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Musicians on Musicians: Brittany Howard & Margo Price

Fuorilegge di Nashville a confronto: come infrangere le regole dell’industria discografica, cambiare un pezzo di mondo con la musica, ballare senza freni sui tavoli dei ristoranti

Una sera Margo Price ha ballato sul tavolo di un ristorante. Brittany Howard può provarlo: ha le foto. «Io e Margo ci conosciamo da un pezzo». Si riferisce al periodo in cui si è trasferita a Nashville, nel 2011. All’epoca Price cantava in una bar band locale piuttosto popolare chiamata Buffalo Clover e lei stava lavorando al primo album degli Alabama Shakes, Boys & Girls. «Si faceva la notte assieme, si andava per concerti, si beveva, si parlava dei nostri sogni», ricorda Howard.

Grazie a Boys & Girls, gli Alabama Shakes sono diventati uno dei gruppi rock più importanti del decennio. «L’ho vista esplodere sotto ai miei occhi», dice Price dell’amica. «Un giorno lavorava all’ufficio postale e il giorno dopo aveva fatto boom. Faceva la bella vita con Paul McCartney e quando tornava a casa si andava assieme al karaoke». Anche Margo Price è diventata famosa grazie al debutto da fuorilegge del country Midwest Farmer’s Daughter, ma le due non si sono mai perse di vista.

Una cosa le accumuna: sono dotate di una creatività inarrestabile. Dopo aver lavorato ad alcuni side project sperimentali, Howard ha pubblicato il disco solista Jaime dove funk psichedelico a base di synth si mescola con i loop tipici dell’hip hop e testi che parlano di sessualità e tragedie famigliari. Price ha pubblicato da poco That’s How Rumors Get Started dove al posto dei violini e della pedal steel ci sono chitarre rock e le tastiere di Benmont Tench degli Heartbreakers. «Vedo quel che fa Margo e penso: siamo sorelle. È come me, va controcorrente».

Howard: Se c’è una cosa che ho imparato da te è la perseveranza. Ti conosco da prima del successo e ci sono stati momenti in cui magari hai dubitato di farcela, ma non hai mai mollato. Mi rende orgogliosa anche solo conoscere la tua storia. Sai essere dolce e stronza. Ti rispetto per questo.

Price: Così mi fai piangere… Pensando ai vecchi tempi, di tutti i gruppi in cui sei stata, Thunderbitch, Bermuda Triangle, Alabama Shakes, qual è il tuo preferito?

Howard: Sono tutti diversi. Ma se dovessi scegliere direi Thunderbitch. Mi ha fatto diventare forte. Far parte di quel gruppo mi ha fatto sentire alta tipo nove metri.

Price: Eri pazzesca ai quei concerti, facevi cose come salire sul palco con la moto. Ricordo di averti vista una sera nel parcheggio con il viso pittato, non ti ho neanche riconosciuta.

Howard: Faceva tanto Meat Loaf.

Price: E la band che hai adesso è una bomba. Sembra quasi di sentire il disco, i cori e tutto. Jaime doveva essere l’Album dell’anno per me.

Howard: La cosa strana dei Grammy è che Jamie è ancora in lizza nella categoria Album dell’anno. Votatelo! Tonando al tuo, di disco, che cosa ti piacerebbe che la gente sentisse nelle storie che racconti?

Price: Spero che il disco aiuti la gente a distrarsi per un attimo da quel che accade nel mondo, o che aiuti le persone a pensare a quel che sta succedendo. Parlo della mancanza di assistenza sanitaria e di tutte le cose che vanno sistemate. Non ho risposte, non è un disco politico. Spero che la gente impari a essere più tollerante.

Howard: Siamo disconnessi l’uno con l’altro e arriviamo a pensare «quello potrei essere io, però io i soldi ce li ho». È strano che si possa pensare di essere un buon cristiano o una brava persona e fregarsene di quegli stessi valori quando a che fare col prossimo. È pazzesco.

Price: Ti ho vista alla manifestazione Teens for Equality [a Nashville, contro la brutalità della polizia]. Quello che sta accadendo a Nashville dà una bella carica. Ci sono un sacco di cose da cambiare e vorrei che tornasse la solidarietà che ho visto dopo il tornado [all’inizio del 2020]. Mi preoccupa il destino del 5 Spot e dei piccoli locali dove suonavamo all’inizio. Non so nemmeno come facciano a sopravvivere musicisti e autori oggi. Ci sono i locali sulla Broadway, ma lì non ti fanno fare pezzi originali.

Howard: La musica country di Nashville è un club per soli uomini e per avere successo devi entrarci a far parte. L’hai visto anche tu, no?

Price: Non mi sono mai sentita parte dell’establishment del country. Ok, mi hanno invitata a un paio di premi e di festival, ma immagino che non mi chiamino tanto spesso a causa di quel che dico.

Howard: Intendi sulla politica o sull’industria della musica?

Price: Entrambe le cose, immagino. Tipo il controllo sulle armi da fuoco: ai Country Music Awards non hanno proprio preso in considerazione il massacro che era avvenuto a Las Vegas [al festival Route 91]. Nessuno si permette di dire alcunché sulla National Rifle Association. Che se ne vadano affanculo loro e le loro regole. Non m’interessa scrivere canzoni con quella gente.

Howard: Questa è Margo Price, una fedele alle sue idee. È come dice di essere. E così.

Nessuna di voi due si tira indietro quando si tratta di parlare di politica o giustizia sociale.

Howard: Prendo l’argomento molto seriamente anche perché mi riguarda di persona essendo io una donna gay di colore. Voglio sentirmi al sicuro nel mio Paese. E penso che le cose cambieranno perché al mondo ci sono più persone perbene che egoisti.

Price: Quanto a lungo hai portato Jaime in tour?

Howard: Neanche un anno, da agosto a marzo. Stavo ricominciando a divertirmi. Faccio tournée dal 2012. Con gli Alabama Shakes suonavamo le stesse canzoni di continuo. Stava diventando poco divertente. E quindi ero un po’ in apprensione, ma dovevo solo dare del mio meglio. E quando non mi sentivo al massimo chiedevo aiuto a qualcuno del gruppo. All’inizio non ero certa che sarebbe stato un buon tour. Ma lo è stato, più che buono.

Price: Io non uso tanto il mio falsetto, ma amo la fluidità del tuo.

Howard: Non puoi sbagliare finché usi la voce che hai. Amo cantanti come Karen Dalton perché la loro voce è l’espressione autentica di quel che sono. Sono quelli i miti, gente come David Bowie e Prince. Quelli che fanno quel che vogliono anche se la gente li considera strambi.

Price: Hai mai preso lezioni di canto?

Howard: Sono autodidatta, anche solo perché all’inizio non avevo soldi per prendere lezioni. La mia insegnante è stata la curiosità.

Price: Che cos’è che ti fa incazzare di più dell’industria discografica?

Howard: Lo streaming. Ci sono sempre meno possibilità di guadagnare dal nostro lavoro. Lasciamo le nostre famiglie, andiamo in tour, guadagniamo quel che ci basta per sopravvivere. Lo streaming è figo ed economico, ma funziona per i musicisti? C’è di meglio.

Price: Mi piace che tu abbia tirato fuori l’argomento. A me fanno incazzare i generi, il fatto che l’etichetta che ti mettono ti resta appicciata per sempre. Tu come descriveresti il tuo sound?

Howard: Ogni volta che prendo un Uber e l’autista chiede che musica faccio, rispondo: la mia musica.

Price: È esattamente quel che ho voluto fare col mio ultimo disco, non mi andava più di usare solo strumenti tipici del country. Immagino che quando hai mollato la band qualcuno abbia messo in dubbio la tua scelta.

Howard: Io per prima l’ho messa in dubbio. Mi piaceva avere qualcuno con cui scambiarsi idee musicali, mi piaceva far parte di una squadra. Mi sono chiesta: ho la sicurezza per fare queste cose da sola? Perché ce ne vuole, eccome.

Price: Sai quando nascono le cose veramente belle? Quando esci dalla tua comfort zone.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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