sul dress code. E la cosa, a dirla tutta, ha funzionato. Ma andiamo per gradi.
Arrivo al Qube (il locale che ospita, ogni venerdì, le serate Muccassassina) alle dieci e mezza di sera, lì mi attende Mauro, il gentilissimo ragazzo che mi fa fare un giro di ricognizione nel posto, ancora deserto, e mi racconta un po’ cosa mi attenderà da lì a un paio d’ore. E, prima di entrare, noto un nervoso Jimmy Ghione di Striscia la Notizia, con troupe al seguito, che parlotta a più riprese con un paio di buttafuori. E penso: cazzo, io entro per primo e lui no. La serata promette bene.
Mauro mi spiega tutto il lavoro che c’è dietro alle pazze serate del Mucca e di come gli incassi vengano gestiti per alimentare l’associazione Mario Mieli, che si occupa della difesa dei diritti delle persone LGBTQI (che nella mia crassa ignoranza ho scoperto non essere un codice fiscale, bensì l’acronimo di Lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali). Mauro mi mostra il bancariello dove distribuiscono, gratis, i preservativi e fanno informazione su tutto ciò che concerne l’HIV, e subito dopo mi porta nella dark room del locale. E questa non lo sapevo, né nessuno me l’aveva mai raccontata: il Mucca ha una vera e propria dark room, dove l’ingresso è riservato ai soli uomini (e per le lesbiche?, mi domando, non le staremo discriminando?, inizio a essere confuso). E, capiamoci, quello che succede nella dark room resta nella dark room. In pratica: si scopa senza troppi problemi. Wow. Più dark room per tutti.
Quello che non ho ben capito è per quale motivo all’interno della suddetta dark room ci sia anche uno schermo che proietta film porno gay; nel senso: se lì ci vanno per scopare, perché ci mettono un porno? Se io andassi in una dark room etero per farmi una sega me ne starei davanti al monitor del mio piccì. O no? Ma forse sono un perverso tradizionalista, io.
Nel locale ancora deserto assisto alle prove di alcune coreografie delle drag. Dove Diego, il direttore artistico, cazzia tutti con il piglio homo di Garrison e la decisione del Gattuso di Germania 2006. Ri-wow. Mi piazzo lì e osservo quanta forza c’è dietro quello che, di primo acchito, potrebbe sembrare uno spettacolino di checche (detto con simpatia) truccate come Moira Orfei. Ma che dietro cela una passione e una metodicità che l’Operà de Paris scansate proprio. Inizio a divertirmi, la musica prende a pompare e la struttura (vecchia e malandata, però affascinante) comincia a tremare tutta.
La discoteca si riempie. E la sua popolazione è talmente strana ed eterogenea che Alberto Angela potrebbe farci uno speciale antropologico in dieci puntate. Allora, ci sono le checche felici: camicia abbottonata filo al collo, pantaloni alla caviglia e capelli impomatati. I maschioni stile amminoacidi e wrestling, nelle loro magliette aderenti che si infilano in ogni piega della muscolatura. I frocissimi in canotta larga (o a torso nudo) e tatuaggi ovunque. Gli allupati etero che mettono le mani addosso alle donne ogni cinque minuti. Ecco, in mezzo a queste quattro categorie, l’unica che mi fa proprio schifo è quest’ultima. Uomini, etero, ascoltatemi un istante. Se andate in un locale gay a rimorchiare quelle, poche, donne a cui piacciono i maschietti, le quali gongolano all’idea di farsi una serata senza i soliti di voi incollati ai loro glutei, io vi supplico: non rompete loro la minchia. Fatele divertire in mezzo alla musica remixata della Cuccarini e alle drag vestite come Britney Spears. E che cacchio; ho visto uomini truccati da Tina Turner in abiti paiettati avere più sobrietà di voi.
Ma torniamo alla festa. Il tutto comincia con un concerto di Sem&Stènn, direttamente da X Factor (che quest’anno non ho seguito, quindi ignoravo chi fossero). Il fatto è che Sem&Stènn, a parte sembrare un duo di panzerotti svedesi che non sanno bene ciò che fanno, si sono presentati in due magliettine corte sopra l’ombelico con in petto stampato l’angelo della Fiorucci. E no, ragazzi. Da etero, ma pure da gay lo avrei detto uguale: non rifatelo. I rotolini (specie del moretto riccioluto) erano davvero improponibili. Però quando cantano The Dope Show di Marilyn Manson (citato due volte in un articolo, yeah) mi diverto, canto e salto. La mia vecchia passione per Brian Warner scorre ancora forte in me.
Poi vado al piano di sotto e mi godo il momento più bello della serata: lo spettacolo delle drag queen. Che, per questo 28esimo compleanno del Mucca, interpretano le star della musica pop. È il delirio. Quelle matte imparruccate ad arte infiammano tutto e tutti. Le ho amate. Mi sono sentito quasi gay per quanto le ho amate. Ma che ci posso fare, oh, quando lo spettacolo è di alto livello saltano tutti gli schemi. E detto da un etero cresciuto con un padre che sbraitava contro Renato Zero alla tivù negli anni Novanta, direi che è un ottimo risultato. Piesse: oggi sono un Sorcino.
Il resto della notte lo passo a ballare, declinare assalti maschili qui e lì (sempre tutto molto civile; molto più civile dell’approccio medio uomo-donna in qualsiasi locale) e a tossire come una capra asmatica. Tanto che, alle quattro di notte, getto la spugna. E mi porto negli occhi una serata movimentata, degli spettacoli di alto livello e di basso livello, un’umanità varia ed eccitata. Insomma: tutto ciò che è il mondo là fuori. Fuori dalle mura di un locale nel quale, se ci entri, accetti tutto ciò che dentro ci puoi vedere.
Il bello è che il trucco dal viso delle drag andrà via con un po’ di acqua micellare (un bel po’, in questo caso) e le canotte sbracciatissime verranno riposte negli armadi nell’attesa del prossimo venerdì. E soprattutto, per citare la terza volta in questo glorioso pezzo il mio Marilyn Manson: We’re all stars now in the dope show!
Tanti auguri Mucca, grazie della serata controversa e divertentissima.