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Nella casa faccio la mia cosa, Fabri Fibra apre la sua tana

Ha scelto di rintanarsi nel suo basement di periferia proprio mentre i rapper stanno dappertutto. Poi ha fatto uscire "Squallor", uno dei suoi dischi migliori, senza dirlo a nessuno
Fabri Fibra, siamo andati nella sua tana. Foto: Alessandro Simonetti

Fabri Fibra, siamo andati nella sua tana. Foto: Alessandro Simonetti

Qualche giorno prima della release a sorpresa di Squallor, il sottoscritto e il direttore di Rolling Stone, Massimo Coppola, sono entrati nella tana di Fabri Fibra e della sua manager Paola Zukar, un basement con uffici e studio insonorizzato nella periferia di Milano, dove negli ultimi due anni il rapper si è ritirato a vita privata per concentrarsi solo sulla sua musica, lontano dalle mischie hip hop che l’album avrebbe poi fomentato. L’invito era per ascoltare il nuovo disco, ma una volta lì abbiamo acceso il recorder e chiesto il permesso di trascrivere e pubblicare la conversazione che segue.

Si sta parlando delle due settimane in cui il rapper è stato a Los Angeles per chiudere quattro pezzi con Hit-Boy, Rey Reel e HazeBanga…

Fibra: Senti questa roba: vado a Santa Monica a comprare due paia di adidas, uguali identiche a quelle che avevo preso qualche giorno prima sempre nello stesso negozio (risate). Insomma, mi fumo una sigaretta e arriva la guardia con passo felpato…
Coppola: Certo, non puoi fumare, lì.
Fibra: No, no, mi fa: “Non puoi buttare la cenere per terra”. Mi dico, cazzo mi multerà. Invece tira fuori un posacenere di plastica nera lucida con scritto “Keep California Clean” e me lo regala.
Maresi: Hai fatto il certificato medico per fumare marijuana a L.A.?
Fibra: Tre quarti d’ora dopo essere atterrato ne avevo già uno (risate). Ok, io fumo un sacco di cannoni, ma non con il pallino di voler essere un tossico. Non posso più stare in mezzo alla gente, perché oramai sono tutti ritardati con i social, raga. Chiunque abbia un nome diventa una possibilità di fare like, e io vivo tantissimo il disagio della gente che ti sta addosso, che ti ricorda di continuo che sei quella roba lì. Sto un sacco in studio, ascolto un sacco di musica, fumo e non vado ai party milanesi, non vado in paranoia, lavoro sempre a qualcosa di nuovo. Come dice Drugo (Il grande Lebowski, ndr), mantengo quel regime di droghe leggere che mi permette di vedere tutto con lucidità. Coppola: Sulla febbre da social c’è quel clip virale con Kirsten Dunst che esce da una villa e passano due tipe in macchina che si fermano, gridano: «Oh my God, you’re Kirsten Dunst!» e iniziano a farsi dei selfie. Lei rimane lì, le guarda, queste continuano a farsi i selfie e cominciano a postare compulsivamente. Poi risalgono in macchina, l’attrice le guarda e gli dice: «You don’t want to ask me anything about acting or something?». Rispondono: «Puoi taggarci?», e se ne vanno.
Fibra: È proprio cosi!
Maresi: I like sono i nuovi punti fragola.
Fibra: Immaginati una Mina oggi. Non arriverebbe al terzo disco.
Coppola: Ho avuto modo di conoscere Gianni Morandi durante una vacanza in un posto vagamente irraggiungibile. Una sera ceniamo nell’entroterra salentino, in un paese di 300 abitanti. A un certo punto si sparge la voce e parte una processione – perché Gianni Morandi è come il papa – che si conclude alle 2.40 del mattino. Gli dico: «Gianni, da quanti anni è così?» E lui: «Saranno 50, più o meno». Non so come cazzo faccia.
Fibra: Anche io l’ho beccato, un giorno: «Ma tu sei Fabri Fibra», mi dice tutto contento, «mio figlio ti ascolta, fatti fare una foto». E io: «Ma te sei Gianni Morandi!».
Coppola: Un altro così è Pippo Baudo, gente famosissima che però viene da te e ti dice: “Ma tu sei…”.
Fibra: Quelli famosi che però vivono. Secondo me è anche perché loro hanno avuto un successo veramente longevo, roba di 30-40 anni.
Coppola: Forse dopo una certa età si diventa così. Comunque non si torna indietro, a un certo punto ci sarà un’implosione.
Fibra: Ma questo può essere anche il sistema perfetto per tenere tutti a posto. Va benissimo così. Li tieni tutti sui social, sono tutti quanti addormentati con gli hashtag.
Coppola: Peccato, perché quella roba lì la puoi usare anche molto, molto bene.
Fibra: Perché te c’hai un approccio artistico.
Maresi: Lo so, ma lo impari, cazzo!
Fibra: Dove lo impari? Dove lo impari, l’ap proccio artistico oggi? Dalla Parodi? Dalle migliaia di trasmissioni di cucina? Non c’è più un cazzo! Poi ho una vaga sensazione, che una volta se imitavi i Beastie Boys non valevi un cazzo, oggi se copi sembra quasi che diventi un po’ il competitor dell’originale. C’è questa cosa del plagio quasi consentito, no? Fino a cinque anni fa, io non sapevo che cosa cazzo comprare. C’era così tanta musica nuova che non capivo neanche più cos’era bello, e allora secondo me è successo che un disco, per essere bello, oggi deve assomigliare a qualcosa che già conosci bene. Ed ecco un sacco di cloni…
Coppola: Io in questo periodo sto cercando di capire il pop americano, che è veramente lontano dalla mia sensibilità.
Fibra: Solo perché sei diventato padre. Se ti beccavano 10 anni fa e ti offrivano l’intervista a Lady Gaga gli davi un calcio nel culo.
Coppola: È aggiornamento professionale. Per me con Ian Curtis è morta anche la musica.
Zukar: Ellamiseria.
Fibra: Te c’hai queste frasi geniali…
Coppola: Ma no dai, ci sono delle robe, tipo The Blacker the Berry di Kendrick Lamar, che è un pezzone.
Fibra: Kendrick Lamar ha fatto un disco così proprio perché sapeva che c’è meno gente
in circolazione. Se lo faceva quattro anni fa spariva in mezzo alle 50 uscite settimanali. Gli artisti sono più demotivati, lo senti, e allora uno può osare.
Maresi: E quindi esci con Squallor senza co municarlo.
Fibra: Esco senza comunicarlo perché mi porta via anzitutto un mese-due di incontri con i giornalisti, perché se vai sui quotidiani devi beccarli tutti. Poi c’è da dire ’sta cosa: io ho iniziato a fare rap a 16 anni, ho fatto 3-4 cose da indipendente che sono andate bene, e mi ero già creato una mia dinamica di lavoro. Arrivata la major, il mio modo di lavorare si è deformato. Ho dovuto iniziare a mettere in conto di dover accontentare talmente tante persone che la musica per forza di cose ci ha perso. Poi, all’inizio, il rap italiano era considerato un po’ sfigato…

Oggi parlare di rap è diventato più importante del rap stesso

Coppola: Giustamente.
Fibra: Giustamente, sì. E dovevi aspettare di arrivare al singolone come gli Articolo 31 con Ohi Maria. Poi con Internet il rap ha cominciato a omologarsi, i campioni presi dai vinili sono stati sostituiti da librerie di suoni uguali per tutti, i sintetizzatori, e l’hip hop è diventato la colonna sonora del digitale. E sai oggi qual è la beffa? Che se non ascolti il rap o non parli di rap non sei moderno. Oggi parlare di rap è diventato più importante del rap stesso. Lo vedi anche in tv, alla trasmissione di turno fa sempre comodo un rapper che stia lì a dire cose.
Maresi: I rapper sono i nuovi opinionisti.
Coppola: Beh, in fondo il rap nasce come voce del ghetto.
Fibra: Il rap non è mai uscito di lì.
Coppola: La pop culture è black o anglosassone, punto. Noi facciamo del nostro meglio, ma non ci sono cazzi.
Fibra: I neri non ce la faranno mai a fare la dance europea, perché non è la loro roba. Poi ci sono delle situazioni in cui nasci ibrido, come me, che sto a mio agio nel rap, perché la mia testa ragiona a misure, e quando devo imbastire un ragionamento mi viene da organizzarlo in partiture, però io sono anche figlio del remix. Ho vissuto l’era Fargetta, quindi sono abituato a mischiare tutto. Tarantino è il regista della nostra epoca. Cosa fa Tarantino? Prende, mischia, e ce lo dà.
Coppola: Tarantino fa Godard e non lo dice mai a nessuno. Prendi Pulp Fiction, la scena di lei che crea una cornice grafica con il dito. In un film di Godard, Jean Seberg fa la stessa cosa, ed era il 1966. Se conosci bene Godard scopri che in tutti i film di Tarantino ci sono almeno 40-50 citazioni. Ormai siamo diventati tutti dei dj, dei selezionatori, dei curatori d’arte. Anche Rolling Stone propone un mondo di storie. Seleziona cose “interessanti” nel marasma generale. Io odio quelli “bene informati”, come li chiamava Battiato, perché se sei informato vuol dire che non hai aderito a niente.
Fibra: Chiaro.
Coppola: Poi, certo, sarebbe bello, a livello personale, rivivere tante volte l’adolescenza, la scoperta. Magari trovi un artista come Action Bronson: ovvio che mi piace, ma non è che sto lì ad aspettare il suo disco. Ecco, mi piacerebbe tornare ad aspettare un disco, come una volta, ma cazzo, se è difficile.
Fibra: È difficile, sì. È come la prima volta che ti ubriachi…
Coppola: Come la prima volta che scopi, la prima volta che ti fai di qualcosa, poi tutto diventa normale.
Maresi: Infatti Action Bronson funziona perché è autoironico, ti fa venire l’allegria. Pensaci, già uno chef albanese che diventa rapper e conquista la fama a botte di fotine che manda in giro… Oggi, se esci con un disco senza avere avvertito i giornalisti, poco ci importa.
Fibra: Una volta credevo che gli articoli sui giornali incidessero sul successo di un album, invece spesso mettono il disco in secondo piano rispetto al personaggio.
Coppola: Ma dai, ai fan che cazzo gli frega dell’opinione di un quotidiano?
Fibra: Ai fan no, però se nel circuito dei giornalisti musicali una recensione crea un’opinione, soprattutto su Internet, poi quella diventa l’opinione di tutti. Allora io voglio che l’opinione la crei il pubblico direttamente.
Coppola: Stai sopravvalutando il potere del giornalista musicale, che sembra strano detto dal direttore di Rolling Stone…
Fibra: Ti dico qual è il problema nel mio ambiente: che tu vuoi essere un selezionatore di contenuti, ma da quando è finito il rap degli anni ’90 non c’è stato nessuno in grado di
raccontarlo. È l’anarchia totale.
Coppola: Hai ragione, forse andiamo troppo veloce anche noi. Ma ci stiamo prendendo il tempo necessario per approfondire. A me piace molto la tua narrazione…
Fibra: Sono contento, ma per quanto mi riguarda puoi anche non scrivere un cazzo, io voglio solo farti capire che sono completamente fuori da questi giochi, dall’ultimo disco non mi importa più dell’esposizione. Vi ho invitato perché rispetto Rolling Stone, la sua storia, lo compro, ma possiamo anche chiuderla qua. Della promozione non mi frega niente. Ho capito la falsità dell’ambiente e la facilità con cui il pubblico oggi ti ama e domani ti dimentica. Sono uscito da quel limbo che mi ha danneggiato a livello artistico, e nel quale non riuscivo più a trovare le metriche.
Maresi: Cos’è che ti ha danneggiato di più?
Fibra: Non concentrarmi sulla musica, ma sul racconto. Non devi raccontare quello che fai, devi fare e basta.
Maresi: Vivere l’arte.
Fibra: Sì, vivi l’arte.
Coppola: Vero, la promozione eterna è un danno.

Fibra e Paola ci portano nella saletta insonorizzata per ascoltare Squallor. Le prime cose che saltano all’occhio, di fianco al mixer, sono un piccolo posacenere tattico rifornito di speziati prodotti naturali e una barretta energizzante. Fibra ci fa accomodare su un morbido divanone di pelle, si appizza un joint e chiude la porta. La stanza non supera i 15 metri quadri e il sistema di areazione è spento.

Maresi: Ti fai di barrette proteiche?
Fibra: Sì, perché Milano è una città di merda dove la gente non è più neanche in grado di preparare un cazzo di panino.
Coppola: Con quante tracce sei partito?
Fibra: Ne ho registrate 70.
Coppola: Quante ne hai messe nel disco?
Fibra: Ventuno.
Coppola: Ventuno è ancora accettabile. Tutti con ’sta cazzo di incontinenza…
Fibra: Ti prometto che il prossimo disco non avrà più di 12 canzoni (ride).

Fibra mette su la prima traccia, Rime sul beat, un intermezzo old school di un minuto e mezzo pieno di scratch.

Maresi: È un beat super anni ’90!
Fibra: Ma oggi questa roba è una novità, per i ragazzini.
Coppola: Beh? Cos’è? Basta?
Fibra: Eh, finisce così.
Coppola: Ma sei scemo? Dai, in che senso?
Fibra: Ti giuro.
Coppola: Finisce così?
Fibra: Sì, è un pezzo!
Coppola: Minchia ma è geniale. Lasci appeso lì il beat, mi lasci barzotto! Comunque arriverà qualcuno che ti farà un remix da 8 minuti e te ne faranno pentire. (Risate).
Fibra: Volevo fare un pezzo punk di un minuto e mezzo, e se ti piace significa che ho vinto!

Fibra fa partire Rock That Shit, dove rappa col francese Youssoupha: «Ho cominciato a fare il rap quando ancora non era una moda / chiuso in camera pensavo il mondo mi odia / sulla base mi sfogavo con le prime rime / adolescente come tanti che si deprime». Sul “deprime” il direttore di RS si avvicina al Mac e stoppa la traccia.

Coppola: Questo testo qua non mi piace. Non potete continuare a parlarvi addosso!
Fibra: Aspetta, però…
Coppola: «Ero l’unico a fare rap, tutti mi odiavano…». Minchia basta! (Risate).
Fibra: Però è una storia.
Coppola: Sì, ma basta.
Fibra: Non sei tu quello che voleva sentire le storie?
Coppola: Sì, ho capito, ma minchia basta. Cioè cazzo…
Maresi: Vuole che tagli la parte dove dici che eri solo tu! (Risate).
Fibra: Non posso. Quello che dici te è vero, ma nel tuo ambiente. Calcola che io a ogni disco ho ragazzini nuovi che non sanno che cazzo stanno suonando e fa sempre bene ricordare che ero un loser, sempre! Mai uscire da vincente.
Maresi: Ma così ti delegittimi. Tutti quanti siamo solo noi! Eravamo sempre e solo noi. Vasco docet, no?
Fibra: È un po’ il discorso che facevamo prima: una volta eri sfigato, oggi sei figo. Non è per essere negativi, questa è la nostra vittoria.
Coppola: Non siamo più alle faide che ci sono state fino a qualche anno fa, per fortuna.
Fibra: No, infatti. Qui è come dire: guarda, tu mi ascolti oggi che il rap va e io sono famoso, ma non sono il tipo costruito, non mi scrivono i testi. Mi sono sentito rinfacciare anche questo.
Coppola: Beh, se sei un rapper e ti scrivono i testi semplicemente ti sparo! Che cazzo di rapper sei?
Fibra: Però devi ricordarla, questa cosa.
Coppola: Va bene. Non volevo interrompere…
Fibra: Ma tu devi interrompere!

Finiamo di ascoltare Rock That Shit, che con il featuring di Youssoupha prende tutta un’altra piega, rimanendo sempre in quota anni ’90: anche qui c’è tanto scratch.
Coppola: È un pezzo sorprendente, ma rimango dell’idea che le prime rime non mi piacciono, nonostante tutto.
Fibra: Mi sono solo sfogato come un adolescente fra tanti che si deprime, giusto per dire: guarda, vieni…
Coppola: Allora ci voleva un verso alla Jovanotti (ride).
Fibra: Guarda che io Lorenzo 1992 me lo sono andato a vedere anche in concerto.
Coppola: Poi con la parte in francese all’adolescente gli dici una cosa sofisticata, perché il rap francese ha fatto delle robe fichissime molto prima di noi. Però il 17enne non lo sa. Quindi prima cerchi di coccolarlo e dopo gli dai una mazzata.
Fibra: Sì, bravo! Ho questa esigenza di comunicare ai nuovi, però non voglio più coccolarli, come magari ho fatto fino a Guerra e pace. Adesso li porto dentro e quando sono dentro gli spiego bene le cose.

Continua l’ascolto con le hit Lamborghini, Come Vasco, Dexter (feat. Nitro & Salmo).

Coppola: Mi sembrano tutti quanti… interessanti.
Fibra: Mi piace ascoltare i provini con la gente intelligente (ride).
Coppola: Nessun pezzo è dritto per dritto, c’è
sempre qualcosa che cambia. In Come Vasco non ti aspetti di avere quel riffettino un po’ maghrebino.
Fibra: Il concetto è proprio questo, la svolta a metà pezzo, iniziare con un déjà vu e poi metterci del tuo.
Coppola: A proposito del metterci del tuo, da quando sono direttore di Rolling la frase che mi sono sentito dire più spesso è: le major hanno ucciso la musica.
Fibra: Entri in una catena di montaggio, conta solo il risultato.
Coppola: Quelli non ci mettono quel pezzo d’anima che abbiamo noi quando ascoltiamo un disco.
Fibra: Ma loro stanno vendendo un singolo che neanche gli piace, solo perché sanno già che ha chiamato il direttore della radio che lo passerà.
Coppola: Se questa roba la sentivo in una stanza alle 4 del pomeriggio con 30 persone attorno e le cuffiette, senza poter fare neanche due chiacchiere, ti chiamavo e ti dicevo: senti Fabri, non ho capito un cazzo.
Fibra: Ma devi capire il meccanismo. A un certo punto, senza renderti conto, ti ritrovi un direttore di radio che chiama il boss dell’etichetta discografica e gli dice che forse passerà la tua canzone, ma solo se è uguale a quella prima… Se tu sei un artista ingenuo in quel momento gliela dai, perché ti dice che se fai un’altra Tranne te la passa. Poi finisce che no, era meglio Tranne te, e allora non la passa. E io mi chiedo: ma il coglione è lui o sono io?
Coppola: Sei tu.
Fibra: Che ci sono cascato.
Coppola: Però non potevi saperlo.
Fibra: E allora mi sono tolto le catene e sono venuto qua, ma non rinnego niente. Se l’artista è coglione, ci crede! Del resto i direttori delle radio fanno i dischi dell’80% della musica italiana.
Coppola: Vabbè, comunque a noi questa roba piace.
Fibra: Il risultato più bello per me è essere arrivato a fare dei pezzi che riesco ad ascoltare per più di due mesi dopo averli iniziati.

Fibra accende un altro joint e, insomma, nella stanzetta con il sistema di ventilazione spento la conversazione si fa a poco a poco sempre più rarefatta…

Zukar: Ti dico una roba, Massimo. Quello che secondo me rende la notizia, non è solo il disco in sé, ma anche il messaggio: bisogna cambiare le regole del gioco.
Coppola: Tu lo stai facendo, ma non è una novità… Questa cosa qui l’hanno appena fatta Madonna e Björk…
Fibra: Lo so, ma è una novità, per gli italiani, che a uno, che prima credeva molto di più in questo sistema e in questa dinamica, non gliene frega più niente, e comunque vada continua a fare musica ad alto livello.
Coppola: Il mondo si divide in cose fighe e cose non fighe.
Zukar: Appunto.
Coppola: Questa è una cosa figa. La novità non esiste.
Fibra: È vero.
Coppola: Da quando Duchamp ha preso il cesso e l’ha fatta diventare un’opera d’arte il mondo è cambiato. E non si torna più indietro.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di Maggio.
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