L’immagine di copertina è una fotografia scattata con un filtro effetto caleidoscopio, un primo piano di una ragazza dai capelli lunghi e mossi moltiplicato per tre. Evoca una storia, quella di una giovane cantante che nel 2018 aveva messo in piedi un trio, ma che a un certo punto si è ritrovata sola e ha deciso di andare avanti da sé.
Lei è Gaia Morelli, ventunenne di Rivalta, fuori Torino. La band erano i Baobab!, ma ora quel nome indica il suo progetto ed è il titolo di un EP appena uscito per Dischi Sotterranei e Needn’t. Ricetta: un pop psichedelico contaminato di soul-r’n’b ed echi di vecchie colonne sonore, in cui morbide linee vocali si muovono tra loop elettronici e chitarre vintage, synth onirici e riverberi, su un ritmo che si fa più rilassato o più accentuato a seconda degli episodi. Lodevole il lavoro alla produzione di Carlo Corbellini, padovano, classe 1999, frontman dei Post Nebbia, gruppo che negli ultimi anni, ispirato da Tame Impala, Arctic Monkeys e MGMT, ma aperto anche a suggestioni new wave e Seventies, ha tentato di portare un po’ di gusto internazionale nella scena musicale italiana.
Con Baobab! si punta al medesimo obiettivo, ma allargando lo spettro sonoro che abbraccia la voce di Gaia, il tutto in una mini raccolta di canzoni che nei testi esprime l’ansia di una generazione attraversata da un senso di inadeguatezza. Ce lo siamo fatti raccontare dagli stessi Gaia e Carlo.
Partiamo da te, Gaia. Intanto come nasce Baobab?
Gaia: La storia è un po’ tortuosa, visto che inizialmente eravamo in tre: io, Marco Fracasia e Alessandro Petris. Poi Marco e Alessandro hanno deciso di mollare il progetto, nemmeno troppo tempo fa. Quasi tutti i pezzi di questo EP sono nati con loro, che mi hanno anche introdotta nel mondo della musica diciamo più concreto, più professionale. Questo mi ha aiutata, di mio sono una persona abbastanza chiusa, solo che dopo è arrivata la delusione, soprattutto a livello umano. Ci sono state incomprensioni, per cui adesso sono un po’ in ansia, perché devo gestire tutto da sola e abituarmici.
Come ti sei avvicinata alla musica?
Gaia: Ho iniziato a cantare da piccolina, alle medie avevo quest’insegnante che mi ha introdotto al canto dandomi delle buone basi.
Che cosa ti faceva cantare?
Gaia: Un sacco di Ella Fitzgerald e Stevie Wonder. Non è che pensassi di diventare una cantante, probabilmente dentro di me questo sogno l’avevo, ma non in modo così concreto. Però da lì ho continuato, un po’ da sola, un po’ no; per due anni ho anche studiato chitarra, sai, le classiche lezioni… E a un certo punto, più o meno quando sono nati i Baobab!, ho cominciato anche a buttare giù cose mie. Era una cosa che volevo fare da tempo, ma avevo bisogno di qualcuno al mio fianco che mi desse un po’ di sicurezza. Credo sia fondamentale avere il feedback di altre persone su ciò che scrivi.
Carlo, scusa se ti ho lasciato in pausa.
Carlo: Figurati, il disco è il suo, non il mio!
Il tuo lavoro alla produzione, però, gioca un ruolo importante. Come si sono incrociate le vostre strade?
Carlo: La racconto dalla mia prospettiva. Ero nel pieno della seconda ondata, dopo aver appena mollato l’università. Ero disperato, ma per fortuna mi è arrivato questa proposta di produzione, una manna dal cielo. Anche perché mi è stato dato molto spazio per fare quello che volevo. Nonostante il lavoro portato avanti a distanza – a parte un paio di sessioni in cui ci siamo ritrovati a Milano – è andata molto bene.
Com’era il materiale di partenza?
Gaia: C’erano già dei provini.
Carlo: Sì, c’era già tutto, c’erano dei provini con delle versioni demo che ho allungato di qua e accorciato di là, inserendo un po’ di suoni. Il nucleo della canzone, il cosa succede quando, era già lì, si trattava di riprenderlo in mano e rilavorarlo. Alla fine è venuto fuori un EP che definirei psych-pop con delle influenze r’n’b, che attinge da cose che si sono viste negli ultimi anni nel panorama internazionale sia sul fronte neo-soul, sia dal lato più chitarroso. È un po’ una via di mezzo tra queste due anime.
Riferimenti, ascolti?
Carlo: Le mie due ossessioni dell’adolescenza, cioè del periodo in cui ho cominciato a fare questa roba qua, sono sempre state i Tame Impala e gli Arctic Monkeys per le band, Madlib sul fronte più hip hop. Per molto tempo ho cercato di trovare un suono che potesse combinare questi due mondi e con Baobab! penso di aver scovato una declinazione possibile di questo cocktail, una combinazione di cui sono soddisfatto.
Ammetto che non appena ho sentito Noel ho pensato agli MGMT, ma anche a una We Are Your Friends di Justice vs Simian smorzata, ammorbidita.
Carlo: Ha senso, sì.
Soprattutto in Quindici si percepisce anche un gusto da colonna sonora vintage, alla Piero Umiliani. Dopodiché mi pare ti sia divertito a infilarci dentro un’ampia gamma di suoni ed effetti vari.
Carlo: Specialmente su quei rumori di synth e quegli effettini che entrano, la produzione è stata collettiva, ci siamo divertiti a toccare manopole con venti mani per curare ogni singolo passaggio. Poi è vero, devo dire che questo disco mi è capitato in uno dei periodi di maggiore scimmia strumentale, in particolare per le colonne sonore Seventies, quindi ho potuto dare sfogo a queste mie fascinazioni con ampi paesaggi riverberati, aperture e chiusure, cose da film su pellicola.
Gaia, tu cos’avevi in mente?
Gaia: Per me era importante unire il dream pop con atmosfere più r’n’b, due mondi che mi piacciono molto e che amo mischiare. Anche se ultimamente sto ascoltando altro.
Tipo?
Gaia: Cose soft techno, Bicep, Burial… Non c’entrano niente con la mia musica, però non so, è un periodo così; ci sta, per cambiare un po’. A parte questo, ho ascoltato un sacco i Beach House e tutto quel mondo, ma anche Tyler The Creator, Angel Olsen, Mac DeMarco, gli stessi Tame Impala.
Parlando dei testi, quelli di Noel e Melatonina mi sembra esprimano un disagio che forse non ha a che fare solo con la tua età, ma con lo scenario in cui la tua generazione si sta formando. È così?
Gaia: Premetto che i testi di Noel e Melatonina li abbiamo scritti io e Marco, uno dei due ex Baobab!, ci trovavamo molto a livello di scrittura. Mentre per B la musica l’ha scritta Alessandro, io le parole, e di Quindici”sono miei sia musica, sia testo. Quindi Noel la sento più di Marco che mia, rispecchia il suo cinismo, però sì, c’è l’elemento che dici, questo sentimento comune: siamo tutti un po’ presi male.
È assurdo chiedertelo dopo una pandemia e mentre rischiamo una Terza guerra mondiale, ma è anche vero che ogni generazione ha le sue tragedie: come spiegheresti questo vostro essere presi male?
Gaia: Per quanto mi riguarda sono semplicemente una persona negativa, forse realista, ma insomma, vedo quel lato lì delle cose e questo mi spinge a esprimere quel sentimento nelle canzoni.
In compenso B è una canzone che esprime la magia dei primi amori, no? “Ci conosciamo poco, ma avrei alcune cose da dirti, tipo che quando ti parlo, in un attimo diventa primavera”.
Gaia: Però anche lì c’è della paranoia in sottofondo.
Carlo: Sono d’accordo, si percepisce un contrasto tra la passione fisica e la paura dell’abbandono, del vuoto. Tra l’altro sono davvero fiero di quel pezzo: è quello un po’ più scarno, dove ho esagerato meno, ed è figo, sono contento che siamo riusciti a chiuderlo con tre suoni, visto che non ne necessitava di più, perché questo fa in modo che esca molto la canzone e che esca la voce di Gaia.
In effetti l’EP parte con un pezzo decisamente elettronico per chiudere con una chitarra sprofondata in un magma che culla l’ascoltatore. Una curiosità: nessuno si stupisce più che i dischi siano fatti e prodotti al computer, ma a te, Carlo, capita di trovarlo limitante?
Carlo: Certo, in generale avere davanti il computer e un programma che ha una griglia su cui tu organizzi la musica, in cui ci sono le battute e in cui tutto è scandito alla perfezione, tutto questo implica che devi sfidare questo concetto, specie se vuoi creare un vestito per un progetto che si propone di essere una band e che quindi ha bisogno di elementi organici o un po’ più umani. In questo senso penso che l’EP di Baobab! sia una buona via di mezzo, riesce a fare incontrare parti di drum machine con suoni un po’ più performati, più storti. Fermo restando che anche la selezione dei suoni elettronici ha una pasta un po’ rovinata e distorta.
Si va in cerca di calore, insomma.
Carlo: Eh, sì, a meno che non si voglia ricercare appositamente l’effetto robot, devi lavorare contro la macchina per ottenere un po’ di umanità.
Questo ti spinge ad ascoltare album prodotti e registrati in tutt’altro modo?
Carlo: Certo, negli ultimi due anni soprattutto i Beatles. Per il resto continua a farmi impazzire l’ultimo degli Arctic Monkeys, anche se recentemente ho apprezzato una cosa molto lontana dalla mia orbita, i Turnstile, gruppo di Baltimora che fa punk hardcore, ma che è riuscito a infilare dentro questo genere una serie di influenze che non c’entrerebbero niente e che invece funzionano: il loro disco dell’anno scorso spacca. Un’altra bomba totale è What’s Your Pleasure? di Jessie Ware, del 2020, che ovviamente ho fatto ascoltare praticamente a tutti, compresa Gaia.
La voce, invece, come l’avete trattata?
Carlo: Non ci siamo dati troppi paletti: dato il carattere delle strumentali e la collocazione di Baobab! nella scena musicale di oggi, la scelta più immediata era quella di lavorare per ottenere una voce che fosse intelligibile, ma comunque con dell’effettistica importante, trattata come parte dell’atmosfera più generale. Questo partendo dalla constatazione che Gaia canta da paura, secondo me.
A proposito di collocamento nella scena musicale, tu, Gaia, dove ti posizioni idealmente?
Gaia: Essendo cresciuta ascoltando musica internazionale, mi piacerebbe andare oltre le etichette e i generi che ci sono in Italia.
Carlo: Nel nostro Paese, purtroppo, l’unico mercato che funziona è quello di fascia altissima, per cui appena qualcosa ha successo tutti cercano di replicare quella roba lì, salgono un po’ tutti sul carrozzone, e il risultato è che non esiste quasi più la fascia intermedia tra il pazzo che fa, che so, musica rumorosa e super underground e il Tommaso Paradiso che la maggior parte della gente richiede. Però da qua ai prossimi anni credo riusciremo a prenderci una fetta di ascoltatori che è stata lasciata fuori da queste dinamiche, dalle dinamiche per cui adesso sono tutti a Sanremo, tutti che stappano bottiglie…
Gaia: ll fatto è che seguire tutti lo stesso percorso rende anche tutto un po’ sterile. Poi si va così veloce e a me piace anche lavorare in modo tranquillo, con i miei tempi. Cioè, perché correre?
Lavorando assieme avete scoperto di avere altre passioni in comune, musica a parte?
Carlo: L’alcol e il tabacco.
Gaia: E abbiamo lasciato l’università, insieme.
Carlo: Hai ragione, ecco l’abbandono dell’istruzione superiore.
Gaia: Eravamo entrambi in crisi.
Come mai?
Carlo: Io ho scelto di fare l’università del rock (ride).
E prima a che facoltà eri iscritto?
Carlo: Lettere moderne, con dei risvolti a dir poco comici. Le poche cose che ho studiato mi sono anche piaciute, ma non era la mia strada, ho deciso di investire sulla musica, che mi piace di più mi dà più soddisfazioni.
Tu, Gaia?
Gaia: Io ero al Dams e in realtà mi piaceva molto, ho dato degli esami super fighi come storia del cinema e storia del teatro, ma da un lato sono sempre stata una pippa nello studio, dall’altro anch’io volevo dare priorità alla musica.
Registi preferiti?
Gaia: Tutto il realismo magico, Fellini. Ma anche Truffaut, che ho scoperto grazie a mio padre.
State seguendo le proteste degli studenti o non facendo più parte della categoria non ve ne frega più nulla?
Carlo: Non sono coinvolto direttamente, ma sono dalla loro parte. Ricordo il senso di totale abbandono che ho avvertito negli ultimi anni di liceo.
Gaia: Per non parlare del livello di sicurezza nelle scuole, io manifestavo spesso perché nel mio liceo era crollato il tetto.
Carlo: Il problema è che in Italia la professione dell’insegnante non riceve la giusta stima, è svalutata, e questo fa sì che tanti finiscano per diventare docenti un po’ a caso.
Molti studenti denunciano che la scuola non formi più cittadini, ma lavoratori: è questo il punto?
Carlo: Guarda, anche accettando che la scuola prepari unicamente a entrare nel mondo del lavoro, lo fa comunque male, perché al lavoro bisogna metterci del proprio, mentre oggi i professori non trasmettono alcun senso critico.
Gaia, a breve ti vedremo sui palchi, dunque? Questo EP lo porterai in giro dal vivo?
Gaia: Sì, sto mettendo su una nuova formazione live: per ora siamo in due, ma gasati.