Direi che siamo d’accordo: il migliore sul palco dell’ultima edizione di X Factor era N.A.I.P. Gusti a parte, è evidente che ci siamo trovati di fronte a qualcosa che prima non avevamo mai e poi mai visto e ascoltato da quelle parti né, tantomeno, avevamo visto raggiungere dritto dritto la finale. N.A.I.P. è l’acronimo di Nessun Artista In Particolare, il suo vero nome è Michelangelo Mercuri, classe 1991, nato e vissuto a Lamezia Terme fino a un anno fa quando si è trasferito a Bologna. A X Factor ha portato una bizzarra forma di teatro canzone fatta di derivazioni hard rock, canzone d’autore, rap, e spoken word schizzato da Jannacci cattivo. Lo raggiungo telefonicamente il giorno dopo la finale in cui, come da prassi, il migliore, cioè lui, è arrivato ultimo ma, questa volta, tra i primi mentre in queste ore è uscito il suo primo EP.
Mi sa che è la prima intervista vera che fai su questa cosa che hai combinato negli ultimi mesi…
Confermo. All’inizio mi mandavano le mail con le prime domande e rispondevo sempre e solo “no”, mi facevano anche delle belle domande sulle mie influenze, sulla mia musica ma io avevo un po’ questa sorta di rifiuto a parlare e rispondevo solo “no no no” a qualsiasi cosa. Forse sono stato persino incredulo e sospettoso davanti a tutto questo interesse nei miei confronti arrivato a un certo punto.
Ora che è finita ti tocca ragionare un po’ sul fatto di essere stato forse capito da qualcuno, hai raccolto un gran numero di estimatori, persino il tuo Instagram sta esplodendo e siamo in un mondo in cui quelli bravi sono più abituati a perdere che a vincere.
Adesso che è finita quest’esperienza non ho ancora realizzato bene, non ho avuto nemmeno la possibilità di capire in che situazione esistenziale io mi stia trovando in queste ore, i postumi sono un argomento che non ho ancora iniziato ad affrontare, lo sto facendo ora qui con te. Io sto molto bene, e certamente è andata molto meglio di quanto mi aspettassi, sono uno di quelli che portava la bandiera dei non capiti. A un certo punto ho persino avuto paura, ho temuto di essere troppo capito e mi stavo anche un po’ sul cazzo per questo, sai? Però metto in conto che ora perderò un po’ di follower, come si dice, adesso che lo spettacolo mediatico è finito.
Ho sempre pensato che la super produzione di X Factor, fatta non solo di un gran lavoro settimanale sui singoli brani dei concorrenti ma specialmente su scenografia, luci, coreografie, impianto performativo insomma, potesse essere persino controproducente per qualcuno che andava lì sopra da vero musicista, qualcuno come te, diciamo. Nel tuo caso poi c’è anche tutta una dimensione teatrale inclusa, qualcosa che ti ha caratterizzato fin da subito. Insomma: ora si riuscirà ad ascoltarti senza vederti?
Lo so, questa è una questione e anche per questo credo che non tutti quelli che si sono appassionati a quello che stavo facendo lì dentro avranno la scorza di seguirmi (ride). Io sono interessato soprattutto alla musica, voglio tornare a suonare dal vivo come ho fatto negli anni passati (nel 2019 prima della pandemia ho fatto una quarantina di date in Italia) perché credo che quella sia una mia dimensione importante ma anche spogliarmi un po’ di tutto l’abito teatrale e lavorare soprattutto sulla musica perché è quello che voglio che esca da me, prima di tutto. E ti dico anche che non vedo l’ora.
Oggi è uscito il tuo primo EP, Nessun Album In Particolare, con bellissima copertina di Pasquale De Sensi, oltretutto.
L’EP è nato nel marzo del 2019, era un po’ diverso e ora è cambiato per questa riedizione post X Factor, ci sono brani che ho presentato in trasmissione come Partecipo, Oh Oh Oh e naturalmente Attenti al Loop ma pure tre inediti che sono fondamentali per me anche perché li sento in parte in grado di traghettarmi verso il prossimo lavoro dove appunto la mia dimensione più teatrale vorrei lasciasse spazio solo alla musica.
In quello che fai c’è del rap, del metal, dell’hard rock, della canzone d’autore post Gaber, elettronica. Ma tu da dove vieni?
Vengo dai Nirvana e i Linkin Park di mia sorella, da un paio di compilation senza titolo che mi ha passato mio fratello in cui c’era roba di hardcore elettronica (cose da rave), vengo da mio padre che ascolta Celentano e mia madre che mi fa sentire Morandi. Ho fatto cover dei Korn e suonato per mesi un tributo agli Afterhours, fino ai Dissidio, la mia band per diversi anni. Pensa che mi sono fatto regalare una chitarra dai miei compagni di classe al mio sedicesimo compleanno, in pratica li ho un po’ obbligati a fare una colletta, ho detto loro che se ci avessero messo dieci o venti euro a testa sarebbe stato perfetto e me la sarei comprata, il giorno della festa in cui mi ero organizzato una specie di caccia al tesoro da solo per trovare questo regalo che mi ero acquistato da solo sono caduto dalla bici e mi sono rotto un braccio. La mia vita di musicista è iniziata così, con il destro rotto senza poter suonare.
Un inizio obliquo per musica obliqua, i Dissidio a me sono sembrati un N.A.I.P. con un po’ più di chitarrone, meno elettronica e una band alle spalle.
Con i Dissidio abbiamo suonato tanto, tanti anni, pensa che loro sono stati anche il motivo per cui alla fine ho lasciato Lamezia solo un anno fa, alla fine tanti se ne vanno per fare l’università, io sono rimasto in Calabria principalmente per la band. Nessun Album in Particolare è stato tutto scritto e realizzato da me in una stanzetta di Lamezia Terme, casa mia insomma.
In quello che fai la teatralità non è solo mimica ma pure vocale, per certi giochi che fai tra oscurità del suono e cantato un po’ ridarello (come direbbe Pasolini) e dal suono un po’ inviperito, diabolico, mi hai ricordato due nomi italiani: il Faust’O di Suicidio e Poco Zucchero e Iosonouncane, soprattutto quello del primo lavoro di dieci anni fa, La Macarena su Roma. Oltretutto quando ho visto che avevi portato un pezzo intitolato Oh Oh Oh ho pensato per un attimo che fosse una cover del famoso pezzo di Faust’O, appunto…
Faust’O me l’ha fatto conoscere mia sorella, ancora una volta (mia sorella ne sa) mentre Iosonouncane è in effetti il mio preferito in Italia, ora ti confesso questa cosa, nel lockdown di febbraio ho scritto un nuovo disco, scuro, pieno di minori, lì abbandono la teatralità e lascio spazio solo alla musica, sono pezzi che ricollego al brano di apertura e chiusura dell’EP uscito oggi, pezzi che per me sono come un ponte verso quel nuovo lavoro. Mi piacerebbe che fosse proprio Jacopo (Incani, Iosonouncane) a produrlo perché è l’artista italiano contemporaneo a cui mi sento più vicino, quello che amo di più e con il quale credo di avere un codice comune vero. Spero tanto che questa cosa si realizzi, intanto ci berremo un caffè a Bologna quando rientrerò a casa.
Sarebbe un match bellissimo, temo che però, nel frattempo, ti toccherà rispondere tutte le volte che ti chiederanno se hai fatto teatro…
Guarda sì, me lo chiedono da sempre, prima dicevo di no e mi dicevano che allora ero proprio bravo, incredibile, poi mi sono iscritto a un corso di teatro, ho cominciato a fare laboratori e qualche spettacolo e a rispondere alla domanda in modo diverso, dicendo che in effetti sì, ne facevo di teatro e allora chi domandava ci restava male, come se fossi meno bravo per il fatto che quella cosa la stavo facendo davvero e non la esprimevo più solo come una specie di dote innata. Negli ultimi due anni ho militato in questa compagnia che si chiama Piccola Compagnia Dammacco, sono in 4, una di loro, Serena Balivo, ha vinto il premio Ubu, ora vivono in una casa tipo comune isolatissima, una dimensione che mi ha molto appassionato.
In termini teatrali e performativi io ho trovato molto interessante il modo in cui hai scaldato la tua immagine sul palco di X Factor, sei partito con un brano apparentemente glaciale ma in realtà neppure troppo segretamente sanguinante come Attenti al loop, dove come un computer impazzito declamavi, lì dove si moltiplicano a macchinetta le proposte, tutta la vacuità effettiva di stare in un mondo musicale fatto appunto di proposte su proposte e pochi ascolti fatti con devozione: un paradosso meraviglioso… Poi, andando avanti con le esibizioni sei come uscito dallo schermo di quel computer e ti sei umanizzato, un bellissimo lavoro sul personaggio…
Pensa che Taketo Gohara con cui lavoravo ai pezzi e che è stato una figura fondamentale per me in questo percorso, che non smetterò di ringraziare, all’inizio temeva che rimanessi imprigionato in Attenti al loop, che finissi a essere ricordato solo come il freak della situazione, mi aveva proposto un arrangiamento diverso del pezzo che io poi ho distrutto punto per punto. Da quel momento abbiamo lavorato benissimo insieme, avevo questa sensazione di avere qualche occasione di esprimermi lì, non pensavo sarei arrivato alla fine ma che avrei fatto qualche puntata e quindi avrei appunto potuto mostrare quest’atmosfera che dici, scaldare il personaggio e dunque chi lo guardava e ascoltava.
Senza scadere in paragoni impossibili una certa forma di gelo espressivo che in realtà procede scaldandosi piano e portando l’ascoltatore nella caverna privata e personale della voce e del suono mi ha ricordato persino Fabrizio De André.
Fabrizio De Andrè per me è come parlare di una cosa solida, quando si dice pilastro, ecco. Pensa che inizialmente la copertina dell’EP, sempre di Pasquale De Sensi era una versione di quella della Buona Novella rivisitata, poi per questioni di diritti non l’abbiamo potuta utilizzare. Ti dico però che io mi centellino i dischi di FdA da tutta la vita, mi sembra che così non finiscano mai, che lui sia ancora vivo, parrà una stupidaggine ma l’effetto privato è quello…
Che altro ascolti?
Molta elettronica, Nicholas Jaar, Frank Ocean, Damn di Kendrick Lamar l’ho consumato, Blood Orange, King Krule, Aphex Twin, Flying Lotus, di roba italiana soprattutto i classici.
E quando quelli che ti avranno chiesto se hai fatto teatro ti chiederanno che musica fai, cosa dirai?
Musica fantasiosa e punk elettronico triste.