Più o meno tre anni fa, un amico di Dave Grohl che fa il distributore cinematografico era a un meeting con «un grosso studio». Quando è venuto fuori il nome del musicista, i tipi dello studio hanno buttato lì un’idea assurda: un film horror coi Foo Fighters. La risposta del frontman? «Ho detto che era la cosa più stupida che avessi sentito in vita mia».
L’idea, però, continuava a venire fuori e così Grohl ha immaginato una storia in cui la band registra un disco in una casa dove un cantante impazzisce, ammazza i musicisti della sua band per colpa di divergenze creative e si suicida. È Studio 666, una horror comedy piena di gore e con un cast che oltre alla band prevede Will Forte, Whitney Cummings, Jeff Garlin e Jenna Ortega. Diretto da BJ McDonnell, il film è in uscita negli Stati Uniti a fine mese.
I Foo hanno mantenuto il segreto per quasi due anni e mezzo. L’hanno girato in una casa di Encino dopo aver chiuso le registrazioni del loro ultimo album Medicine at Midnight. «Mica volevamo fare Il petroliere», dice Grohl in collegamento su Zoom. Al contrario, immaginatevi una via di mezzo tra Amityville Horror e La casa, con in più un sacco di battute su masturbazione e sesso tra anziani, un procione sbudellato, un Lionel Richie infuriato e Dave Grohl che uccide i compagni della band uno per volta, spesso usando come arma i loro stessi strumenti.
Di solito non comincio le interviste coi complimenti, ma visto che tutti si faranno qualche domanda a proposito dell’horror dei Foo Fighters, sappi che non mi aspettavo di vedere un bel film.
Guarda, neanche noi. Quando Pat Smear l’ha visto per la prima volta ha detto: «Oddio, abbiamo fatto un vero film». E io gli ho risposto: perché, che cazzo credi abbiamo fatto negli ultimi quattro mesi? Amo i film horror. Sono cresciuto a Washington D.C. e quindi ero ossessionato dall’Esorcista. Non solo perché è stato girato lì, ma perché le scale del film sono nello stesso posto in cui i punk andavano a sbronzarsi nel weekend. Lì vicino c’era un negozio che vendeva alcolici anche se avevi 11 anni.
L’idea è nata dopo le session del disco?
In principio volevo un posto dove stare da solo e registrare le demo, una cosa che faccio spesso. Mi sono messo a cercare una casa nella zona di Encino – vivo lì – per allestire uno studio temporaneo, scrivere tutto il giorno con batteria, chitarre, i vari strumenti. Poi ho ricevuto una mail da un tizio da cui ho preso in affitto una casa dieci anni fa. Diceva: «Ehi, se sei interessato potrei vendere parte di quella proprietà». È scattato qualcosa. Non volevo comprare, ma andarci a fare le demo sì. Poi è lì che abbiamo girato il film. Mi sono trasferito e ho iniziato a registrare tutte le canzoni per Medicine at Midnight da solo, era un po’ inquietante.
Così ho pensato che potevamo esplorare il lato divertente dei Foo Fighters. Ci è sempre piaciuto fare video e documentari, non ci siamo mai limitati a fare concerti. Così ho pensato all’idea del film: e se raccontassimo la storia di una band alla ricerca di un posto mistico che ispiri un disco?
Mentre facevo le demo, giravo le registrazioni al nostro produttore Greg Kurstin. «Ma dove stai registrando? Suonano benissimo», mi diceva. E io: sto in una casa dove abitavo un po’ di tempo fa. «Perché allora non fate il disco lì?». Ci siamo trasferiti e abbiamo iniziato a girare. Con la band abbiamo iniziato a parlare di quest’idea assurda [del film horror] arricchendola di particolari spassosi. È così che il film si è trasformato da un progetto low budget da girare in un paio di settimane a una cosa hollywoodiana con un finanziamento milionario.
Nella tua biografia The Storyteller racconti di aver incontrato un fantasma a Seattle. C’entra qualcosa col film?
Ok, allora: ho abitato in quella casa di Encino dieci anni fa e c’erano alcune persone convinte che fosse infestata da un fantasma. Io avevo già vissuto in una casa infestata a Seattle e fino a quel momento non provavo alcun interesse per le robe paranormali, ufo a parte. Ma sono ancora convinto che non fossi solo a Seattle. E quando ero a registrare le demo per il disco, da solo in quella villa gigantesca e scricchiolante, mi sembrava spaventoso. È così che è nata l’idea del film, oltre al fatto di avere quella casa vuota a disposizione. Ho pensato: fanculo, a questo punto facciamo un horror.
La tua nota ossessione per X-Files è stata d’ispirazione?
Beh, quello ha a che fare più con gli ufo. Da ragazzino ne ero ossessionato. Alle medie ho convinto gli amici che facevo parte del Project Blue Book, andavo a ispezionare i loro giardini in cerca di segni tipo cerchi nel grano.
Nella band non ci sono attori professionisti. È stato difficile convincerli a provare a recitare?
Siamo arrivati a un punto in cui non c’è niente che ci va di tentare. Recitare non è stata una sorpresa per nessuno. All’inizio ci siamo messi a parlare di chi sarebbe stato ucciso e come, chi avrebbe fatto il killer eccetera. Ne parlavamo a cena, bevevamo vino e analizzavamo tutte le possibilità. Credo che nessuno abbia realizzato che si stava facendo sul serio finché non siamo arrivati alla lettura del copione e abbiamo visto le battute sulla sceneggiatura. È stata una bella sveglia.
Ma vi siete preparati in qualche modo? Avete studiato qualche film horror o recitazione?
No, non mi preparo mai. Neanche per i concerti. Non suono senza gli amici. Non faccio le prove per un film. Avevamo appena finito il disco e c’erano poche settimane per trasformare la casa da studio di registrazione a set per il film, ci siamo buttati a capofitto.
Con noi c’era un attore, Jimmi [Simpson, da Westworld e C’è sempre il sole a Philadelphia], era lì per rispondere alle nostre domande o per spiegarci come essere i Foo Fighters sul set.
Tu hai già avuto un bel po’ di esperienze.
Sì, ma non guardo tanti film o la tv come Leslie Grossman (anche lui nel cast di Studio 666, nda). Non ho mai visto American Horror Story. Mai. Mi sembravano solo tutti amici.
Come descriveresti il film in una sola frase?
Dio, sono terribile a… Senti, sono uno che non sta mai zitto. Non riesco proprio a dirlo in una sola frase. Impossibile.
Non c’è un elevator pitch di Dave Grohl?
Non ne sono capace. Quindi no. In questo film ci sono un sacco di cliché dell’horror. È un po’ Shining, un po’ Amityville Horror, un po’ La casa.
E poi c’è la tradizione dei film delle band che è un po’ sparita: A Hard Day’s Night, Rock’n’Roll High School, Kiss Meets the Phantom of the Park, anche il film delle Spice Girls. Mica volevamo girare Il petroliere. Volevamo divertirci e seguire quella tradizione rock. Quando mi chiedono quale sia il mio horror con una band preferito, dico sempre che è il documentario Dig! sui Dandy Warhols e i Brian Jonestown Massacre, è il film più terrificante che abbia mai visto. Quasi al livello dell’Esorcista.
Avete chiuso le riprese con l’inizio della pandemia, mancavano solo sei giorni. L’idea originale era far uscire il film insieme al disco?
Ti dirò qual era il piano, finalmente, tengo questa cosa segreta da troppo tempo. Vai a riguardare le prime interviste sul disco, parlavamo di registrare in una casa infestata. Volevamo fare una mossa alla Blair Witch, raccontare una serie di stronzate su strumenti che si scordano, voci misteriose su Pro Tools e tutto il resto. Volevamo esagerare la cosa e poi far uscire il film a sorpresa.
Hai una piccola carriera da attore, dal cameo in X-Files al ruolo nel film dei Tenacious D, più varie serie tv. Ti piacerebbe farlo più spesso?
Ti dico cosa non mi piacerebbe fare: stare seduto a fissare il set per sette ore e poi recitare per 25 secondi. Non fa per me. Fare l’attore… non so, non credo di avere la pazienza. Soffro di ADD, i miei amici lo chiamano Advance Dave Disorder. Non riesco a stare seduto per più di dieci secondi. Detto questo, è stato divertente fare il film coi miei amici. Non credo che nessuno abbia coinvolto il suo agente. Mandavamo messaggi alla gente che conosciamo: ci fai un favore e vieni a fare il nostro stupido film?
Parli spesso di cameratismo. Un set cinematografico è uno degli esempi migliori.
Ricordo bene l’ultima sera delle riprese. Nessuno aveva pensato di organizzare una festa, così ho detto: ok, abbiamo finito, chi vuole una birra? Sono saltato sul pick-up per andare a comprare da bere, ma il negozio era chiuso. Sono tornato a casa, ho saccheggiato il mio armadietto dei liquori e preso tutta la birra del frigo. Abbiamo passato la serata così.
La pagina Twitter del film dice che ha contribuito anche John Carpenter. Che cosa ha fatto?
Oh dio, che cosa fantastica. Quasi me la dimenticavo. Assurdo. Il tipo delle luci, Dan Hadley, è andato in tour con John Carpenter e Daniel Davies, il figlio di Dave Davies dei Kinks che suona nella band di John, è cresciuto con lui. Così Dan mi ha proposto di mandargli una mail e chiedergli di fare un cameo. Gli ho scritto: «Ciao, sono Dave e suono in una band che si chiama Foo Fighters, stiamo girando un film horror. Ci piacerebbe che tu facessi un cameo». La sua risposta: «Ciao Dave, 15 anni fa hai portato la band di mio figlio in tour e li avete trattati molto bene. Per questo parteciperò al tuo film e scriverò anche il tema della colonna sonora».
Ecco come convincerete i nerd dell’horror!
È esattamente quello che ho pensato. L’ho detto a tutti: il suo dovrebbe essere il nome più grosso sulla locandina.
L’ultima volta che abbiamo parlato hai detto che quando pubblichi un disco non ti preoccupi delle critiche. Vale lo stesso anche per i film?
Dici le reazioni dei ragazzini su YouTube?
Pensavo più a cose come Rotten Tomatoes o le recensioni della critica…
No, onestamente non mi preoccupano. Spero che i fan dei Foo Fighters e gli appassionati di cinema horror passino una bella serata. Non aspiro a far parte degli EGOT.
Però ormai sei quasi a metà, no?
Mi mancano l’Oscar e il Tony. Ho una grande idea per i Tony: farò uno one-man show a Broadway, lo vincerò così. E poi farò un musical su Sound City. Così ne vincerò un altro (ride).
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.