Kurt Cobain e la moglie Courtney Love vivono in un appartamento nel Fairfax District, un quartiere modesto di Los Angeles. Nel salotto non c’è granché, giusto un amplificatore Fender Twin Reverb, una chitarra senza corde, un tempio buddista casalingo e, sulla mensola del caminetto, la collezione di bambole di plastica nude della coppia.
CD e cassette sono ammucchiati attorno allo stereo, si va da artisti poco noti come Calamity Jane, Cosmic Psychos e Billy Childish a Cheap Trick e Beatles. Le note di Norwegian Wood echeggiano per il corridoio e arrivano nella camera da letto illuminata da una luce fioca, dove Cobain è steso sulla schiena nel suo pigiama a righe, l’unghia dell’alluce dipinta di rosso spunta dalla coperta, un paio di orsacchiotti gli fanno compagnia. Dietro la finestra c’è una notte sorprendentemente profumata per Los Angeles.
Cobain soffre da tempo di una dolorosa patologia allo stomaco, forse un’ulcera, aggravata dallo stress e forse anche dal suo modo di cantare. Sono due settimane che non mangia quasi nulla, è smunto e fragile, diverso dal ragazzone con la barba incolta che sorride in una delle foto dentro Nevermind. Si fa fatica a credere che sia la stessa persona che sfascia chitarre e grida con violenza, almeno fino a quando non noti i suoi brillanti occhi azzurri e le sfumature rosa dei capelli.
Cobain ha cancellato improvvisamente un’intervista fissata in precedenza, in parte a causa delle lettere dei lettori anti-Nirvana apparse su Rolling Stone, in parte perché il magazine ha usato il titolo della loro hit Smells Like Teen Spirit per lo strillo di una copertina su Beverly Hills, 90210.
Poi ci ha ripensato. «Ci sono un sacco cose su cui sono in disaccordo con Rolling Stone», dice a voce bassa, poco più di un sussurro. «Ma bisticciare coi colleghi e con chi si occupa di rock’n’roll è roba da vecchi, non importa se non sono d’accordo con te. Ci sono tanti articoli di politica per cui vi sono grato, quindi è stupido prendersela con una cosa che non odio al 100%. Se c’è speranza, sosteniamola».
«Non do colpe ai diciassettenni punk che mi danno del venduto», aggiunge. «Li capisco. Forse, quando cresceranno un po’, capiranno che nella vita ci sono tante cose oltre a trattare il rock’n’roll come una religione».
«Ho solo bisogno di una pausa, lo stress sparirà», dice Cobain, 25 anni. «Mi rimetterò e ricomincerò da capo».
La pausa se l’è sicuramente meritata, dopo aver fatto quasi 100 concerti in quattro continenti nell’arco di appena cinque mesi. Non è riuscito a stare nello stesso posto abbastanza a lungo da farsi controllare lo stomaco da un dottore. Insieme al bassista Krist Novoselic (si prononcia nova-SELL-itch) e al batterista Dave Grohl si è trovato a gestire la strana situazione di essere la prima band punk-rock della storia con tre dischi di platino.
Nevermind è uscito a settembre e poco dopo MTV ha iniziato a pompare Smells Like Teen Spirit ogni giorno e ogni notte. Nel frattempo, il disco ha scalato le classifiche fino ad arrivare al primo posto. Nonostante l’etichetta della band, la DGC, pensasse che non l’avrebbero comprato più di 250 mila persone, l’album ha venduto tre milioni di copie in quattro mesi e continua con un ritmo di 100 mila a settimana.
Per i Nirvana, pubblicare il primo disco con una major è stato come entrare in un’auto nuova. Il successo improvviso, invece, è stato come scoprire che la macchina è una Ferrari e che il pedale dell’acceleratore è bloccato a manetta. Gli amici sisono preoccupati da come i tre avrebbero gestito la cosa.
«Dave è bello eccitato», dice Nils Bernstein, una persona vicina alla band che si occupa della posta dei fan. «Ha 22 anni, è un donnaiolo e vuole fare centro». Secondo Bernstein, Novoselic aveva un problema con l’alcol, ma quest’anno si è rimesso in sesto per gestire al meglio la sua carriera.
Su Cobain invece girano un sacco di voci. Secondo un recente articolo del magazine musicale Hits il chitarrista sarebbe impegnato a fare “slam dancing with Mr. Brownstone”, che è come i Guns N’ Roses chiamano l’uso d’eroina. In un’intervista pubblicata a gennaio su BAM si diceva che Cobain «si addormentava a metà delle frasi» e che «lo sguardo fisso, le guance arrossate e la pelle giallastra indicavano qualcosa di più di semplice stanchezza».
Cobain nega di fare uso di eroina. «Ho persino smesso di bere, l’alcol mi distrugge lo stomaco», protesta. «Il mio corpo non mi permetterebbe di prendere droghe neanche se volessi, perché sono sempre debole».
«Tutte le droghe sono una gran perdita di tempo», aggiunge. «Distruggono la memoria, la dignità, l’autostima. Non fanno per niente bene. Ma non voglio mettermi a fare il predicatore. È una libera scelta, la mia esperienza mi porta a dire che sono una perdita di tempo».
Cobain rimanda al mittente anche le voci sui problemi nella gestione del successo, così come quelle secondo cui vuole sciogliere la band perché è diventata troppo grossa. «Il successo non ha questo grande effetto, non come sembra dalle interviste o da quello che i giornalisti scrivono di me», dice. «In realtà non è un problema per me».
Chi lo conosce dice il contrario. Scegliendo le parole con cura, Jack Endino, il produttore dell’album di debutto Bleach, dice che «quando li ho visti suonare ad Amsterdam, qualche mese fa, mi sembravano un po’ scontrosi e diciamo così sotto pressione». Bernstein aggiunge che «Kurt vorrebbe strangolare chiunque gli faccia una foto».
La fama è un problema per l’etica punk di Cobain. È per questo che ha rifiutato un passaggio in limousine per l’apparizione dei Nirvana al Saturday Night Live. «La gente lo tratta come un dio e la cosa lo fa incazzare», dice Bernstein. «Gli danno un’importanza che lui ritiene di non avere o meritare. Li vorrebbe mandare affanculo».
«Krist e Dave hanno dovuto raccogliere i cocci», continua Bernstein. «Erano già amici, ma ora sono inseparabili».
«Ultimamente mi sono allontanato dalla band per sopravvivere», confessa Cobain. «Non partecipo agli after party, vado dritto in camera d’albergo e mi metto a dormire, mi concentro su quello che dovrò mangiare al mattino. Preferisco pensare a cose del genere. La nostra amicizia non è in pericolo, ma questo tour ci ha tolto parecchi anni di vita. Ho intenzione di fare dei cambiamenti».
Non è la prima volta che è stressato. Nel 1989 ha avuto un esaurimento sul palco durante un concerto a Roma, alla fine di un tour europeo particolarmente sfiancante. Bruce Pavitt, il co-fondatore di Sub Pop, la prima etichetta dei Nirvana, ricorda che «dopo quattro o cinque canzoni ha smesso di suonare e si è arrampicato sulle casse, voleva buttarsi di sotto. La sicurezza è andata fuori di testa, tutti lo supplicavano di scendere. Lui ripeteva: “No, no, voglio tuffarmi”. Aveva raggiunto il limite. Chi era lì ha visto un tizio impazzire di fronte ai suoi occhi, si sarebbe rotto l’osso del collo se non fosse riuscito a riprendersi». Alla fine l’hanno convinto a scendere.
Se riuscirà a reggere la pressione, Cobain, un uomo estremamente intelligente e senza paura di provocare, potrebbe diventare una figura simile a John Lennon. Il paragone non è azzardato. Come Lennon, usa la musica per liberarsi di un’infanzia infelice. E come Lennon, è innamorato di un’artista altrettanto visionaria e provocatrice: Courtney Love, leader di un’orgogliosa band neo-femminista, le Hole.
Cobain e Love si sono sposati il 24 febbraio in un luogo segreto di Waikiki, nelle Hawaii, dopo il tour dei Nirvana in Giappone e Australia. C’erano solo due invitati: una donna prete di confessione imprecisata e un roadie nel ruolo di testimone.
«È come mettere insieme acqua minerale e acido di batteria», dice Cobain della loro intesa. E che succede quando li mescoli? «C’è l’amore», risponde Cobain, sorridendo per la prima volta. Esausto sul letto, è abbastanza cotto da proclamare: «Non sono mai stato così felice. Finalmente ho trovato una persona con cui sono totalmente compatibile. Non importa se è un uomo, una donna, un ermafrodito o una scimmia. Siamo compatibili». Quando Love entra nella stanza, anche solo per sgridarlo, Cobain assume l’espressione sognante dell’innamorato.
«Ci ho pensato e non sono arrivato a una conclusione», dice Cobain del fenomenale successo di Nevermind. «Non voglio sembrare vanitoso, ma so che è meglio di gran parte della roba commerciale che da un sacco di tempo viene fatta ascoltare alla gente».
Nevermind ha anche un significato culturale. Smells Like Teen Spirit è un inno per (o contro) la generazione del “Why Ask Why?”. Ma non considerate Cobain come il loro portavoce. «Io parlo per me stesso», dice. «Semplicemente ci sono un po’ di persone a cui interessa quel che ho da dire. A volte è spaventoso perché sono una persona confusa come qualunque altra. Non ho le risposte. Non voglio fare il cazzo di portavoce».
«Ambiguità e confusione, sta tutto lì», dice il produttore del disco Butch Vig. «I ragazzini sono attratti da quella musica proprio perché lui non è necessariamente il portavoce di una generazione. Lo ascoltano perché in quelle canzoni c’è passione e il fatto che lui non sa cosa vuole, ma è arrabbiato. Tutte queste cose hanno un’influenza su livelli diversi. Non so cosa significhi teen spirit, ma so che è una cosa incredibilmente intensa».
Cobain è d’accordo, il messaggio non sta necessariamente nei testi. «Gran parte della musica del disco è molto personale, parla delle emozioni e delle esperienze che ho fatto», dice sfilando una sigaretta dal pacchetto, «ma i temi dei pezzi non sono così personali. Sono storie prese da tv, libri, film, amici. Le emozioni invece sono le mie».
«Quando canto lo sforzo si concentra nella parte superiore dell’addome. È da lì che vengono le urla, è lì che sento qualcosa, viene tutto da lì», continua toccando un punto sotto lo sterno. Per puro caso, è esattamente lo stesso dove appare il dolore allo stomaco.
Quando Nevermind è arrivato al primo posto in classifica, Cobain era «quasi eccitato», dice. «All’epoca non volevo ammetterlo. Spero che il successo non si limiti a noi. Spero che altre band possano fare la stessa esperienza».
Cobain è entusiasta delle band underground che s’infiltrano nelle classifiche mainstream, ma detesta chi secondo lui sta cavalcando l’onda del boom alternative. Il suo bersaglio preferito sono i Pearl Jam, anche loro di Seattle, che accusa di fare «una fusione tra cock-rock, musica corporate e alternativa», come ha detto in una recente intervista con Musician.
«Ci menzionano in tutte le interviste che fanno», dice Cobain seduto sul letto con le gambe incrociate. «Vorrei smettere di essere associato a quella band e agli altri gruppi corporate come i Nymphs. Sento il dovere di mettere in guardia i ragazzi da chi millanta di essere underground o alternativo. Sono tutti saltati sul carro del rock alternativo».
«Non so cosa gli ho fatto, se c’è qualcosa di personale dovrebbe venire a dircelo», replica Jeff Ament dei Pearl Jam, che spiega che quando si sono incontrati Cobain l’ha a malapena salutato. «Quel ragazzo è davvero frustrato, deve soffrire di un’insicurezza bella profonda. Pensa davvero che siamo saltati sul suo carro? Si potrebbe dire che i Nirvana hanno fatto i dischi con i soldi che noi abbiamo fatto guadagnare alla Sub Pop… se fossimo idioti potremmo dirlo».
Cobain è felice di elencare alcune delle band che apprezza: Breeders, Pixies, R.E.M., Jesus Lizard, Urge Overkill, Beat Happening, Dinosaur Jr e Flipper. Poi ci sono gli amati Captain America, uno sgangherato gruppo pop scozzese. «Eugene e Frances Kelly sono i Lennon & McCartney o i Captain & Tennille dell’underground».
Per gli altri membri dei Nirvana, aiutare altri musicisti underground è una delle poche cose che bilanciano la pressione derivante dal successo. Quando la band è tornata al Paramount Theater di Seattle per tenere un grosso show a Halloween, in apertura c’erano le Bikini Kill, una provocatoria band al femminile della vicina Olympia che si è presentata sul palco in lingerie e con la scritta SLUT sullo stomaco. Novoselic sta valutando l’idea di fondare una «MTV punk-rock» con solo band alternative.
Aiutare altri musicisti rafforza il senso di comunità che ha reso possibile il successo dei Nirvana. «Non si tratta di distruggere l’industria discografica», spiega il co-fondatore di SubPop Jonathan Poneman, «il punto è essere inclusi. È una rivoluzione egualitaria, è questo che fa di loro una band punk-rock».
Non è un caso che i Nirvana abbiano spodestato Michael Jackson dal primo posto delle classifiche pop. Oltre ad apprezzare i bambini e gli animali, Cobain e Jackson non hanno nulla in comune. Jackson dice che non importa se sei bianco o nero, una frase sdolcinata che farebbe gridare Cobain. La musica di Jackson è anni ’80 e rassicurante. I Nirvana fanno musica con radici salde negli anni ’90. Non sono glamour, non lo sono affatto.
Novoselic e Cobain vengono da una città rurale, Aberdeen, 180 chilometri a sud-ovest di Seattle, dove la mamma del bassista gestisce il Maria’s Hair Design. È una città di taglialegna che ha visto giorni migliori – in particolare a metà del XIX secolo, quando era una sorta di grosso bordello per i marinai di passaggio, un periodo che secondo Novoselic ha reso i cittadini «imbarazzati dalle proprie radici». Tra la disoccupazione e il clima piovoso e grigio, la città deve affrontare problemi con l’alcolismo e un tasso di suicidi altissimo, il doppio rispetto alla media dello Stato. Il banco dei pegni locale è pieno di pistole, motoseghe e chitarre.
Uno dei bar più noti della città si chiama Pourhouse. È lì che due ragazzi dell’età di Cobain, Joe e James, sono seduti a farsi una brocca di birra (a testa). Joe è disoccupato perché ha la gamba rotta. «Ho cercato di volare giù da una casa», spiega.
«Sì, conosco quel ragazzino, Cobain», dice James. «È frocio».
«È frocio?», chiede Joe. Smaltita la sorpresa, dice: «Qui sappiamo cosa fare con i froci. Li facciamo scappare dalla città».
È così che sono cresciuti Cobain e Novoselic. È per questo che si sono baciati sulla bocca durante i titoli di coda del Saturday Night Live. Sapevano che avrebbero fatto incazzare certa gente della loro città e tutti quelli come loro.
«Ho un problema con l’idea di macho, il lavoratore forte come un bue», dice Cobain stancamente, «perché è il tipo di persona che mi ha sempre minacciato. Ci ho avuto a che fare per quasi tutta la vita. A scuola mi minacciavano e mi picchiavano, si aspettavano che fossi anch’io come loro».
«Mi sento più vicino all’idea femminile che a quella maschile o all’idea americana di cosa dovrebbe essere un uomo», continua Cobain. «Guarda le pubblicità della birra, capirai cosa voglio dire».
Ovviamente, per Cobain il periodo passato alle scuole superiori è stato infelice. Era circondato da metallari ubriaconi con di fronte solo la prospettiva della disoccupazione o di una vita a tagliare alberi secolari. Lui era un tipo sensibile, minuto per la sua età e disinteressato allo sport. «Era terrorizzato dagli sportivi e dagli stronzi», ricorda il vecchio amico Matt Lukin, ora bassista dei Mudhoney.
«Crescendo», dice Cobain, un fan di Beckett, Burroughs e Bukowski, «mi sentivo sempre più alienato, non trovavo nessuno che fosse compatibile con me. Tutti sarebbero diventati taglialegna e io volevo un’altra vita. Volevo diventare un artista».
«Se fosse cresciuto in un qualsiasi altro posto», dice la madre Wendy O’Connor, «sarebbe stato bene, ci sarebbero stati altri come lui, non sarebbe stato una mosca bianca. Questa città è Peyton Place precisa precisa. Tutti ti osservano e ti giudicano, hanno i loro bei preconcetti e vogliono che tu ti adegui. Lui però non lo faceva».
Un amico di Cobain una volta ha detto, scherzando, che Nevermind l’avevano comprato tutti quelli che da bambini erano stati vittime di bullismo. Potrebbe anche essere vero: il tasso di divorzi a metà degli anni ’70 era cresciuto fino ad arrivare quasi al 50% e tutti quei figli di famiglie separate stanno diventando adulti. Kurt Cobain compreso.
Cobain era un bambino solare. «Si alzava ogni mattina felice solo perché cominciava un altro giorno», ricorda la madre. «Quando andavamo in centro a fare compere, cantava per strada alla gente». La sua intelligenza era sorprendente fin da piccolo. «Quasi mi spaventava perché percepiva le cose in un modo che non avevo mai visto nei bambini della sua età», continua la madre. «Ha subito capito molte cose della vita. Sapeva che la vita è ingiusta. Era molto attento a ciò che succedeva nel mondo, a tre anni e mezzo, mentre disegnava, si fermava ad ascoltare le notizie con attenzione. Sapeva tutto della guerra».
«Aveva degli amici immaginari. Ce n’era uno chiamato Boda a cui dava la colpa di tutto. Doveva esserci sempre un posto a tavola per questo amico immaginario, onestamente era ridicolo. Un giorno suo zio Clark gli aveva chiesto se poteva portare Boda con sé in Vietnam perché altrimenti si sarebbe sentito solo. E Kurt mi ha presa da parte e mi ha detto: “Boda non è reale. Lo zio Clark lo sa?”».
Poi i genitori di Cobain – una segretaria e un meccanico – hanno divorziato quando lui aveva 8 anni e «la cosa lo ha distrutto», afferma la madre. «È cambiato radicalmente. Penso si vergognasse. È diventato molto introverso, si teneva tutto dentro. Molto timido. Era devastato. Penso che ne stia soffrendo ancora». Ancora molto «immaturo», per dirla con parole sue, Cobain era stato sballottato di qua e di là, prima con la madre, poi col padre, poi con zii e nonni, e via da capo.
Fino ai 9 anni Cobain non ascoltava altro che i Beatles. Poi suo padre si è iscritto a un club del disco e in casa sono arrivati dischi dei Led Zeppelin, dei Kiss e dei Black Sabbath. Kurt ha cominciato a seguire il tour americano dei Sex Pistols sulle riviste musicali. Non sapeva cosa fosse il punk, perché in città non c’erano negozi che vendessero dischi di quel genere, ma un’idea se l’è fatta. «Cercavo musica che fosse insieme pesante e melodica», racconta, «qualcosa di diverso dall’heavy metal, con un’attitudine diversa».
Gli idoli di Cobain a quel tempo erano i Melvins, una band di Aberdeen. Aveva guidato il van con cui andavano in tour, caricando e scaricando la loro strumentazione e assistito a oltre 200 delle loro prove. Buzz Osborne, leader della band, era diventato suo amico e il suo mentore e aveva portato un Cobain 16enne al suo primo concerto rock: i Black Flag. Secondo Matt Lukin, allora bassista dei Melvins, «ne è rimasto sconvolto». Più o meno in questo periodo Cobain ha mollato la batteria per la chitarra.
«Non penso che avesse molti amici», ricorda Lukin. «Cercava sempre di fondare delle band, ma non riusciva a trovare persone che poi non lo scaricassero». Osborne gli ha presentato Novoselic, un ragazzo timido e così alto che quando andava a casa di Cobain picchiava la testa contro i lampadari. Cobain aveva formato una band con lui, che è di due anni più vecchio. Si erano chiamati Ed, Ted, and Fred, poi Skid Row, quindi Fecal Matter. Infine hanno trovato il nome Nirvana. Lentamente i Nirvana hanno sviluppato un suono tutto loro, molto potente, e sono diventati parecchio popolari nella vicina Olympia, dove andavano a suonare alle feste dell’Evergreen State College.
Nel frattempo, la madre di Cobain l’aveva cacciato di casa dopo che lui aveva mollato la scuola e si era messo a fare musica invece di cercarsi un lavoro. Rimasto senza casa, Cobain dormiva sui divani degli amici. A un certo punto si è trovato a vivere sotto un ponte ad Aberdeen, una storia che ha raccontato nel brano Something in the Way, contenuto in Nevermind.
Vandalo mosso da una giusta causa, Cobain amava scrivere con la bomboletta la parola queer sui pickup 4×4, il veicolo prediletto dei redneck omofobi. Altre sue scritte preferite erano “Dio è gay” e “Abortisci Cristo”. Nel 1985 Novoselic, Osborne e il 18enne Cobain hanno scritto “Homosexual Sex Rules” sui muri di una banca di Aberdeen. Osborne e Novoselic si sono nascosti in una discarica, Cobain era stato beccato e fermato. Un verbale della polizia elenca i contenuti delle sue tasche al momento dell’arresto: un plettro, una chiave, una birra, un anello e una cassetta della band punk militante Millions of Dead Cops. Si è beccato una multa da 180 dollari e 30 giorni di carcere, con pena sospesa.
«Aveva molta rabbia dentro», racconta Bruce Pavitt di Sub Pop, «quindi faceva spesso questi gesti clamorosi per far incazzare la gente». Cobain è anche una persona sensibile e spesso sono proprio le persone sensibili quelle più incazzate. «Esatto», conferma Pavitt. «È quella la chiave per capirlo».
Cobain ha cominciato a lavorare come portiere in un hotel e in uno studio dentistico e si è trasferito da Matt Lukin, che all’epoca suonava nei Melvins. Per spaventare i vicini ha costruito una bambola dall’aspetto satanico e l’ha appesa fuori dalla finestra. Teneva delle tartarughe in una vasca da bagno sistemata in salotto. Quando ha capito che non c’era modo per cambiare l’acqua, Lukin, che di mestiere faceva il carpentiere, ha semplicemente fatto un buco nel pavimento. Le fondamenta si sono riempite d’acqua e la casa ha rischiato di crollare.
In una session con il produttore Jack Endino, uno dei padri nobili della scena grunge di Seattle, Cobain e il batterista dei Melvins Dale Crover hanno registrato dieci brani nel giro di un pomeriggio. Impressionato, Endino ha fatto sentire la registrazione a Jonathan Poneman della Sub Pop (due brani sono poi usciti su Bleach e l’etichetta si appresta a pubblicare una raccolta di inediti e rarità del gruppo).
Poneman ha incontrato Cobain in un bar di Seattle. Era fan di Sub Pop perché produceva una delle sue band preferite, i Soundgarden. Più tardi è arrivato anche Novoselic. «Chris era ubriaco e incazzoso», ricorda Poneman, «e non gliene fregava un cazzo. Diceva: “Ok, vuoi pubblicare i nostri dischi, bene”. E poi mi insultava». Nonostante ciò Poneman ha messo sotto contratto i Nirvana.
Un anno e due batteristi dopo, nell’ottobre 1988 Sub Pop ha pubblicato il singolo Love Buzz / Big Cheese. Nel giugno 1989 è uscito Bleach, il cui budget totale è pari a 606 dollari (Jason Everman, inserito nei crediti del disco, in realtà non ci ha suonato ed è stato inserito per avere messo i soldi per realizzarlo. «Gli dobbiamo ancora i 600 dollari», dice Cobain. «Forse dovrei mandargli un assegno»).
All’inizio Bleach vendeva poco. Ma dopo qualche mese ha ricevuto i complimenti da gente come i Sonic Youth, complimenti che hanno contribuito alle 35 mila copie vendute dal disco, un risultato notevole per un disco indipendente (le vendite dell’album sono poi esplose dopo l’uscita di Nevermind).
Ma a questo punto il batterista che ha suonato su Bleach, Chad Channing, non c’era più. Osborne aveva conosciuto Dave Grohl perché aveva suonato nella stessa serata con la sua band, gli Scream. Quando il bassista ha lasciato gli Scream, Grohl ha chiamato Osborne disperato e lui gli ha fatto conoscere i Nirvana. «A Krist e Kurt era piaciuto subito perché picchiava sulla batteria più forte di chiunque altro», racconta il produttore Butch Vig.
Nell’agosto 1990 i Nirvana hanno registrato sei brani con Vig per un album che sarebbe dovuto uscire per la Sub Pop. Bleach era venuto molto bene, ma Cobain era tornato in studio con pezzi che rappresentavano un salto di qualità pazzesco rispetto alle cose fatte in precedenza.
Nel frattempo, la Sub Pop ha cominciato a parlare con alcune major per un accordo di distribuzione. Pensando che se dovevano finire sotto una major tanto valeva scegliersela, i membri dei Nirvana avevano cominciato a guardarsi intorno. Solo una si poteva permettere di comprare i Nirvana sciogliendoli dal contratto con la Sub Pop, e la distribuzione di una major avrebbe fatto arrivare la loro musica alle masse. «Questa è la scusa che mi racconto quando mi sento in colpa per essere sotto una major», spiega Cobain. «Dovrei sentirmi molto in colpa per questa cosa; dovrei vivere secondo la vecchia etica punk, negare ogni concessione al commerciale e rimanere bloccato nel mio piccolo mondo senza la possibilità di avere un impatto su altre persone fuori da quelle che mi conoscono già. Predicare ai convertiti insomma».
Alla fine si è scatenata un’asta tra diverse etichette. I Nirvana hanno firmato con la DGC, guidata dal magnate dell’intrattenimento David Geffen, una sussidiaria della gigantesca MCA, che in catalogo aveva già artisti come i Guns N’ Roses e Cher. La band ha ricevuto un anticipo da 287 mila dollari.
Come produttore il gruppo aveva chiesto Scott Litt, che aveva lavorato con i R.E.M, e il maestro del Southern pop Don Dixon. Alla fine la band ha scelto Vig. Durante le prove per l’album, un pezzo in particolare è sembrato subito una bomba. «Non appena hanno cominciato a suonarlo abbiamo capito che era fantastico», spiega Vig. «Mi muovevo per la stanza, cercando di contenermi e non mettermi a saltare su e giù». Era Smells Like Teen Spirit.
Nevermind è stato registrato l’estate scorsa. Il costo totale è stato di 135 mila dollari, inclusi vitto, alloggio, mastering e stipendio di Vig. Il produttore degli Slayer Andy Wallace ha curato il mix. Vig ha capito che stava succedendo qualcosa quando un sacco di gente ha cominciato a chiedergli di ascoltare qualcosa in anteprima. Oggi racconta di essere letteralmente assediato da proposte di produrre band per «farle suonare come i Nirvana».
Nel settembre 1991 Novoselic e Cobain erano così poveri da dover dare i loro amplificatori al banco dei pegni. Oggi Cobain ha sul conto 100 mila dollari. Quando Novoselic ha raccontato a un amico di aver comprato una casa con cinque stanze a Seattle, quello ha risposto che pagare il mutuo sarebbe stato complicato. «Quale mutuo?», ha risposto Novoselic. L’ha pagata in contanti.
«Un sacco di gente mi chiede: quand’è che ti comprerà una macchina nuova? Quand’è che ti comprerà una casa?», racconta la madre di Cobain. «Non potrei accettarle. Avremmo potuto aiutarlo se avessimo capito che sarebbe diventato qualcuno con la musica. Invece pensavamo che sarebbe stata una fase. Vorrei che l’avessimo aiutato un po’ di più. Non ci deve nulla».
I Nirvana, però, devono alla DGC un altro album, che probabilmente inizieranno a registrare alla fine dell’autunno o all’inizio dell’inverno. Secondo Jonathan Poneman, «Kurt farà un capolavoro assoluto, oppure farà un disco pieno di rabbia e confusione». Vig pensa che sarà un album più acustico.
«Ho già una buona idea», afferma Cobain. «Penso che nel prossimo album ci saranno un po’ tutti e due gli estremi, alcune canzoni saranno più grezze, altre più pop. Non sarà un disco monodimensionale».
In ogni caso, ci sono buone possibilità che il pubblico di Cobain non capisca. Il brano antimaschilista Territorial Pissings è stato usato come musica di sottofondo per una partita di football. E a Smells Like Teen Spirit potrebbe toccare la stessa sorte di Rockin’ in the Free World o di Born in the U.S.A., gli ascoltatori potrebbero non capire l’intento ironico. Cobain l’ha già previsto nel ritornello di In Bloom, un brano di Nevermind: “Lui è quello a cui piacciono le canzoni giuste / Gli piace cantare in coro / Ma non ne capisce il significato”. E la cosa bella è che anche questa canzone è orecchiabile, fatta apposta per essere cantata, il che porta chi l’ascolta a diventare l’oggetto dell’ironia.
Secondo Nils Bernstein, la maggior parte delle lettere che arrivano dai fan dei Nirvana sono di questo tenore: «Ehi, grande, ho visto il tuo video e ho comprato il tuo disco! Spaccate!».
«Tutti dicono “spaccate”», spiega Bernstein. La metà delle lettere chiede anche il testo di Smells Like Teen Spirit (i testi completi dei brani di Nevermind saranno inclusi nel prossimo singolo, Lithium). La maggior parte degli autori di queste lettere ha tra i 10 e i 22 anni e guarda MTV. «Non ci sono molte lettere a sfondo sessuale», dice Bernstein. «Le migliori sono quelle che arrivano da gente in carcere o da militari». E cosa dicono i soldati? «Dicono, “ragazzi, spaccate!”».
Cobain ha accettato il fatto che buona parte del suo pubblico è composto dal tipo di persone che a scuola lo bullizzava. «Non riesco a provare risentimento nei loro confronti, perché capisco che per molte persone la propria personalità non è una scelta, molte volte è la vita che ti spinge a essere in un certo modo. Spero che ascoltare la nostra musica li porti a sentire altre cose dello stesso genere. Spero che li spingeremo ad ascoltare cose più underground. Sapendo che veniamo dal mondo punk-rock, può darsi che vadano a scoprire quella scena e che cambino un minimo atteggiamento».
Non pensa però che la maggior parte di loro lo farà. «Sembra una causa persa», dice sospirando. «Ma è una causa per cui è bello lottare. Ci dà qualcosa da fare. Non ci fa annoiare». E ride.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.