Rolling Stone Italia

Nina Nastasia, musica dopo un trauma

Il 26 gennaio 2020 ha lasciato il marito. Il giorno dopo l’uomo si è suicidato. Come sopravvivi a una cosa del genere? La cantautrice ci ha scritto un album tenero e amaro intitolato ‘Riderless Horse’

Foto: Theo Stanley

«Quando Kennan è morto ho vissuto qualcosa di realmente orribile, scioccante. Ma dentro di me è riemerso dell’altro. Era come se avessi questa incredibile fame di scrivere, di creare nuovamente musica e di farlo per me stessa».

Nina Nastasia racconta così il suo momento più difficile, quello che nel gennaio 2020 ha segnato il suo definitivo addio al marito, produttore e musicista Kennan Gudjonsson. Con lui le cose erano pian piano precipitate a causa di un rapporto disfunzionale, in cui l’affetto era diventato dipendenza emotiva e la collaborazione si era tramutata in una gabbia di regole rigide e complicatissime. Poi, il 26 gennaio di quell’anno, Nina Nastasia aveva preso la difficile strada della separazione e il giorno successivo il suo compagno si era tolto la vita, lasciando un vuoto incolmabile ma anche un irreprensibile desiderio di risorgere.

Lo ha fatto con Riderless Horse, il primo disco pubblicato in 12 anni (uscirà il 22 luglio), ma soprattutto un album di struggente sincerità e semplicità, registrato in maniera quasi intima con il solo supporto di una chitarra e della propria voce. Un lavoro differente rispetto a quanto fatto in passato perché, sebbene incentrato su una mirabile formula di songwriting, si lascia alle spalle i violini inquieti e la batteria incalzante in favore di un’atmosfera delicatamente privata. Un cambio di passo che segna quindi una reale ripartenza per quella ragazza che a inizio 2000 aveva sorpreso tutti grazie a una voce talmente bella da risultare classica, così da brillare nel catalogo di etichette blasonate in ambito indipendente come Touch and Go e FatCat. In questo lungo periodo di silenzio, la musica – ora tornata antidoto alla disperazione – era divenuta causa di infelicità e tensione, qualcosa di assolutamente distante dallo spirito e dalle intenzioni della Nastasia. «Prima che incontrassi Kennen facevo musica per puro divertimento, a livello quasi amatoriale. Scrivevo molto, facevo degli show a New York, e quando l’ho conosciuto era una persona intelligente e talentuosa, ma anche molto ambiziosa. Ci siamo innamorati, abbiamo iniziato a lavorare assieme e lui ha deciso di provare a fare le cose in grande».

Musica e vita sono diventate quindi un tutt’uno, quando Nina, Kennan e il loro gatto hanno iniziato a vivere in un monolocale a New York. In quei 25 anni il loro appartamento è stato il luogo in cui le persone hanno condiviso arte e amicizia, finché gli abusi, i controlli e le manipolazioni non hanno preso il sopravvento. Già una crisi professionale si è presentata con l’organizzazione del primo tour, come racconta Nastasia: «Io avrei voluto procedere in maniera più organica, senza correre rischi finanziari, facendo le cose gradualmente, ma tra di noi non c’è mai stato un vero compromesso. Lui aveva questa idea per cui, se fai qualcosa davvero molto bene, non è necessario scendere a compromessi: in qualche modo tutto sarebbe andato per il verso giusto e i soldi sarebbero arrivati. Così, per il primo tour, io sarei voluta andare in giro da sola, ma Kennen pensava che non fossi abbastanza brava… il che era assolutamente vero, ma ritenevo che sarei migliorata col tempo. Invece lui decise che dovevamo avere una band di nove elementi e fare un tour internazionale che ci sarebbe costato 30 mila dollari. Certo, abbiamo lavorato davvero in grande, suonando in posti bellissimi, ma quel tipo di rischio finanziario mi provocava una pressione orribile. Ho attraversato uno stress pazzesco, anche perché tutto doveva essere perfetto, ma io non lo sono per nulla, non sono così perfetta. In questo modo si è accumulata un sacco di rabbia, avevo una continua paura di fallire e il nostro rapporto si è incrinato anche a causa degli abusi verbali».

Con questi trascorsi, la musica per Nina Nastasia era diventata una fonte di afflizione, dovuta alle pressioni, alle paure, ma anche al caos travolgente e alla malattia del compagno. Dopo il 2010, con l’uscita di Outlaster, la cantautrice ha scelto il silenzio, privando gli ascoltatori delle sue composizioni così intense ma anche ricche di aperture melodiose. Ma oltre a Kennan Gudjonsson, il suo percorso di maturazione creativa ha avuto un altro mentore, il produttore Steve Albini, senza dubbio una delle figure più brillanti e autorevoli degli ultimi 30 anni. Oltre ad aver lavorato su migliaia di album, fra cui alcuni capolavori di Nirvana, Pixies, Godspeed You! Black Emperor e PJ Harvey, Albini è noto per la sua capacità di intercettare la carica live come pochi altri al mondo, registrando in presa diretta e donando una dinamica eccezionale a ogni disco.

«Quando io e Kennan abbiamo deciso di registrare il primo album», prosegue Nastasia, «stavamo cercando qualcuno che potesse ricreare il suono dei miei show a New York. Abbiamo pansato a Steve Albini perché registra tutto dal vivo e in analogico. Per fortuna il costo era abbordabile, così abbiamo organizzato una raccolta fondi e realizzato Dogs (il debutto del 2000, nda). Quella è stata la prima esperienza con Steve e in generale la mia prima registrazione di un album, ed è stato fantastico, perché mi sono sentita davvero a mio agio. Inoltre il suo studio è bellissimo, c’è anche una cucina enorme con una macchina per caffè espresso meravigliosa e sia io che Steve amiamo cucinare».

Nel corso degli anni, Albini è diventato sempre più coinvolto nel lavoro di Nina Nastasia, fino ad arrivare al nuovo Riderless Horse, nel quale il confine fra amicizia e professione si è completamente dissolto. «Abbiamo registrato in una specie di torre idrica, un bellissimo edificio circolare a New York che è anche una guest house di proprietà di un mio amico, con una magnifica scala a chiocciola che arriva fino in cima. Abbiamo deciso di registrare tutto in acustico perché Kennan era scomparso da poco e sentivo di voler entrare di nuovo nella musica in maniera graduale. Credo che sia stata Heather (Whinna, nda), la moglie di Steve, a suggerire di fare tutto in una casa. Mi sono davvero appoggiata a Steve e a Greg Norman, abbiamo fatto tutto come tre amici. Abbiamo riso, abbiamo pianto, ci siamo raccontati storie e abbiamo registrato il disco nell’ambiente giusto, ascoltando anche i suoni della natura che abbiamo integrato in alcune tracce».

Riderless Horse è senza dubbio un album di introspezione e riflessione, delusioni strazianti e amore totale, una raccolta in cui la voce delicata e cristallina di Nina Nastasia si accompagna a una chitarra classica e sempre calibratissima. Quattordici tracce di vita, in cui la storia con Kennan Gudjonsson trova uno sviluppo amaro ma anche molto tenero, ma da cui scaturisce anche la forza inarrestabile di una donna alla ricerca di un equilibrio fra l’amor proprio e quello romantico. «Per me è molto difficile parlare di questo disco», spiega Nina. «Penso che Kennan sia sempre stato incline al suicidio. In passato, mentre ero nel Regno Unito per un piccolo tour, aveva minacciato di suicidarsi. Era la prima volta che stavamo lontani e lui l’aveva sentito come un tradimento. Mi disse che dovevo tornare, altrimenti si sarebbe sparato, così io mi assicurai che gli amici e la famiglia lo portassero in un ospedale psichiatrico. Da allora ho sempre avuto paura che, se l’avessi lasciato, lui non sarebbe stato in grado di sopravvivere, ed è esattamente quello che è successo. Quando è accaduto è stato uno shock ed è difficile non sentirsi in colpa. Allora mi sono lanciata di nuovo nella musica, ho scritto la maggior parte dei brani subito dopo la sua morte, ma penso che ce ne fossero alcuni anche più vecchi e incompiuti. In 12 anni scrivevo a singhiozzo, ma in quest’ultimo periodo mi sono sentita davvero libera di essere creativa. E soprattutto non mi importava più se quello che stavo componendo fosse buono oppure no. Questa sensazione è davvero fantastica e il pensiero di essere concentrata solo sul presente è meravigliosamente liberatorio».

Alla fine di Riderless Horse c’è una traccia di 32 secondi intitolata Creek and Chimes, in cui si sente solo il suono dell’acqua che scorre. Ascoltandola, ho pensato a una purificazione catartica da tutto il dolore vissuto in questi anni, a quella necessaria rigenerazione che proprio la musica può aiutare a realizzare. «In realtà stavamo registrando dei suoni assieme a Steve Albini e ho voluto inserire lo scroscio del torrente. Ma adesso che mi hai detto questa cosa penso sia assolutamente corretta e che abbia molto senso, quindi sì. È proprio ciò che volevo ottenere».

Iscriviti