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Naska: «Di quello che dicono i vecchi cantautori non me ne frega un cazzo»

Diego contro Naska. Intervista al cantante punk-pop che si definisce bipolare, un po’ come la sua musica: «Sono un po’ cazzone e un po’ sensibile. Voglio fare punk-rock, non partecipare ad Amici»
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Foto press

«Ho tatuato “no future” su un fianco, secondo te potevo andare ad Amici?». C’è da dire che Naska, al secolo Diego Caterbetti, ha le idee molto chiare su quello che vuole, ma soprattutto su quel che non vuole fare. In particolare in musica. Seguendo questo atteggiamento è arrivato a pubblicare un nuovo album su cui abbiamo scommesso per Classe 2023. Si intitola La mia stanza e sono dieci nuovi brani (usciti oggi) nei quali è possibile entrare nella sua testa. L’unico problema però è che lui si definisce bipolare. Che lo sia davvero o solo artisticamente poco importa, perché comunque ha il pregio di aver portato una ventata di freschezza nel panorama punk-pop italiano.

A breve tornerà anche live con un tour estivo (che inizia il 26 maggio al Mi Ami Festival a Milano) e una nuova serie di appuntamenti nei principali festival, così lo abbiamo raggiunto per farci spiegare cosa ci aspetta. Dal rivelarci il suo “no” al talent alla volta che ha strappato un contratto dove gli offrivano molti soldi per non scendere a compromessi, ha spiegato di sentirsi in pieno un cantautore. Con buona pace delle critiche che potrebbero arrivargli dalle generazioni precedenti: «Di quello che dicono i vecchi cantautori non me ne frega un cazzo».

Potrebbe sembrare scontato per un musicista uscire con un disco, ma è sempre meno così. Come ti senti con in mano il tuo album fisico?
Non ho dormito tutta la notte. Mi sono addormentato alle 3, mi sono svegliato alle 4, poi mezz’ora sono riuscito a chiudere occhio e poi basta. Forse da domani riuscirò a razionalizzare meglio.

In questo lavoro quanto è rimasto di Diego e quanto invece c’è di Naska, il tuo alter ego artistico?
Questo il mio disco della dualità. C’è molto Naska e anche molto Diego. Naska è la parte più cazzona e punk-rock, Diego invece quella più emotiva e sensibile. Se la giocano. Prima suona uno e poi l’altro. Sono due parti di me che non hanno ancora preso il sopravvento l’una sull’altra. Il mio psicologo dice che sono bipolare, ma io so solo che prima suona uno e poi suona l’altro.

Sei nato a Civitanova Marche nel 1997. Quanto contano le tue origini o anche l’esigenza di cercare nuove strade nel mondo?
Vengo da un paesino in provincia di Macerata, una zona industriale di 800 abitanti. Non c’era nessuno del ’97 al mio paese, per cui puoi capire che non ho avuto coetanei con i quali condividere le mie passioni. Però mio padre faceva e fa ancora musica come dj, quindi a casa ho sempre trovato una vastità di vinili. Prima mio papà metteva quello dei Guns N’ Roses e poi mia madre lo cambiava e metteva quello di Lenny Kravitz. Sono cresciuto con questa musica nelle orecchie.

Però nelle tue corde c’è molto più punk-rock, l’hai scoperto in seguito?
Sì, attraverso i Blink-182, i Green Day, ma anche i Nirvana. Senza dimenticare Salmo, che all’inizio era molto più crossover.

Nel 2020 hai pubblicato il tuo primo EP, ALO/VE. Cos’è cambiato rispetto a quel periodo?
In quel momento era preponderante la sensibilità di Diego, mentre Naska non era ancora emerso. Si sentiva che ero un ragazzino appena trasferito a Milano, che provava i primi rapporti con l’amore e con una città piuttosto impegnativa.

Com’è stato il primo impatto con Milano venendo da un paesino di 800 abitanti?
Non dei migliori. Mi sentivo come Pinocchio nel Paese dei balocchi. Mi sono ritrovato in questo mondo dove ero sballottato da una festa all’altra, dove scoprivo tutti gli eccessi a cui ti possono portare i weekend milanesi, ma a un certo punto mi sono reso conto che potevo farmi trascinare dagli eccessi, oppure mettere la testa a posto e fare sul serio con la musica. Per cui il primo anno sono stato Pinocchio ciuchino, il secondo Pinocchio che ha attraversato la pancia della balena e ha capito che era necessaria un po’ di maturità.

Tutto quello che hai vissuto, nel bene e nel male, è comunque finito nelle canzoni dell’album.
Sì perché tutto quello che faccio lo metto nei miei brani. Può sembrare strano definirsi cantautore nel 2023, ma io non saprei come altro definirmi.

Sai che le vecchie generazioni di cantautori sono molto critiche verso le nuove.
Secondo me il cantautore è chi vive e racconta quello che ha vissuto. Se questa è la definizione io sono un cantautore. Poi di quello che dicono i vecchi cantautori non me ne frega un cazzo, tanto per citare una delle canzoni dell’album (che si intitola Non me ne frega un cazzo, nda).

Nel 2019 hai aperto un tuo canale Twitch avviando un percorso parallelo alla musica come streamer riuscendo ad aggregare un bel po’ di pubblico. Oggi per un artista è imprescindibile passare anche attraverso queste piattaforme?
All’epoca avevo aperto il canale Twitch perché ero indipendente. Ero uscito da una etichetta che mi aveva fatto passare un periodo pessimo, non mi ero trovato per nulla bene. Per cui ho usato quello strumento per promuovere la musica che facevo, visto che si può monetizzare. Ci ho pagato i video e i mastering. Comunque i social servono per far circolare la musica, avvicinarti ai fan e tanto altro. È qualcosa in più che prima non c’era e adesso sì, per cui vanno sfruttati.

Fedez durante un’intervista ha detto di sentirsi più imprenditore che artista. Tu fra queste due figure come ti senti?
Un artista deve essere bravo anche un po’ a vendersi, ma senza snaturarsi. Io mi reputo più artista che imprenditore, infatti ho il mio entourage che si occupa di tutto quello che riguarda il mercato. Per ora voglio fare l’artista, divertirmi e non curarmi troppo dei numeri.

Su Instagram nella bio hai scritto: “Romantic but still punk”. Cosa significa essere punk nel 2023?
È un atteggiamento. Sono stato punk quando ho mandato affanculo un contratto dove mi offrivano molti soldi, ma non mi rappresentava. Cazzo, lì ho avuto le palle! È la cosa più punk che ho fatto.

Nel nuovo disco parli molto di te e della tua generazione. Ma c’è un pezzo che potrebbe diventare davvero generazionale?
Mai come gli altri. Anche se parlo di una ragazza, affronta un problema che è generazionale.

Hai mai pensato di fare un talent?
Sì, nel periodo in cui ero con l’etichetta precedente. Mi avevano proposto, quasi forzatamente, di partecipare a un talent come Amici di Maria De Filippi, che io non volevo fare. Per quello strappai il contratto e tornai a essere indipendente.

Cos’è che non ti convince di quella strada?
Io ho tatuato “no future” su un fianco e voglio fare punk-rock. Per cui Amici non era proprio in linea con questo stile. Non fanno per me quelle cose.

Se potessi esaudire due sogni, con chi vorresti collaborare in Italia e all’estero?
Sicuramente tra gli italiani Salmo con un bel pezzo punk. Tra gli stranieri Green Day e Blink-182. Se dovessi sceglierne uno solo non saprei, sarebbe davvero una pugnalata al cuore.

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