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Olivia Rodrigo: «Rischi di andare fuori di testa quando ti esibisci tutte le sere per mesi»

Reduce dal tour mondiale, la popstar parla del film-concerto su Netflix ‘Guts World Tour’, della fine di un’era, della solitudine che si prova on the road, della necessità di fare terapia, dell’adorazione per le riot grrls

Foto: Nick Walker

Olivia Rodrigo è tornata a casa. Ha passato buona parte dell’anno in giro per il mondo, doveva rallentare. «Sono malaticcia», dice tra un colpo di tosse e l’altro. Del resto una pausa la merita. Il tour mondiale legato al secondo album Guts è stato il suo più grande, in tutti i sensi. Si è esibita per la prima volta nei palasport ed è andata in Asia e Australia dove non era mai stata prima. Ha fatto 95 concerti di fronte a un milione e 400 mila persone, per un incasso lordo di oltre 172 milioni di euro, il più alto mai realizzato da un’artista nata in questo secolo.

Per festeggiare la fine del tour (o quasi, visto che sono previste date in Sud America e Inghilterra tra la primavera e l’estate del 2025), Rodrigo ha fatto uscire su Netflix il film-concerto Guts World Tour filmato ad agosto all’Intuit Dome di Los Angeles.

Cos’hai fatto da quando sei tornata dall’Australia?
Ho visto gli amici, mi sono mancati, stando sempre in giro ci si può sentire soli. E quindi amici, famigliari, giri in auto. Tutti dicono quant’è bello dormire nel tuo letto dopo un po’ che sei fuori, ma anche tornare dietro il volante della tua macchina non è male.

È stato il tuo primo tour mondiale. Pro e contro?
Sono stata in un sacco di posti che avevo solo sognato, in Asia e in Europa. Ho visto il mondo, mi sono fatta una cultura, mi sono divertita. Ma stando sul palco una sera dopo l’altra per mesi e mesi ne risentono il fisico e la mente. Puoi andare fuori di testa se non ti sforzi di tenere i piedi per terra, parlare con la gente, chiamare il terapista, assicurarti di tenere sotto controllo la salute mentale. Ci sono stati giorni migliori e giorni peggiori, ma sono felice d’averlo fatto. Grazie a questa esperienza adesso mi sento più forte. E grata.

Come hai fatto a prenderti cura di te on the road?
Guardavo Sex and the City ogni giorno. Non è un’esagerazione, era il mio comfort show. Ho letto parecchio, ho cercato di imparare nuove cose. Ho tenuto in esercizio corpo e mente. Un concerto mette a dura prova il fisico, l’esercizio aiuta a restare centrati.

Nel pezzo di Billboard sul tour uno dei tuoi manager dice che il tuo successo è tale che persino i palasport non possono contenere tutto il pubblico. Farai gli stadi la prossima volta?
Non ho ancora deciso. È pazzesco che ci sia stata una tale richiesta di biglietti da fare gli stadi, non me ne capacito ancora. Il posto più grande dove ho suonato è stato nelle Filippine, c’erano 55 mila persone, ma non era uno stadio, era un po’ più piccolo, ma è stata un’esperienza completamente diversa. E insomma, non lo so ancora, fare i palazzetti mi è piaciuto parecchio. C’è un grado sufficiente d’intimità che ti permette di vedere le persone, ma allo stesso tempo c’è la grande energia che nasce quando un sacco di gente è riunita nello stesso spazio. Ma non precludo alcunché, è tutto eccitante.

Il film permette di vedere tutto questo anche a chi non ti ha seguita dal vivo. Era un tuo desiderio filmare i concerti a casa tua, a Los Angeles?
Sì, ma allo stesso tempo la cosa mi innervosiva. In posti come Los Angeles e New York ci sono i miei amici e sapere che ci sono le videocamere mi rende ancora più nervosa. Ma non avrei potuto farlo altrove, ho un rapporto speciale con Los Angeles, è il luogo che m’ha ispirata.

Hai registrato Guts pensando al concerto, stavi preparando da un pezzo lo show. Quali sono gli aspetti che ti inorgogliscono di più?
Mettere in piedi lo spettacolo è stato pazzesco. Un giorno immagini che ci sia una Luna sul palco, il giorno dopo ti presenti ed ecco una gigantesca Luna argentata su cui puoi sederti. È un esercizio creativo pazzesco. Sono parecchio orgogliosa dell’interazione coi fan, chi stava in platea si sentiva parte dell’esperienza, si urlava tutti assieme, ci si sentiva tutti coinvolti. È una cosa mi inorgoglisce, questa e il lato rock. Era la mia versione di un concerto rock, tutta roba divertente da rivedere nel film.

Ci sono concerti rock o film-concerto che ti hanno ispirata?
Sono cresciuta col rock, in particolare con le band femminili, le riot grrl. Mi piacevano Hole, Sleater-Kinney, L7, Babes in Toyland. M’hanno ispirata a portare sul palco una band tutta femminile. Ecco, sul palco c’è questo elemento femminile anche se suoniamo power chords e gridiamo come matte. Ci divertiamo.

Ad aprire per te a New York e Los Angeles c’erano le Breeders.
Che figata. Sono cresciuta ascoltando i loro dischi, la loro Cannonball mi ha cambiato la vita in quanto autrice di canzoni. Qualcuno l’ha buttata lì: perché non chiami loro ad aprire? Avevo paura a chiederlo. E invece sono venute, sono gentili, meravigliose, musiciste brillanti. Sono contenta che siano piaciute anche al pubblico.

Sai che sul palco, nel film, ho rivisto in te un po’ di Gwen Stefani dei tempi dei No Doubt? Sei salita sul palco con loro ad aprile al Coachella, c’è qualcosa di Gwen che t’ha colpita?
Oh mio Dio, la adoro. È una fonte di ispirazione, sia come autrice che come creativa. Non so se rispondo alla tua domanda, ma al Coachella m’ha colpito quant’è in forma. Era ed è ancora la più in forma che abbia visto. Al Coachella ha scalato l’impianto luci, saltellava in giro. Fa le flessioni durante il concerto. La guardavo e pensavo: mi sa che devo andare in palestra più spesso. È epica e potente.

Qual è stata la tua canzone più divertente da cantare?
Non vedevo l’ora di fare Obsessed. E dire che abbiamo iniziato il tour che non la facevamo, abbiamo iniziato a metà cammino. La gente ci impazziva e non me l’aspettavo perché è un pezzo della deluxe.

Mentre eri in tour sei riuscita a scrivere canzoni o eri totalmente immersa nell’universo di Guts?
Tutt’e due le cose. Non è facile scrivere quando sei sballonzolata da una parte all’altra, quando non ti sembra di avere radici, ma qualcuna l’ho scritta. Comporre è anche un modo per curare sé stessi, è come scrivere un diario o andare in terapia. Fa sembrare ogni cosa meno opprimente. Quindi sì, ho scritto qualche pezzo, più che altro per me stessa. Ma in fondo è così che nascono le belle canzoni.

Il film chiude ufficialmente l’era di Guts?
Direi proprio di sì. L’ho proprio amata quest’era. È stato uno spasso crearla e condividerla coi fan, sono grata per il loro supporto. Ho sentito tanta pressione quando s’è trattato di fare un disco all’altezza di Sour, non è stato facile. Sono orgogliosa dell’album, degli stili musicali che abbiamo esplorato, dei testi. Il fatto che la gente lo abbia accolto in questa maniera significa molto per me. Ora voglio prendermi una pausa, mi eccita pensare a quel che verrà.

Da Rolling Stone US.

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