Nella scena rap italiana si inizia finalmente a parlare di “penne”, di capacità di scrittura. Forse i vecchi parametri presi a prestito là dove è nato l’hip hop – flow, hype, swag e street credibility – non bastano più, ora che il rap si è preso tutto deve sfidare ad armi pari la canzone, siam pur sempre in Italia, terra di poeti… E dopo il successo di Marracash con Persona c’è una nuova generazione che, senza rinunciare alla crudezza di linguaggio e ad affrontare tematiche care al genere – più o meno street, più o meno gangsta – si distingue per una scrittura più immaginifica, un vocabolario più ampio e un’attitudine per il racconto delle emozioni più intime.
Tra i suoi esponenti di spicco c’è Nerissima Serpe (già il nome ha qualcosa di dantesco), ovvero Matteo di Falco da Siziano, provincia di Pavia. Dopo alcuni progetti indipendenti in cui si è fatto conoscere dai colleghi più noti – e che oggi sono suoi fan – esce ora con un album, Identità, in cui conferma le promesse e si concede anche il lusso di tentare nuove strade, da solo, con i compagni di strada Papa V e Kid Yugi e con i più noti Ernia e Achille Lauro. Lo incontriamo per fare due chiacchiere mentre è seduto al sole in un bar di paese bevendo una spremuta.
Nel tuo disco ci sono molti riferimenti agli animali e alla natura, anche esotica. Fa parte della poetica di Nerissima Serpe?
È stato un processo naturale. Ad esempio, chiacchierando con Ernia per la traccia Diavoli lui mi ha detto che era appena tornato da un viaggio in Africa e il pezzo ha assunto un mood animalesco. In generale ho una passione per gli animali e la natura fin da bambini. Poi quando facevo i graffiti mi taggavo Serpe.
Come sei arrivato a questo stile di rap molto personale, intimista e crudo?
Scrivo da quando sono un bambino, solo dopo mi sono appassionato alla musica: Vasco Rossi è un riferimento importante e poi ho scoperto il rap di Gué e Marracash che venivano incontro a questo mio desiderio di espressione.
C’è una scena di cui senti far parte oggi?
Sì, oltre alla musica c’è un rispetto vero e reciproco tra me e un gruppo di ragazzi come Papa V e Kid Yugi. Col progetto Players Club di Night Skinny questa unione si è concretizzata. Abbiamo in comune il modo di raccontare la realtà in maniera molto personale.
Un’altra cosa che ti accomuna a Kid Yugi è il vocabolario, sicuramente più ampio di quello di molti altri rapper…
Mi piace leggere, i russi… Dostoevskij. Ma anche la poesia, l’arte, il design, tutto quello che può influenzare la mia musica
Il fatto di non stare in città, di vivere in un paesino quasi in campagna quanto ha influenzato il tuo modo di fare musica?
Non so spiegarlo concretamente, ma sì, c’è qualcosa di molto poetico, una magia dei luoghi che vivo, come le campagne aperte. E questo mi differenzia dagli altri, mi dà qualcosa in più. Stando qui non mi sono dovuto creare un personaggio, canto come parlo di quello che sono, senza filtri.
Nel disco ci sono anche canzoni “intime”, quasi romantiche…
Mi piace mostrare le mie debolezze, far vedere cosa mi passa per la testa. Mi metto a nudo, sia con temi forti e crudi sia con temi più love. Oggi è più figo essere se stessi che cercare di essere quello che non si è, magari comprandosi vestiti di marca, come succedeva fino a un po’ di tempo fa.
Cosa c’è di Vasco nel tuo fare rap?
L’essere diretto. E poi quando parlo di ragazze, in maniera semplice, mi ricorda dei film che mi facevo da piccolo quando ascoltavo Vasco e le sue canzoni d’amore.
Sento anche l’influenza di un disco come Persona di Marracash.
Quell’album ha cambiato il modo di vedere il rap di molti, non solo il mio. Come ti dicevo già da piccolo mi piaceva scrivere, dedicare dei pensieri su un pezzo di carta a mia madre o mia nonna, esprimendo delle emozioni. E Marracash con Persona ha sdoganato una certa sensibilità, molto vicina alla mia.
Che pubblico hai?
Un pubblico maturo, non come età ma mentalità, che mi segue per quello che dico nei pezzi, non per i TikTok o altre cose del genere.
Sei stato “benedetto” da grandi producer come DJ Tayone e Night Skinny. È successo anche con dei rapper? Chi?
Sì, Achille Lauro che è nella skit del disco ed Ernia con cui ho avuto uno scambio profondo quando ci siamo conosciuti: mi ha spiegato che devo affermarmi prima come persona e dopo come artista. E che devo capire quale è il mio ruolo, il mio posto, e prendermelo per poi non lasciarlo più.
C’è già una generazione di rapper dopo la tua pronta a prendersi la scena?
Per adesso tocca a noi! Anche se il mondo del rap va molto veloce e c’è sempre qualcuno di fresco e forte.
Se tocca a te, quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Ho capito che se non hai troppe aspettative vinci, anche se so che questo di ora è il mio progetto più maturo. Ora so che artista voglio essere e mi prenderò il tempo giusto per dimostrarlo a tutti quanti.
Ci sono pochi riferimenti a soldi, ricchezza, brand nel tuo fare rap.
Ci sono vari tipi di disagi, non solo quello di venire da un contesto povero o svantaggiato. La mia poetica porta a occuparmi d’altro, di problemi diversi.
Oggi il linguaggio crudo e violento del rap è stato messo sotto accusa, giudicato spesso misogino e sessista, e colpevole secondo alcuni di influenzare negativamente i ragazzi. Che opinione ti sei fatto in merito?
È giusto mettere questo argomento, il sessismo, sotto i riflettori, non voglio prenderlo sotto gamba, però mi sembra poco opportuno associarlo ai giovani artisti di oggi. Non abbiamo il compito di educare il pubblico, quello spetta alle famiglie e alle istituzioni. La musica è anche un gioco, uno sfogo… Bisogna distinguere l’arte dalla realtà.
C’è un pezzo di questo disco che ti rappresenta più di altri?
Sì, in Fondo di verità ho messo molto di quello che sono. A un certo punto canto “capire più noi stessi è già un traguardo”: in un mondo che vive di apparenze, l’unico modo di stare bene è capirsi con se stessi e con chi ci sta accanto.