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Myss Keta non indietreggia di un solo passo

La signora oscura della Milano da bere non teme la censura. E al finto moralismo risponde con una spolverata di "Paprika"

Al quattordicesimo piano del palazzo che ospita la redazione di Rolling Stone, Myss Keta s’illumina guardando la sua città dall’alto. «Che bella la Torre Velasca, raga» dice la signora oscura della Milano da bere, probabilmente abituata a vedere sempre di notte l’edificio simbolo della rinascita economica dopo la guerra.

Keta come sempre ti parla dietro a un velo scuro e alle lenti nere di due grossi occhiali da sole, intonati ovviamente al rosso acceso del suo vestitino gessato. Ma non è una maschera, semmai la divisa di un personaggio che come pochi altri in Italia racconta in modo grottesco ed esplicito una città, dai suoi eccessi ai cliché quasi cinepanettoneschi. E che nel farlo non intende indietreggiare di un solo passo: chi ha problemi con Keta, parafrasando la filosofia dell’Angelo dall’occhiale da sera, cazzi suoi. 

Dentro al nuovo PAPRIKA tutto scritto in caps lock (cit. dall’album precedente) ci trovi questo e ci trovi anche in maniera sparsa un po’ tutto il Gran Consiglio della trap italiana, da Gué Pequeno a Wayne della DPG, un mondo che piano piano ha scoperto essere molto vicino al suo. Il tour nel frattempo è già iniziato, questo però non le ha impedito di passare da noi a godersi la vista di una rara mattina senza smog.

Ti sei illuminata quando hai visto la torre Velasca.
Amo la Torre Velasca. Ci ho fatto degli after molto intriganti, ai piani alti. Come sempre, i palazzi di potere sono anche quelli che ospitano le feste più pazze. Si sa.

Miri ad avere anche tu il tuo loft ai piani alti?
Miro un giorno a possedere la stessa altezza morale della Torre Velasca. A questo miro.

Ho visto che hai definito il sindaco di Milano, Beppe Sala, “il mago della rima”. Potresti chiedere aiuto a lui.
È davvero il mago della rima, mi aiuta tanto con i testi. Lo contatto sempre quando devo fare una revisione dei testi. Comunque a parte gli scherzi, lui come tutte le persone intelligenti si presta anche a scherzi e battute autoironiche.

La tua Design Week invece com’è andata?
Molto bene, sono un’installazione della Design Week e giro Milano per accontentare un po’ tutti. Da Lambrate a Porta Genova.

Il lusso e la mondanità sono argomenti molto vicini a Myss Keta. Ma c’è un pochino di critica velata oppure ci sei dentro con entrambi i tacchi?
Io ho il volto velato, quindi anche la mia critica. Tutti i testi di Myss Keta hanno vari livelli di lettura. Ovvio che quando hai una chiave grottesca e satirica per descrivere il reale, stai in realtà dicendo anche qualcos’altro. Diciamo che ci sono dentro con un tacco. L’altro balla.

Questa chiave grottesca è comprensibile a tutti oppure qualcuno fraintende?
Non è questione di comprensione. Tu ogni volta che fai una canzone, un’opera d’arte, un libro consegni la tua creazione al mondo. Ed è giusto che uno lo possa comprendere oppure no. Io odio quando devi leggere la didascalia prima ancora di osservare l’opera. Lascio che ognuno mi comprenda come meglio crede, che mi ami o mi odi. Fa parte del gioco.

Vero, e uno dei motivi per cui la tua musica viene apprezzata è proprio l’assenza di filtri. Non pensi però a come potrebbe cambiare questa cosa un domani in cui sarai molto più famosa? Mi viene in mente l’esempio di Sfera Ebbasta e il moralismo sui suoi testi.
I fraintendimenti sono all’ordine del giorno quando fai qualcosa di provocatorio, satirico, ironico. Però non capisco perché ultimamente c’è questa cosa dell’autocensura dettata dal moralismo spinto. A scuola, al Liceo, studiamo Baudelaire, i poeti maledetti, studiamo persone che hanno dedicato la loro vita all’uso delle droghe e alla descrizione del loro effetto. È ovvio che i cantanti e i rapper parlino di ciò che vedono e vivono. Io come loro descrivo un mondo in essere, le cose che vedo da vicino. Vivendo a Milano è abbastanza logico parlare della scena notturna e di chi la abita. Che piaccia o meno, è una cosa che fa parte della realtà, quindi ne parlo. Esattamente come fanno i rapper. Se dovessimo censurare tutti quelli che hanno parlato di droghe, cosa rimarrebbe nei programmi scolastici? È buffo che nel 2019 sia tornato questo moralismo.

Eh, il moralismo purtroppo ritorna sempre a braccetto con altre cose non belle, come xenofobia e fascismi vari.
Tutte polemiche sterili, è tutto molto sterile. Io non faccio passi indietro e neanche nel mondo si dovrebbero fare passi indietro su diritti civili, conquiste, libertà di parola. Sono tutte cose che fanno parte dell’essere umano: se privi un essere umano di queste cose, allora non è più tale. Sono discorsi che uno non dovrebbe neanche fare.

Lo so, ma purtroppo li stiamo facendo. Ancora.
Purtroppo fa parte della realtà. Però prendi Verona: i numeri della contro-manifestazione hanno completamente oscurato il Congresso delle famiglie. Questo mi dà fiducia e sono orgogliosa che sia successo tutto questo in Italia. Stiamo andando avanti su molte cose, e spero un giorno di poter lasciare nel loro angolino queste persone che ogni giorno minano alla libertà.

Da qualche parte nel disco dici “Io non rappo”, però il disco è costellato di rapper. Hai trovato genere musicale molto affine.
Sì, non so come dirti, non rappo, non canto. Myss non è una rapper nel senso classico del termine. Sai, freestyle, ecc. Ho il mio modo di cantare, di rappare, che è diventato mio. In questo album ho iniziato anche a canticchiare qualcosa, qualche parte melodica. Sto facendo il mio percorso, è ovvio che la forma è parlata più come il rap. Mi ritengo una rapper sui generis, ecco. E poi, anche per argomenti, sono più affine all’hip hop che al resto della musica leggera attuale, che sia indie o itpop. Sono più a mio agio in una scena urban – madonna, che parola strana.

Più a tuo agio con Luchè che con Calcutta.
Calcutta è il mio futuro ex marito. Lo considero un genio. Comunque sono nata nell’underground milanese, nel clubbing estremo: quella matrice lì non me la tolgo. Mi trovo meglio in un mondo crudo, notturno. È vero, certe volte sbircio fuori dalla mia finestra di giorno come in 100 Rose (ft. Quentin40). Diciamo che non mi piace stare troppo nella comfort zone.

Meglio Wayne della Dark Polo Gang. Come l’hai conosciuto?
Wayne l’ho conosciuto prima in un sogno e poi nella realtà. Scherzi a parte, l’ho conosciuto qui a Milano a un concerto natalizio nel 2015, credo. Era un concerto di beneficienza, mettiamola così. Gli voglio molto bene, è una persona splendida che mi ha fatto sentire subito a mio agio.



Comunque, tra tutti i bad boys nel tuo disco, chi fa più brutto di tutti è una bad girl: Elenoire.
Bravo! È interessante che tu l’abbia detto perché ho capito una cosa ultimamente: ho fatto entrare nel mondo myssketiano un botto di rapper. E ognuno di loro ha dovuto prendere un po’ le misure in un mondo diverso dal suo, pensando a strofe apposta per Myss, si sono un po’ calati nella parte. Se c’è qualcuno che invece ha fatto tutto di testa sua, dritta e primo take è proprio Elenoire. È una super donna, mega ironica e divertente. Ci siamo divertite molto quel pomeriggio in cui abbiamo registrato l’intro del disco. È stata l’occasione perfetta per vederci dal vivo dopo esserci conosciute sui social. Magia pura.

Quanti pezzi hai escluso dall’album?
Molti, anche perché ci sono sempre cose che alla fine non vedono la mai la luce. Sarebbe bello comunque raccogliere tutti i beat e gli scarti dal 2013 a oggi e fare uscire tutto, magari un album di demo.

Io mi ricordo che al momento dell’uscita di Milano Sushi e Coca ne parlavano tutti. Poi di botto è sparito tutto e per un po’ sembrava che fossi scomparsa. Che era successo?
Eh, è successo che quando ti metti contro i poteri forti ti puoi fare dei nemici. Mettiamola così: ci sono stati dei problemi poi agevolmente risolti. È ovvio che un personaggio come me abbia a volte dei nemici, ma per certe cose c’è sempre il tribunale. Vorrei una Keta-Lounge come Italo però in tribunale, così posso arrivare in aula bella rilassata, magari dopo un bel bagno nella Jacuzzi. Ma ci stanno mettendo troppo, sai come sono i tempi burocratici, no?

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