Se tutte le separazioni fossero ponderate e consenzienti come quella tra Lorenzo Colapesce e Antonio Di Martino, forse il mondo sarebbe un posto migliore. O, chissà, peggiore, perché più coppie perfette si dissolverebbero felicemente.
Era scritto nell’agenda del destino che avremmo fatto quest’ultima intervista ai due musicisti insieme proprio il lunedì successivo alle ultime due tappe del loro ultimo tour. Non possiamo negare di aver provato, nell’approcciarli, sensazioni molto lunedì-tipiche, come a dire: dopo uno straordinario viaggio della maturità durato quasi cinque anni, ora si torna alla realtà. Ma loro, completandosi ancora le risposte a vicenda; usando solo il presente indicativo, come se non ci fosse un imperfetto; dandoci consigli di primissima mano su come fare bella figura a Carnevale, vestendosi da Colapesce e Dimartino; raccontandoci del senso di pace che si prova quando ci si trova d’accordo; per tutti questi e per molti altri motivi ci hanno smentito: anche il lunedì può essere un giorno meraviglioso.
Siete diabolici perché vi state separando ma lo state facendo passare come una cosa bella.
Dimartino: Un attimo, possiamo spiegare.
Colapesce: Con Antonio abbiamo sempre lavorato in modo estremamente naturale. E dunque anche questo momento lo è. Ci siamo sempre assecondati a vicenda nel fare le cose per il desiderio di farle, non per contratto. Non abbiamo mai fatto troppi calcoli. Crediamo nella figura del cantautore e abbiamo insistito molto su questo, anche se non sempre è venuto davvero fuori come avremmo voluto.
Come vi sentite all’indomani di questo fine settimana?
Dimartino: Credo in quello che ha detto Lorenzo: siamo sempre stati liberi di fare le nostre scelte. E soprattutto credo in una cosa che ci diciamo spesso: ci sono degli artisti che, arrivati a un certo punto della carriera, tendono a ripetere uno schema. Parlo anche di grandi artisti, di band eccezionali che, appena hanno cominciato a inseguire un disco solo per poi andare in tour e generare dei profitti, hanno annoiato il loro pubblico, costringendolo ad ascoltare solo i loro primi dischi. Il nostro duo ha detto delle cose, almeno per noi, molto importanti; però, come tante altre cose, ha bisogno di una pausa fisiologica per poter…
Colapesce: Per poter tornare con argomenti e sonorità credibili, coi risultati di una nuova ricerca. Mi sa che siamo proprio di un’altra generazione.
Quando, un giorno lontano di cinque anni fa, avete deciso di diventare un duo, avete mai pensato: e se finisse male?
Dimartino: Direi che siamo riusciti a non arrivare a porci il problema. Abbiamo pubblicato l’ultimo disco di inediti, Lux Eterna Beach poco più di un anno fa e, nel frattempo, siamo stati sempre in giro a suonare e a divertirci. Cosa che, in questo mestiere, fa veramente la differenza. Sento ancora, sotto di noi, il carbone ardente.
Colapesce: Sì, e anche la nostra scrittura è viva. Ce la sentivamo addosso anche l’altro ieri, a Carpi, mentre suonavano per l’ultima data. Mi rendo conto di quanto questo sia prezioso e vada custodito. Il nostro non è mai stato solo lavorare, ma lavorare anche per una cosa in cui crediamo e che difenderemmo fino alla fine: come ideali, come testi, come sonorità.
I pubblici milanesi e carpigiani hanno vissuto delle serate speciali, tra la grandeur delle orchestrazioni e l’intimità teatrale. Quale momento degli ultimi live salvereste come un fermo immagine?
Colapesce: I momenti da immortalare sarebbero tanti. Il primo che mi viene in mente è quando, a Carpi, abbiamo fatto Majorana e, improvvisamente, ci siamo resi conto che stavamo suonando per l’ultima volta insieme.
Dimartino: Per ora!
Colapesce: Ok, probabilmente la risuoneremo. Però fare quella canzone, in quel contesto, dopo essercela portata dentro per quattro anni, fino a renderla parte della nostra quotidianità, portandola in tanti contesti diversi, è stato emozionante. Devo ammettere che, fino all’ultimo, non ci siamo resi conto di quello che stava succedendo.
Dimartino: Archi, ottoni e oreoccupazioni è stato tra i tour più complessi che abbiamo fatto, perché c’erano solo le voci e l’orchestra. Non era un concerto orchestra e band, come spesso si usa fare nella musica pop, in cui batteria e basso finiscono per mediare tra cantanti e orchestrali: le nostre voci erano nude e l’orchestra, col suo marasma, resa molto ritmica da Davide Rossi, incombeva sotto di noi. Eravamo, in altre parole, molto concentrati. Quindi, riassumendo, l’immagine che conserverei è quella di me concentrato quanto emozionato. È una cosa che non mi capita spesso, anche perché se sei concentrato, in genere, non riesci a emozionarti, e viceversa.
Colapesce: A me è capitato di sentire più che mai sia i testi che il pubblico. Con Antonio, oltre a cantare, in genere, suoniamo, e dunque siamo troppo presi dall’aspetto performativo per fare anche altro. Come per esempio entrare di più nelle dinamiche tra noi e la platea, come abbiamo potuto fare in quest’ultimo tour. Guardare in faccia le persone e vederne le reazioni è una magia propria solo del teatro.
E come reagivano?
Colapesce: Questa volta abbiamo proposto forme di dialogo col pubblico piuttosto particolari, un po’ seguendo un canovaccio e molto improvvisando. Ad esempio: Antonio, all’ingresso, chiedeva a tutti di scrivere, su un biglietto, una propria preoccupazione. Sul palco, durante il concerto, le leggeva.
Che cosa vi hanno scritto su quei biglietti?
Colapesce: In generale, purtroppo, tanta preoccupazione dei più giovani nei confronti del futuro, per la situazione politica.
Dimartino: Molta ansia. Un altro gioco, più divertente, è stato quello in cui chiedevamo al pubblico di cantare, dividendolo per categoria. Ad esempio: «Adesso cantino le partite Iva». Lorenzo a un certo punto ha detto: «Adesso cantino quelli che soffrono di ansia generalizzata».
Colapesce: Tutti. Un boato.
Però anche le partite Iva sono tante.
Dimartino: A Milano sì, e pure i grafici. Ci siamo accorti che, effettivamente, è un periodo in cui la gente non sta benissimo.
Colapesce: L’idea di Archi, ottoni e preoccupazioni è nata proprio dal fatto che ci siamo resi conto che la gente è impensierita da tantissime cose. I padri, le madri, i ragazzi: c’è una preoccupazione incredibile ma tangibile.
Dimartino: Anche i bambini sono preoccupati.
Voi mettevate gli archi e gli ottoni, loro le preoccupazioni e, insieme, esorcizzavate il tutto. Non è male come forma di terapia di gruppo.
Dimartino: Be’ anche noi abbiamo preoccupazioni e ansie. Non era solo un LOL. Eravamo lì perché volevamo scavare nei sentimenti, prima di tutto nei nostri.
Nelle scorse serate avete omaggiato Battiato, Lynch, Benvegnù: tre Maestri diversissimi ma che, in qualche modo, sembrano coabitare nel vostro universo emotivo. Cosa unisce, secondo voi, questi tre numi tutelari del lavoro artistico?
Dimartino: Sono stati tre artisti in grado di seguire la propria libertà. Se penso alla produzione di Lynch mi viene in mente il fatto che sia partito come pittore, tra l’altro di quadri che rappresentano l’umanità in modo eccezionale, con quei labirinti che sembrano fatti di organi. Ma anche Paolo si è sempre contraddistinto per essere un artista fuori dalle logiche discografiche, capace di esprimere il suo pensiero.
Colapesce: Vogliamo ricordare anche Marianne Faithfull, che omaggiamo in Nati per vivere con una nostra traduzione. E Ivan Graziani. Ci teniamo a portarci dietro il Novecento che ci piace. Ultimamente abbiamo avuto la sensazione che questo Novecento si stia un po’ disgregando. A 20 anni ti senti immortale. A 40 cominci a pensare a delle altre cose.
Dimartino: Il fatto è che stanno morendo tutti.
Colapesce: Tutti i nostri miti.
Dimartino: E quando cominciano a morire i tuoi miti il terreno scricchiola.
Il pubblico mainstream vi ha conosciuto, di fatto, insieme e indivisi. Il pubblico che vi conosceva da prima, forse, soffrirà meno per la vostra decisione di separare le vostre rispettive strade. Magari capirà meglio le ragioni che ci sono dietro. Che tipo di tranquillanti prescrivereste al grande pubblico per accettare meglio la situazione?
Dimartino: Siamo sicuri che il pubblico mainstream non si stia ricordando di noi solo per la notizia della nostra separazione?
Modestia a parte?
Dimartino: Per il pubblico mainstream siamo quelli spiaccicati sul palco di Sanremo per Splash. È difficile che il pubblico generico venga a uno spettacolo come quello del Teatro dal Verme.
Colapesce: C’è una nicchia molto solida che ci segue da anni e che è andata crescendo, includendo nuove generazioni, anche grazie alle occasioni mediatiche che abbiamo avuto. È vero che un pezzo come Musica leggerissima, pur parlando di depressione, è arrivato a un numero spropositato di persone. Ma la dimensione che più apprezziamo è quella del teatro, dove c’erano sì ragazzi di 12 anni e signore di 60, ma tutti accomunati da un sentire le nostre canzoni in un modo che è fuori dal mainstream. Questa nicchia elastica, che si allarga, è, secondo me, l’unica possibile misura del successo di un cantautore.
Dimartino: La gente tende al voyeurismo. Se noi ci separiamo è una notizia. Se facciamo un bel disco, no. È così che le informazioni vengono veicolate: “Colapesce e Dimartino si lasciano”. “Al Bano e Romina si rimettono insieme”.
Colapesce: Sono sintesi eccessive.
Dimartino: Il discorso è, in effetti, più complesso. La migliore notizia possibile per i media sarebbe dire che ci separiamo perché abbiamo litigato. La gente cerca la tragedia, l’orrore. Ma noi non ci stiamo fermando perché abbiamo l’ambizione di fare chissà che. Anzi, sono certo che né io né Lorenzo abbiamo pianificato cosa fare quest’anno.
Colapesce: Zero. Avremmo potuto continuare all’infinito così, perché le richieste erano tante. Ma ci fermiamo per una forma di responsabilità verso il nostro lavoro. Abbiamo bisogno di tempo per studiare e per capire cosa è successo in questi ultimi anni. La nostra vita è cambiata e sono cambiati anche la musica e il modo di fruirla e di promuoverla, ad esempio sui social. Sono elementi con cui un artista deve fare i conti.
In questo ultimo tour avete suonato solo pezzi tratti dai vostri due album scritti insieme, non brani del vostro passato. Avere creato un universo artistico comune, differente dai vostri rispettivi mondi, renderà più facile il percorso in solitaria?
Colapesce: In effetti ci siamo meravigliati di come questo repertorio relativamente piccolo abbia saputo coinvolgere migliaia di persone per 40 date solo quest’estate. Non abbiamo progetti nell’immediato. Abbiamo sempre conservato le nostre individualità, anche lavorando insieme. Antonio ha fatto molto l’autore, io ho scritto delle colonne sonore. Vedremo.
Dimartino: È vero che insieme abbiamo trasmesso un messaggio molto pop, anche perché è passato dal contenitore di Sanremo, soprattutto quello del 2021. Ci stupisce non poco che i ragazzi ci mandino foto in cui sono vestiti da noi, a Carnevale.
Scusate, in che consiste il vestito da Colapesce e Dimartino?
Colapesce: Due persone, di cui una coi baffi e l’altra con la barba.
E che vanno molto d’accordo tra loro.
Dimartino: E che devono dire qualcosa di scazzato. Ecco: hai fatto i personaggi.
Chi era più a suo agio dei due nella dimensione pop? Ad esempio: sul palco di Sanremo?
Dimartino: Sinceramente, nessuno dei due era a suo agio. Nel 2021 venivamo entrambi da un periodo orribile e depressivo. Eravamo pure ingrassati. Siamo arrivati all’Ariston appena usciti di casa.
Dimartino: No agio totale. Ogni tanto, a cena, ricorre il discorso di quanto siamo stati incoscienti, in quell’occasione. Come se fosse una cosa fatta da ragazzini. Ma io avevo già 38 anni e Lorenzo 37. Non eravamo bambini, ma l’abbiamo fatto con quello spirito: «Andiamo a Sanremo con questi vestiti da sposi americani». «Portiamo con noi una pattinatrice».
Colapesce: Come modello di look ci scambiavamo fotogrammi di Miami Vice.
Come li ordini e come poi ti arrivano da Temu.
Dimartino: Esatto.
Colapesce: Avevamo presentato due pezzi ed entrambi avevano convinto il direttore artistico (Amadeus, ndr). Abbiamo fatto la scelta di Musica leggerissima in pieno stile Sliding Doors. Nessuno si sarebbe mai aspettato quel successo.
Musica leggerissima è esplosa come una supernova. Non a caso siete diventati molto radio-attivi. Vi siete mai sentiti un po’ schiacciati dal peso del suo successo e dal modo in cui il pezzo vi legava l’uno all’altro?
Dimartino: Una canzone come Musica leggerissima ti può schiacciare solo se, dopo, provi a rifarla, che è l’errore che fanno in tanti. E non solo nella musica. Facendo battaglie coi discografici, e anche coi nostri parenti, il singolo successivo a Musica leggerissima è stato un pezzo con Ornella Vanoni (Toy Boy, ndr). Abbiamo sempre cercare di sfatare il mito di quel primo Sanremo e penso che ci siamo riusciti. Tant’è che, in questo ultimo tour, Musica leggerissima è stato solo uno dei tanti pezzi e, probabilmente, non quello che il pubblico aspettava di più.
Colapesce: Ce ne accorgiamo banalmente dai tag nei video dai concerti, dove la fanno da padrone Majorana o La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo, che è un pezzo anti-radio di sei minuti e mezzo.
Dimartino: O Ragazzo di destra, cantata come se fosse una hit da stadio.
Nonostante questo, vi pesa sapere che, anche tra trent’anni, ovunque andrete, qualunque mestiere farete, magari con Dimartino Presidente del Consiglio, Colapesce all’opposizione, vedendovi in Senato o al supermercato, qualcuno, da qualche parte, verrà allo scoperto e vi chiederà: «Ci fai Musica leggerissima»?
Colapesce: No, perché siamo contenti del pezzo e ci crediamo ancora. Per me non è mai stato un tormentone estivo. Ne sarei orgoglioso anche tra 200 anni.
Dimartino: Qualche volta immagino davvero di trovarmi in un supermercato del futuro. Sto pagando un’insalata in busta, se ci dovessero essere ancora insalate in busta. La cassiera mi guarda e, senza dire niente, mi fa la mossa (Colapesce e Dimartino si producono all’unisono nella mossa signature del videoclip di Musica leggerissima, muovendo le braccia su e giù a tempo di una una schitarrata immaginaria, nda).
C’è stata mai volta in cui avete pensato, scrivendo insieme, magari senza dirvelo: «Per fortuna c’è Antonio» o «Che cuccagna, c’è Lorenzo», «Io da solo non ce l’avrei fatta»?
Colapesce: Lavorando insieme ci compensiamo tantissimo. Ci sono dei momenti in cui io sono giù di tono ed è molto importante avere accanto una spalla che mi capisca, e penso anche viceversa.
Dimartino: Dividere l’ansia e il peso delle cose è molto importante.
Colapesce: Scrivendo da solista finisci spesso per parlare di una dimensione intima e privata. In due siamo quasi costretti ad avere un altro livello di scrittura.
Dimartino: Per esempio una canzone come Ragazzo di destra ha senso solo cantata a due voci, perché è come se stessimo cantando già il disagio di una comunità, per quanto piccola. Scrivendo insieme viene fuori un noi che ci protegge molto, anche quando i pensieri esposti sono, paradossalmente, personali.
Colapesce: Scrivere una canzone d’amore in due sembrerebbe strano, eppure Rosa e Olindo, partendo da un caso di cronaca giudiziaria, è diventata una vera e propria canzone d’amore.
C’è mai stata una canzone che avreste voluto tenere per voi, invece di condividerla come duo?
Colapesce: In questi anni, mai.
Dimartino: Tutto quello che ci proponiamo viene da un filtro da applichiamo preventivamente e individualmente. Sappiamo cosa può funzionare per Colapesce e Dimartino e cosa può funzionare per ciascuno di noi, a sé.
Se Antonio dovesse sintetizzare Lorenzo con una sola parola, quale sarebbe?
Dimartino: Userei sicuramente la parola sfumature, perché so che Lorenzo ci tiene molto. Paolo Sorrentino in Hanno tutti ragione, se non ricordo male, ha scritto: “Nella vita non conta un cazzo, contano solo le sfumature”. Per Lorenzo le sfumature fanno l’intero.
E viceversa?
Colapesce: Antonio è una persona tranquilla, riflessiva, acuta. Questo gli ha permesso di essere un cantautore d’altri tempi. Io sono l’opposto e la sua tranquillità mi ha permesso di bilanciare il mio carattere. Ho imparato molto da lui e dal suo modo di gestire qualunque problema con l’ottimismo di chi sa che tutto può risolversi. Io tendo ad andare in confusione, perché, come dice Antonio, mi ossessiono sui dettagli.
Dimartino: Questo atteggiamento di Lorenzo lo ha portato a credere molto nella psicoacustica. Cioè nella centralità della psicologia della percezione dei suoni. Oggi si tende a iperprodurre i pezzi e, nello specifico, a iperprodurli tutti allo stesso modo. Ma Lorenzo ha fatto suo e mi ha trasmesso il concetto che il suono di una chitarra, al momento opportuno, può contribuire a fare la differenza tra una canzone e un’altra.
Colapesce: O anche il suono di una parola. Lux Eterna Beach è un disco che tiene conto non solo dei testi ma anche della pronuncia delle parole, addirittura degli ambienti in cui viene prodotta la musica.
Ci sono canzoni del vostro repertorio comune che vi dedichereste a vicenda, e perché?
Colapesce: Dal primo disco sicuramente Majorana, perché descrive perfettamente le nostre radici e perché facciamo questo mestiere.
Dimartino: Dal secondo disco La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo, perché contiene un concetto che ci rappresenta molto. Quando l’abbiamo scritta eravamo in una casa al mare, in Sicilia. Ci sono tanti problemi nel mondo, ma ci sono anche delle cose che accadono, osservando la natura, che ti possono rimettere in pace con te stesso e con gli altri. Io e Lorenzo amiamo molto trovare pace nei paesaggi, nell’idea che la luce possa rasserenare tutti.
Colapesce: Davanti a certe cose tutti si emozionano. Complottisti, star del porno, destra, sinistra.
La cosa più intelligente che abbiate fatto insieme è stata mettervi insieme. Ma la cosa più stupida qual è stata?
Dimartino: Quelle veramente molto stupide non si possono dire in pubblico. Lore’, che abbiamo fatto di stupido?
Colapesce: Ci sto pensando. Qualche minchiata l’abbiamo fatta. Ma, per quanto riguarda le scelte artistiche, siamo contenti. Abbiamo tenuto la barra della lucidità dritta anche nei momenti di massima esposizione, rifiutando proposte assurde.
Dimartino: Devo dire che una volta abbiamo fatto entrambi la pipì nell’acqua di una piscina, un attimo prima che ci entrasse un collega di cui non dirò il nome.
Colapesce: Un collega che ci stava particolarmente sul cazzo.
Se, prima di pubblicare un libro su di voi, uno scrittore vi chiedesse un consiglio su come intitolarlo, che gli rispondereste?
Colapesce: Nessuno avrebbe mai scommesso un euro su di noi.
Dimartino: Concordo totalmente.