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Douglas Dare, musica buona per chiese e club

È quella di uno che ha fatto un album pieno di ansie orwelliane. Intanto piange la chiusura del Fabric, ma è felice perché nasceranno, dice, nuove energie in città
Douglas Dare - Crediti: Özge Cöne

Douglas Dare - Crediti: Özge Cöne

È cresciuto alle porte di Londra, senza computer né tecnologia, e anche ora che è andato a vivere nella City, preferisce tutto quello che è reale, sia in termini di strumenti sia in termini di vita vissuta. A sentire il suo nuovo album Aforger, però, non si direbbe, infarcito com’è di riverberi, echi e atmosfere sognanti. Douglas Dare è uno dei nomi della Erased Tapes Records, già casa di Nils Frahm, che con lui condivide l’uso combinato degli strumenti acustici e dell’elettronica. «Si potrebbe pensare che, venendo da un luogo in cui non c’era tecnologia, sarei dovuto andare dalla parte opposta», dice Douglas. «Invece parto sempre da suoni reali per poi inserire altri elementi, synth, drum machine. Cerco sempre di mantenere un equilibrio, soprattutto questa volta che il tema del disco è la realtà».

Chiariamo subito che Douglas Dare è quasi un poeta, dice di scrivere prima i testi delle sue canzoni, trasformando le emozioni in parole e poi in musica. «Ho letto Orwell. Mi sono concentrato sulla realtà, mi sono posto delle domande, big questions, riguardo cosa è vero e cosa no in questo mondo. Non ho mai visto il mondo da fuori, mi hanno solo raccontato com’è». È molto profondo, Douglas. «Molto. È il focus dell’album, nasce da quello che mi è capitato nella vita». Ovviamente, condividiamo una passione per Black Mirror. Rispetto ai primi lavori, Dare è cambiato, ha aggiunto una vena disturbante, rendendo la sua musica ancora più dark sia esteticamente che a livello di suoni. «Mi piace che la mia musica si possa ascoltare sia nei club che in luoghi come teatri, cinema e chiese. Sarebbe fantastico se potessi dividermi tra questi due mondi».

E a proposito di club, l’intervista cade esattamente nel giorno in cui ci risvegliamo senza Fabric (probabilmente il più famoso locale di Londra, a cui sono state revocate le licenze dopo una vicenda legata a due morti per droga, ndr) e Dare definisce questo passo come l’ultimo dei tanti verso il punto più basso della spinta culturale della città. «Penso che la chiusura del Fabric sia un peccato. Assieme a quello ci metto i club chiusi, i locali queer abbandonati… Ma voglio vedere il lato positivo: quando luoghi come questi spariscono, possono nascere nuove cose dall’underground. La gente è portata a trarre energia dalle ceneri».

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