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«Non riesco ancora a spiegarmi la morte di Dolores O’Riordan»

Parla il chitarrista e amico Noel Hogan: «Sapere che non posso più parlarle è lacerante. Ci eravamo appena sentiti, non voleva morire»

Foto: Sergione Infuso/Corbis via Getty Images

Lunedì 15 gennaio 2018 nella vasca da bagno della camera 2005 dell’Hotel Hilton a Park Lane, Londra viene trovata morta annegata Dolores O’Riordan, 46 anni, leader dei Cranberries. Ha il viso rivolto verso il basso ed è intossicata dall’alcol. «Ci eravamo sentiti al telefono, non voleva morire, ne sono certo», dice Noel Hogan, fondatore e chitarrista del gruppo, confermando ancora una volta la tesi del medico legale Shirley Radcliffe che ha stabilito che la cantante non aveva intenzione di suicidarsi e che la morte è stata un tragico incidente.

Noel è cordiale, ma continua a sospirare. Gli chiedo se preferisce parlare prima dei Cranberries o di Dolores, dividendo la band dalla storia personale della sua leader. «Per me è uguale, sono una parte di me, una parte importantissima della mia vita, non è importante da dove iniziare o con chi, decidi tu».

Decido allora di parlare di Dolores O’Riordan e della sua morte: se in quel momento era felice e stava bene, come è stato detto più volte, perché beveva tanto? «Era riuscita a superare tantissimo dolore e i suoi dolori sono noti a tutti (abusi sessuali quand’era piccola da parte di un conoscente, anoressia, instabilità mentale, depressione, divorzio, nda). Prima della morte sembrava felice, nei limiti in cui si può intendere la felicità per una persona come lei. Guardava al futuro, guardava avanti, ne sono certo. Era fragile, questo sì, ma non da arrivare a uccidersi. In quei momenti è difficile capire, non so cosa le sia potuto succedere la sera prima, devo essere onesto».

Il significato della parola fragilità è proprio questo, dal latino fragilis, frangere, la facilità di rompersi o cedere. Ci sono ferite e dolori che non passano mai e queste ferite le ritrovi aperte quando meno te lo aspetti, e prendono le sembianze di altri problemi. «Avevamo scritto un nuovo album e stava costruendo una nuova casa in Irlanda, voleva tornare lì, dove tutto era iniziato, senza più girare il mondo. Era molto legata alla madre e voleva starle accanto. Erano anni che non beveva, fino a quella notte. Aveva ritrovato una sua forma di serenità dopo tutto quello che le era accaduto. Si era messa alle spalle i problemi, ne aveva scritto tanto nell’ultimo album». I due non si vedevano da mesi. «C’eravamo sentiti spesso, ma solo al telefono. L’ultima volta che l’ho incontrata è stato a novembre per organizzare e discutere cose di lavoro, tour, album».

Non dovrei, ma gli dico che anche se quello è stato un incidente forse prima o poi sarebbe successo lo stesso, perché la fragilità è qualcosa di enorme da gestire e quando perdi amore e protezione, perdi un pezzo di te e diventi sempre più fragile. Protezione che è venuta a mancarle anche in quella che poteva essere la sua unica salvezza, ovvero la musica. Il mondo della musica l’ha divorata, la fama ha riaperto ferite mai chiuse, evidentemente.

«Nei primi tempi siamo finiti in un vortice di popolarità. Eravamo giovani e inesperti. A quei tempi non avevamo una vita al di fuori della band, però potevamo sempre scomparire nelle nostre famiglie. Lei no. Tutta l’attenzione era su di lei. Per Dolores è stata durissima. Era la leader del gruppo, una donna, i media volevano parlare sempre con lei, tornava a casa e non poteva uscire, la gente la fermava ovunque. Per questo motivo è andata a vivere a Toronto per tanto tempo in una sorta di bosco dove poteva fare le sue lunghe passeggiate e questo la rilassava molto. Gestire la fama è stato per lei qualcosa di enorme, non aveva tregua. Ma lì era tornata ad avere una vita normale. Poi, sai, le sono successe cose che hanno riacutizzato la sua fragilità, ha divorziato dopo 20 anni di matrimonio».

«Né come band, né come amici potevamo fare niente per proteggerla, ma c’eravamo sempre quando voleva. Ci siamo sempre stati. Non ho rimpianti, so di aver fatto tutto e so di esserci sempre stato se è questo che vuoi sapere. Dolores è parte di me, come lo è sempre stata».

Hogan la ricorda spesso sul suo profilo Instagram. Che cosa le manca di lei? «La sua morte per me è un mix di emozioni che ancora non riesco a spiegare. Riesco solo a ricordarla. Postando le foto e rievocando i momenti che abbiamo vissuto, il tempo migliore della nostra vita, riesco a vederla. La tengo accanto a me, come è sempre stata. Non so cosa altro fare. Mi mancano le nostre lunghe conversazioni al telefono, mi mancano i nostri scritti, mi manca parlare dei nostri problemi. Sapere che dall’altra parte non c’è nessuno è lacerante. Solo con il tempo credo che riuscirò ad accettarlo, o almeno così dicono». Che rapporto aveva Dolores con la morte? «Era molto religiosa, molto. Non era una cosa di cui parlavamo spesso, quello che so per certo è che la sua fede era totale, credeva in Dio, credeva nel paradiso, credeva nella forza della fede, qualcosa che la ha accompagnata dall’inizio fino alla fine e anche oltre».

Foto: Andy Earl

I Queen hanno continuato a esibirsi con altri cantanti, e stiamo parlando di un gruppo guidato dalla figura e dalla voce insostituibile di Freddie Mercury. Perché i Cranberries non hanno pensato di sostituire Dolores? Hogan sospira: «Non ne abbiamo mai parlato. Una voce così forte dal punto di vista espressivo veniva da un corpo tanto minuto. La sua voce era la forza che non aveva trovato altrove. Io e lei scrivevamo le canzoni insieme, non potrei sostituire il nostro modo di comporre o di stare assieme. Lavorare all’ultimo album senza di lei (In the End del 2019, ndr) è stata l’esperienza peggiore dopo la sua morte. È stato terribile entrare in studio e non vederla arrivare e poi risentire la sua voce registrata. Non voglio rivivere più quella sensazione di assenza. I Cranberries esistevano perché esisteva Dolores».

La sua fragilità era in un certo senso la forza dei Cranberries. «Sì. Lei ha sempre scritto quello che le accadeva nella vita. Dolores era tutta nelle canzoni, tutti i suoi dolori. Come molti grandi artisti, la sua vita turbolenta, la sua fragilità è stata la fonte della sua originalità». Niente litigi? «Certo, come in tutte le famiglie. Eravamo quattro individui con personalità diverse. Stavamo insieme talmente tanto tempo in tour lunghissimi che a un certo punto è necessario separarsi. In quei momenti avevamo piccole discussioni, anche per cose banali, come tra fratelli. Le persone che ci creavano problemi erano al di fuori della band, ma li abbiamo sempre superati».

Dopo la morte della cantante Hogan è finito sotto una cappa di vetro. «Ero scioccato, non ci potevo credere. Non volevo parlare con nessuno. Mi sono chiuso in me stesso. Non ero preparato. Non uscivo di casa. Per tanto tempo ho avuto il vuoto in testa».

Hogan non ha saputo della versione di Zombie di Miley Cyrus fino alla mattina in cui è uscita e gli amici hanno cominciato a scrivergli. «Credo abbia fatto un lavoro pazzesco, è stata molto brava. Sai, ho sentito tante versioni di Zombie, alcune veramente brutte (sorride). Credo che la sua sia la migliore versione che ho sentito, ha tirato fuori quello che la canzone è. Straordinaria». La versione di Miley Cyrus è pazzesca, ma Dolores è un altro mondo. Noel sospira ancora e sorride malinconico mentre ripete che «sì, Dolores era un altro mondo, il suo mondo».

Come scrive il poeta degli addii Alfonso Gatto in Cenere, quello che non sappiamo, come il freddo, come la neve, scende sulle tombe. E il mondo di Dolores e i dolori che da anni si portava dentro, per quanto fossero finiti sui tabloid come avviene alle rockstar, rimangono chiusi in quella stanza d’albergo.

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