Avete presente quando gli speaker delle telecronache calcistiche declamano le formazioni delle nazionali? Ecco, l’effetto che fa leggere la line-up dei Jaded Hearts Club (ex Dr. Pepper’s Jaded Hearts Club Band, in omaggio ai Beatles) è un po’ quello: Matt Bellamy (Muse, al basso), Graham Coxon (Blur, chitarra), Jamie Davis (della label Transcopic, alla chitarra), Nic Cester (Jet, Nic Cester & The Milano Elettrica, alla voce), Miles Kane (Last Shadow Puppets, alla voce) e Sean Payne (Zutons, alla batteria).
Hanno appena pubblicato un disco di sole cover rock’n’roll e soul e intitolato You’ve Always Been Here e noi abbiamo scambiato qualche battuta con Nic Cester, che peraltro vive in Italia da anni. La missione era capire come un numero di galli così esagerato potesse convivere nel medesimo pollaio e perché sei musicisti così pazzeschi abbiano scelto di buttarsi su riletture di pezzi altrui.
Una volta si sarebbe scritto che i Jaded Hearts Club sono un supergruppo. Cosa pensi di questa definizione?
Non ho mai considerato i Jaded Hearts Club in questo modo. Per me, siamo solo un gruppo di amici appassionati di musica. E mi piace che il progetto si fermi a questo, perché non c’è nessuna motivazione sotto, a parte l’amicizia e l’amore comune per la musica. Non c’è un’agenda, non stiamo cercando la fama o l’attenzione di nessuno. È passione pura e basta.
Leggo nella breve bio ufficiale che il progetto è iniziato per suonare delle cover dei Beatles a un party di compleanno…
Il progetto è nato nel garage di mio fratello (Chris Cester, batterista dei Jet e dei DamnDogs, nda) a Los Angeles, dove vive. Lui lì ha il set up perfetto, tutti gli strumenti per suonare. Ha chiamato degli amici, suonavano così per divertimento e a un certo punto è capitata l’occasione di fare un concerto a una festa per il compleanno di Jamie Davis, suonando solo cover dei Beatles. Io allora non ero ancora parte della line-up, sono quello nuovo (ride), però mi piace questo aspetto fluido, perché ci sono tante persone che vanno e vengono nella band, membri che hanno partecipato a certi eventi e poi hanno lasciato il posto ad altri. È tutto sempre in movimento.
Come ti sei unito a loro?
Mi trovavo a Los Angeles per caso e gli altri che in quel momento suonavano insieme hanno saputo che ero in città. Così mi hanno invitato perché dovevano fare un concerto in un piccolo club, così, per divertimento. Avrei dovuto sostituire Miles Kane, che era il frontman di solito, ma in quel momento si trovava a Milano.
Che coincidenza: tu praticamente stai fra Como e Milano di solito.
Esatto: per una sera ci siamo scambiati le vite. Comunque, è stata la mia prima esibizione con il gruppo. Poi ho fatto un altro concerto a Londra, con loro.
Nonostante questa specie di estemporaneità, il progetto ora sembra solido e serio, non siete solo una party band.
Sì, le cose sono diventate più serie quando i Muse hanno deciso di prendersi un anno di pausa. Ecco, in quel momento il progetto ha preso un’altra forma, più definita. L’idea è di fare musica, ma in modo diverso, lontano da quello di Matt coi Muse e da quello che noi – con le altre band – facciamo di solito.
Vivete sparsi fra Europa e Stati Uniti. Come avete registrato l’album?
Per le registrazioni, io l’estate dello scorso anno sono andato a Los Angeles, dove si trovavano praticamente quasi tutti gli altri – anche Graham Coxon, che abitava là all’epoca. L’unico che non era a L.A. era Miles: infatti le sue parti le ha cantate nel suo studio londinese.
Come avete fatto per incidere?
Abbiamo lavorato tutti insieme suonando live in studio, alla vecchia maniera, con qualche sovraincisione, a L.A. Sono tutti musicisti fantastici: stare tutti in una stanza e vedere come lavoravano è stato per me interessantissimo. Nonostante sia amico di Matt Bellamy da oltre 10 anni – ho anche suonato dal vivo coi Muse a Milano – non avevo mai avuto l’opportunità di lavorare con lui. Vederlo all’opera in studio, ma anche vedere Graham Coxon che suonava la chitarra è stata davvero tanta roba.
I pezzi sono tutte cover vintage rock’n’roll e Motown, ma il sound è piuttosto moderno.
Sì, infatti questa secondo me è una cosa interessante del disco: tutti i brani sono cover, ma visto che li abbiamo suonati e registrati nel 2020 ci è venuto in mente che potevamo fare un update a livello di suoni e produzione, usando strumentazione più moderna, con lo scopo di trasportare i pezzi nella nostra epoca. Quindi le chitarre, gli effetti, gli amplificatori… abbiamo usato tante cose moderne che permettono maggiore versatilità, lasciano spaziare di più a livello di suoni.
Immagino il Covid-19 vi abbia penalizzato, come tutti gli altri artisti. Come è la vostra situazione attuale?
Avevamo parecchi concerti programmati quest’anno, per promuovere il disco, ma purtroppo la pandemia ha fatto saltare tutto. Al momento non abbiamo piani alternativi, ma la cosa positiva è che non potendo fare concerti abbiamo già deciso di fare subito un secondo disco, senza aspettare.
Saranno ancora cover?
Non so dirtelo. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme c’era anche l’idea di provare a creare pezzi originali, ma la cosa si è rivelata un po’ troppo difficoltosa. In particolare per Matt: lui all’inizio desiderava ritagliarsi un anno easy, senza impegni e senza avere la pressione di dover scrivere nuova musica. C’è da dire che adesso ci conosciamo tutti molto meglio, siamo più legati e quindi ci sarebbero le condizioni per provare a sperimentare qualcosa di nuovo. Ma onestamente non lo so in questo momento. Sarebbe figo, però.
In effetti è un po’ strano che un gruppo di musicisti come il vostro esegua solo pezzi di altri.
Vedi, in realtà il fatto è che ognuno di noi sta già facendo altre cose con la musica. E il bello di questo progetto è che è nato veramente solo per il piacere di suonare, quindi riproporre pezzi che già esistono è un atto di amore nei confronti della musica. Anzi, a pensarci bene, temo che se facessimo pezzi nostri il mood cambierebbe tantissimo.
Ma le canzoni del disco chi le ha scelte?
Le hanno selezionate Matt e Jamie Davis, l’altro chitarrista. Jamie ha fatto le ricerche sui brani, mentre Matt ha prodotto il disco. Non so come si siano accordati con Miles, ma con me hanno cercato di capire se fossi in grado di cantare i brani che avevano scelto.