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M¥SS KETA: «Mi criticano le mutande, i vestiti, il peso, la voce, i feat. E quando non lo fanno mi preoccupo»

A dieci anni dal suo esordio abbiamo fatto il punto con l'angelo dall'occhiale da sera: il trash come materiale da tormentone, la musica da 'Milano Sushi & Coca' al nuovo singolo 'Profumo', l'ospitata di Ambra («una Super Sayian»). «Non ho ucciso la M¥SS perché ho saputo farla evolvere»

Foto: Chiara Gambuto x Rolling Stone Italia

A volte la M¥SS parla in prima persona. Spesso in terza. Altre volte usa il plurale, il “noi”, un po’ perché dietro a M¥SS KETA c’è un collettivo di persone, ma anche un po’ perché M¥SS KETA è tutte (ma anche tutti) noi. Mentre risponde alle domande abusa della formula “ti dirò la verità”, declinata fino all’assoluto “ti dirò la verità più sincera”, come se tutto quello che non rientrasse in quella parentesi fosse finto, fake, botoxato. Ma in fondo cosa aspettarsi da una diva se non quest’idea di lasciarci sempre di fronte a una rivelazione unica e intima?

Ai suoi esordi in pochi, tanto meno lei/loro (la M¥SS è tutti i pronomi), avrebbero scommesso su quello che all’inizio sembrava poco più di una boutade tra il kitsch e l’avant-garde, un gioco di ruolo ironico sulla Milano da sushi & coca degli anni ’10. E invece da quel primo e virale singolo sono arrivati EP, featuring, dischi e un clamoroso tormentone estivo.

Per i dieci anni di Milano Sushi & Coca, la M¥SS ha così festeggiato tirando su un bel live all’Alcatraz di Milano con un po’ di ospiti e oggi, a pochi giorni di distanza, cerca di bissare il successo della scorsa estate con il nuovo singolo Profumo, sostituendo nella formula vincente Edoardo Vianello con Little Tony. L’obiettivo? «Continuare a giocare con il pop italiano».

Partiamo dal concerto della scorsa settimana a Milano dove hai festeggiato i dieci anni di Milano Sushi & Coca. Come è andata?
È stato travolgente, ne porto ancora i segni sul corpo e nello spirito. Una festa gigantesca.

La nostra fotografa che è venuta a scattare durante il tuo live mi ha scritto: “Spero di aver fotografato tutto perché è successo di tutto”.
Son felice di aver preparato un live capace di spingersi più in là dei precedenti. Volevamo portare sul palco uno spettacolo non solo musicale ma anche teatrale, uno show tridimensionale con una narrazione criptica come quella di M¥SS KETA. E poi c’erano tanti amici. Sai, il trucco è sempre scegliere con chi collaborare e realizzare i propri desideri.

Foto: Chiara Gambuto per Rolling Stone Italia

Molti amici e un’ospite a sorpresa: Ambra Angiolini.
C’erano persone con cui mi sento a mio agio e che conosco, come BigMama, Cmqmartina, David Blank, Il Pagante, e altre, come Ambra, che desideravo.

Raccontaci come è nata l’idea di fare T’appartengo assieme.
Un paio di mesi fa abbiamo preparato questo remix di T’appartengo e c’era venuta l’idea di portarlo all’Alcatraz, dove, non avendo l’urgenza di far sentire le canzoni dell’album, potevamo permetterci di focalizzarci sui brani da ballo. Ho quindi pensato “Se non la invito, me ne pento per tutta la vita”. E le ho scritto un DM come un fan girl.

E lei?
Mi ha risposto entusiasta, mi ha colto in contropiede. Quel giorno, nonostante avesse una giornata di fuego, è riuscita a venire. È stata una gioia.

Ambra inoltre non fa molte ospitate canore. Ha avuto un significato speciale questo sì?
Il fatto che ci fosse nonostante le difficoltà è stato potente. Sul palco lei è una bella furia. Son contenta che si sia fidata, e credo si sia divertita come tutti noi. Ti dirò la verità: io mi emoziono poche volte perché sono una donna fredda e misteriosa, ma averla con noi mi ha toccato. Prima del live ero nel backstage a ripassare le strofe perché non volevo cannarle di fronte a lei.

È un attimo sbagliare con tutti quei versi simili ma differenti.
Sì, le strofe hanno la stessa costruzione ma differiscono tra un “adesso giura” qui, “adesso giura” là. Il segreto comunque è sempre lo stesso: studiare. Ma comunque avere Ambra vicino non ti fa sbagliare.

Ha un’aura superiore.
Una Super Saiyan.

Quando hai iniziato il progetto M¥SS KETA avresti immaginato di arrivare a festeggiare i dieci anni?
No, assolutamente. Milano Sushi & Coca è nata come esigenza espressiva. L’abbiamo buttata fuori con canzone e video, ma senza un pensiero a lungo raggio. Ci ha sorpreso come ai tempi diventò virale in così poco tempo. Da lì in poi è stata tutta una sorpresa. Abbiamo iniziato ad avere delle prospettive a medio-lungo termine solo dopo aver messo radici più solide. E quelle le abbiamo costruite andando a suonare in giro per l’Italia. Così è arrivata la raccolta L’angelo dall’occhiale da sera e poi l’album Una vita in capslock. È tutto iniziato come sfogo.

E in dieci anni non hai mai pensato o non ti è mai voluta voglia di uccidere questo personaggio?
Sarebbe successo se non mi fossi concessa di approfondire M¥SS. O di evolverla. La M¥SS di Milano Sushi & Coca ha un linguaggio provocatorio, diretto, e un modo di cantare che ricorda una filastrocca cantilenata. Ora invece mi permetto di fare ogni sperimentazione possibile. Ho cantato, rappato, fatto cose più o meno melodiche. Mi concedo di cambiare, di provare nuovi modi e anche nuovi temi. Sia a livello musicale che canoro e testuale. Se inizi a pensare cosa la gente si aspetta da te, cadi in una trappola. Devi pensare a cosa è giusto per te.

Parlando di aspettative, lo scorso anno hai fatto il tuo primo vero tormentone estivo, Finimondo. Ora torni con Profumo, un altro brano che recupera dal passato. Nella M¥SS convivono il futuro fluido e il passato della cultura pop italiana. Come equilibri avanguardia e nostalgia trash?
In questi anni ho sperimentato tantissimi generi, a volte anche solo touch & go. Finimondo è nata per caso. Volevamo far convivere un brano storico del nostro passato con una produzione moderna come quelle di Greg Willen. Volevamo un sound degli anni ’60 che parlasse oggi; un clash tra il passato e il contemporaneo. Volevo sguazzare in questo campo e l’ho ripetuto anche in Profumo. C’è sempre una volontà di giocare con il linguaggio pop della musica italiana.

E che ispirazioni ci sono per questo nuovo possibile tormentone?
Pino D’Angiò, i film della Wertmüller, la vacanza italiana fatta in riviera tra gli ombrelloni. Il cliché della vacanza e di Love Boat (qui citata nel campionamento di Little Tony, nda). Sono tutti linguaggi pop super-italiani. Per me Profumo è la conseguente prosecuzione di Carpaccio ghiacciato, il mio EP del 2017 dal suono lounge in cui volevamo prendere spunto e ironizzare su quest’idea del Mediterraneo chic.

Questi due singoli sono anche un passaggio dalla M¥SS della notte a quella di giorno. Mi sembra che ti sia stancata di limitare KETA alla fascia protetta dopo mezzanotte.
M¥SS è la regina della notte, ma di giorno la puoi trovare a bere il tè delle cinque – il Bloody Mary – con le sciure alla Pasticceria Sissi. Capito? Mi gasa esplorare questi lati della M¥SS. Profumo te l’ascolti andando verso la spiaggia dopo che sei stata tutta la notte in Club Topperia, quando provi a riprenderti un po’ con il prosecchino della mattina.

Dieci anni sono un bel traguardo per tirare alcune somme. Ti dico quelle che ho in mente e tu mi dici se ti tornano. Per prima cosa, penso che l’uscita della M¥SS nel 2013 – a pensarci, il 2013 sembra un altro mondo, un’altra società – abbia portato nel panorama italiano una rappresentazione differente, e ampia, della donna.
Concordo, e sono contenta che sia riconosciuto. M¥SS è sempre stata unapologetic, ha offerto qualcosa di differente rispetto a quello che veniva normalmente dato, senza scusarsi. M¥SS è un esempio di donna atipica, slegata dal racconto tradizionale che è stato affidato alla donna nel passato, e che purtroppo a volte ancora oggi. È slegata dal racconto patriarcale. M¥SS segue l’istinto in una ricerca quasi edonistica verso ciò che le fa star bene. Quando mi chiedono “Perché stai cercando di fare questa cosa?”, l’unica mia risposta è “Per il mio piacere di provare a farlo, per il piacere di buttarmi e di divertirmi”.

Un’altra – chi ti ama sarà d’accordo, chi ti odia te ne darà una colpa – è che M¥SS ha rivalutato il trash all’italiana in un’ottica postmoderna.
Vero, e per me fondamentale. La cultura visiva trash italiana è oro colato per me. Tutti quelli che lavorano per M¥SS sono amanti di quell’universo. La nostra è una ricerca continua dell’immaginario visivo che non considera alto e basso. Sai che altro possiamo dire di questi dieci anni di M¥SS?

Foto: Chiara Gambuto x Rolling Stone Italia

Dimmi.
Che sono cresciuta molto come performer nei live. Questa per me è una medaglia che nessuno potrà togliermi. La parte live di M¥SS è fondamentale, e fondante. È toccare una parte di più, conoscere qualcosa di nuovo, proprio come nell’ultimo live. Ma lasciamo ai posteri l’ardua sentenza di dire cosa M¥SS ha lasciato in questi dieci anni.

Mi è venuta in mente un’altra cosa. In M¥SS KETA convive un’inclusività larga, non solo limitata alle donne, alla comunità LGBTQIA+, alle ragazze di Porta Venezia. Nei tuoi lavori sono presenti anche differenti uomini che non appaiono come figure che servono a legittimare la M¥SS in quanto artista (come spesso accade in Italia alle donne), ma che rientrano in un racconto plurale. A volte sono anche persone che potrebbero stonare rispetto al racconto femminista di KETA. Penso ai feat con i vari rapper come Guè e Luchè, ad esempio.

Il terreno di gioco di M¥SS è anche quello dell’incontro/scontro, e a volte ho usato dei featuring per muovermi in questo campo. Ho avuto collaborazioni con persone sensibilmente vicine a me, certo, ma anche lontane come Guè o Luchè. Tutte queste collaborazioni mi hanno arricchito, e ne vado orgogliosa. Da ogni incontro può nascere qualcosa e puoi imparare. Se ti incontri con una persona esterna alla tua cerchia, e di fronte ti trovi una persona intelligente, puoi arricchirti, imparare, dare qualcosa indietro. A me piace uscire dalla mia cerchia, se no non farei questo lavoro.

E così che in un album come Club Topperia possono convivere Silvia Calderoni e Guè?
La M¥SS è la M¥SS perché si può sfogare nel modo in cui vuole. Credo di essere naturalmente portata ad avere in me contraddizioni e spinte estreme che spesso vanno in senso opposto. Per questo in Club Topperia posso avere Silvia Calderoni e Guè. Queste spinte che possono sembrare opposte – e forse lo sono – M¥SS può farle convivere. Non mi sentirei me stessa se non potessi esplorarle. M¥SS è un personaggio sfaccettato, senza freni, che ha tanto da dire in tanti aree e tanti campi, musicali e non. C’è una febbre di esplorare campi anche opposti. C’è una volontà di non farsi imbrigliare e di non farsi mettere in gabbia.

E hai subìto critiche per questo, per aver collaborato con persone distanti dalla narrazione e dal pensiero femminista?
Ho avuto critiche su tutto: sulle mutande, sui vestiti, sulla voce, sul peso. E certamente anche su questo. Io sono contenta se mi criticano, significa che c’è attenzione su di me. Il vero problema è quando non mi criticano, significa che sto prendendo una direzione non troppo provocatoria. Io ho questa regola: sono io con le mie leggi interiori a decidere con chi M¥SS può o non può fare featuring. Non lo faccio decidere da altri.

Con il successo di Finimondo hai allargato il tuo bacino di ascoltatori. Come è stato incontrare il pubblico generalista solo ora dopo dieci anni?
Da certi punti di vista è stato come tornare emergente. Finimondo mi ha aperto a un pubblico nuovo, e con loro è stato come ripresentarsi da capo. Quindi sono tornata a rispondere a quelle domande tipo “Perché indossi la maschera?”, “Perché fai questo?, “Perché fai quello?”. Ma ora ho spalle forti e sono preparata. Quindi è stato più divertente che altro. Per me avere un pubblico più grande è solo un pro.

Dopo dieci anni, hai qualche rimpianto?
Onestamente? No.

Immaginavo.
Vuoi la verità più sincera? Per me è stato tutto un regalo. In questo lavoro per sopravvivere bisogna seguire il proprio istinto, la pancia, il cuore. E io voglio continuare a fare questa cosa qua, è il mio obiettivo. Voglio muovermi in questo modo anche nella vita di tutti i giorni. Così non si hanno rimpianti.

Ci risentiamo tra dieci anni allora.
Volentieri.

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