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Andrea Poggio: «Le radio non sono cambiate, siamo cambiati noi»

Dopo 4 lunghi anni di lavoro, l'ex Green Like July finalmente si può gustare il momento più bello dell'essere artista: il tour
Ph: Miro Zagnoli

Ph: Miro Zagnoli

Solo ora per Andrea Poggio viene il bello. Sono passati quattro anni dall’inizio dei lavori di Controluce. Quattro lunghi anni in cui il musicista e avvocato milanese si è diviso fra scrittura brani, cause di lavoro, registrazioni, ricorsi, mixaggio, consulenze legali.

Poi finalmente a novembre arriva Controluce, stravolgendo un po’ l’ordine naturale del manierismo indie con i suoi arrangiamenti eccentrici—ora scarni, ora ricchissimi, dove spesso le voci assumono forme insolite—e forse lasciando trasparire fra le righe che si può ancora essere originali nell’era del post-tutto.

Ma solo ora, dicevamo, per Andrea viene il momento di divertirsi. Il Controluce tour non gli servirà soltanto da sfogo dopo decine di mesi passati a cesellare finemente il suo primo disco solista dopo la lunga avventura con i Green Like July. Gli farà anche da reminder per ricordargli che, sì, la toga potrà sicuramente dare soddisfazioni, però cantare “Salsedine / Cloro / Distese di aranci e pineti” davanti a un pubblico euforico che batte le mani sui quarti di Mediterraneo, è tutto un altro campionato di emozioni.

Arrivi diretto da lavoro?
Sì, è un periodo bello indaffarato. Fra partenza del tour e faccende di lavoro sono stato messo a dura prova.

Allora è proprio vero che fai l’avvocato.
Purtroppo sì.

Come “purtroppo”?
No, non è una cosa che dico soltanto per raccontare leggende, come Mark Bolan. Lo dico scherzando. Mi occupo di musica, quindi lavoro prevalentemente con gente che sia io che te conosciamo bene. Ho lavorato per anni nell’ufficio legale di MTV Italia. Da lì poi sono andato via, perché l’unico modo per conciliare le due cose – suonare e fare l’avvocato – era di farmele per conto mio. Questa scelta ha dato vita a una figura professionale bastarda, meticcia.

Quindi ti occupi anche di cause di plagio. Che ne pensi di quello fra i Radiohead e Lana del Rey?
Quello mi sembra un caso di plagio abbastanza evidente. A parte che poi bisogna sempre convincere il giudice, eh.

Sì, però i Radiohead a loro volta avevano “preso spunto” da un pezzo degli Hollies. Però gli Hollies erano stati decisamente più clementi di come sono stati Yorke e banda con Lana.
A livello pratico, in genere si procede per gradi. Sicuramente, il management dei Radiohead ha contattato quello della Del Rey e gli dice: “questa è la situazione, i miei pezzi sono questi e quest’altro il vostro. Che vogliamo fare?” Così si cerca una transazione amichevole. Se questa cosa non dovesse avvenire, allora si ricorre al giudice. A meno che i Radiohead non siano dei pezzi di merda assoluti.

A me stanno un po’ sulle palle. Bei dischi, eh, ma un po’ meno.
Sono d’accordo. Comunque il pezzo di Lana del Rey è abbastanza un plagio. E poi non aver mai sentito Creep è davvero difficile.

Come si svolge la tua giornata tipo? Voglio capire come uno possa fare l’artista e l’avvocato senza impazzire.
Se sono in fase di scrittura dei brani, divido la settimana in due. Questa cosa non è sempre fattibile. Quindi devo far torto a un lavoro o all’altro. Sono una persona con un forte senso del dovere, quindi magari riesco a schivare i clienti per un po’. Ma poi devo cedere e torno a essere un avvocato. A volte succede che mi tengo dei mesi interi per scrivere, a volte invece li dedico alla legge. Oggi per esempio sto facendo entrambe le cose.

Come mai è finita con il tuo precedente gruppo?
I Green Like July erano un gruppo che aveva una certa età. In un certo senso quindi sentivo che avessero detto tutto ciò che avevano da dire. E che—pecco un po’ di presunzione ma in realtà faccio riferimento alla nostra esperienza—erano arrivati a chiudere bene il loro piccolo cerchio con Build A Fire. Da un punto di vista musicale non mi sentivo più di attingere da quella cosa, da quei riferimenti. Dovevo voltare pagina dal punto di vista musicale e in più si era incrinato un po’ il rapporto con la label inglese. Forse i Green Like July erano un gruppo soprattutto per me, nel senso che portavo io tutte le canzoni. L’unica differenza fra allora e adesso è che una volta il processo creativo era caratterizzato da un continuo incontro in sala prove, un dibattito interno. Quindi l’arrangiamento dei brani era in qualche modo più rock, perché si partiva sempre da una batteria e un basso e da lì si costruiva tutto. Ora non ho più un metodo fisso, mi sono completamente sganciato dalle dinamiche di una band. Non tornerei mai indietro.

E poi, ora la musica in italiano è tornata a essere la regola.
Ecco, altro motivo che spiega la fine dei Green Like July. Si era un po’ incrinato il mio rapporto con la lingua inglese. Sentivo che non riuscivo più a esprimere in quella lingua ciò che avevo in testa. In più, sì, avevamo un minimo di seguito all’estero ma non abbiamo mai spinto il gruppo quando era il momento di farlo. Ora guardo a quel periodo con molta tenerezza.

Di che anno sei tu?
Sono dell’82. Quindi in quel periodo, i primi duemila, ero appena ventenne. La band è nata in un contesto in cui, certo, andava molto l’indie folk, l’affermazione dell’alt country americano..

E andava di moda anche una certa esterofilia.
Assolutamente, cosa che però ho conservato. O meglio, non esterofilia nel senso vero, ma ascolto molta più roba straniera che italiana.

Se però devo essere sincero, il tuo disco trasuda Battiato da tutti i pori.
Sorprendentemente non ho ascoltato molto Battiato nella vita, però mi piace tantissimo. Divido gli ascolti in quelli che fai nell’età adolescenziale o post-adolescenziale e quelli che invece fai in un’epoca più matura. Quindi, che fai con un approccio differente e, ahimè, in cui è più difficile innamorarsi e perdere la testa. Nonostante i dischi di Battiato siano sempre girati sempre in casa mia da piccolo – La voce del padrone, eccetera –, li ho poi riscoperti in età recente. Comunque il paragone mi lusinga.

Questa esterofilia spiega anche la scelta di registrare il disco fra Milano e New York?
È stata una scelta forzata. Nel senso che io ed Enrico Gabrielli (Calibro 35, ndr) avevamo iniziato nel 2016 a lavorare sugli arrangiamenti di questo disco come già avevamo fatto per l’ultimo disco dei Green Like July. Con lui ci stavamo interrogando su chi fosse la persona più adatta per registrare le canzoni. Sia io che lui eravamo rimasti molto colpiti dal lavoro fatto da un produttore statunitense, Eli Crews, su due dischi di tUnE-yArDs. Quindi abbiamo deciso di coinvolgerlo. Era molto contento di registrare una parte del disco in Italia, però ci ha anche detto che per la seconda parte saremmo dovuti andare noi da lui, a New York. È un disco che ha avuto una gestazione molto lunga.

Sempre per via del tuo lavoro?
No, è che sono una persona maniacalmente perfezionista. Volevo procedere in maniera totalmente diversa da come ho sempre fatto con la band. Con i Green Like July mi prendevo magari un mese di tempo per registrare tutto il disco. Un solo mese e il disco prendeva già forma. Questa cosa porta molti vantaggi ma che ho pensato non fosse adatta per un disco come Controluce, un disco che ha troppe tracce e cesellature. Quindi ci siamo presi aprile e maggio 2017 per registrare solo le basi strumentali, poi abbiamo registrato le voci in Italia—un mese di follia in cui mi è stata un’utile compagna di viaggio Adele Nigro [Any Other, ndr]—e poi sono stato per un altro mese a NYC per finire le registrazioni e mixare il disco. Per scrivere il disco ci ho messo 3/4 anni, per concretizzarlo più o meno 6 mesi.

Questo periodo di inattività dai palchi come l’hai vissuto?
In realtà non l’ho vissuto male. Però ora come ora muoio dalla voglia di tornare a suonare, anche perché sto cominciando a perdere il senso di ciò che faccio. Ormai sono 4 anni che in un modo nell’altro aspetto, però penso che a ogni fase si debba dare il giusto tempo. Con i Green Like July eravamo arrivati a fare anche un centinaio di concerti all’anno, tutti in Italia. Non ne potevamo più, cioè erano decisamente troppi. Quella situazione ha fatto sì che sentissi il bisogno di staccare un po’, di prendermi una pausa dai palchi.

E ora come pensi di strutturare il nuovo live?
Sicuramente sarà molto meno rock rispetto ai live a cui ho abituato il mio pubblico in passato. È un’esibizione che porterò in giro con questa figura, un produttore e sound deisgner che si chiama Gak Sato e che suonerà tastiere e theremin. Più la violinista Yoko Morimyo e Caterina Sforza, che mi aiuterà a riprodurre dal vivo questi ensemble di voci. Molte parti delle tracce, come le parti orchestrali più complesse, saranno ovviamente mandate in base dal vivo.

Com’è giusto che sia in questo secolo.
Sono anche io di quest’idea. Lo dico con un po’ di diffidenza perché ho sempre gravitato attorno a un mondo dove le basi e l’elettronica venivano viste di cattivo occhio, quasi con disprezzo. Però sono convinto che si debba parlare con il linguaggio e i mezzi dei propri tempi. Verrà fuori un live che sarà un misto di cose.



Inizi questa settimana con i live, ma è quasi un peccato non partire con la bella stagione. In fondo, è un disco molto estivo.
Me lo dicono in tanti e anche io ne sono convinto. Sono anche dell’idea che, però, uscire con il disco in autunno sia stata una buona mossa. È un disco che necessita di un po’ di gestione, deve essere lasciato un po’ decantare. Quando Controluce riuscirà a esprimersi nella sua totalità, allora fidati che sarà estate.

È una scommessa?
È una scommessa.

Ci vedi anche delle potenzialità radiofoniche?
Sai, le radio fanno parte di un discorso che non ho mai capito e di cui forse non mi sono mai curato troppo. Ho già tanti problemi, se mi pongo anche l’obbiettivo di scrivere hit radiofoniche, allora non è vita. Però ora come ora la radio potrebbe tranquillamente avere spazio per questo disco, secondo me.

Anche perché molti dei tuoi colleghi hanno spianato un po’ la strada.
Sì, vero. Però è un momento strano, perché – e qua ti faccio questa affermazione sotto forma di domanda – è vero che molti miei colleghi hanno spianato un po’ la strada, ma siamo proprio convinti che le radio si siano aperte al mondo dell’indipendente?

Ho capito cosa intendi.
È vero secondo me il contrario: cioè che molti miei colleghi abbiano iniziato a scrivere pezzi che da 30 anni a questa parte passano regolarmente in radio. Quindi, quando mi dicono che le radio si sono aperte finalmente all’indipendente, a me un po’ viene da sorridere. Perché se accendo la radio in macchina non mi sembra che partano i Fugazi o Joanna Newsom. Quello che ascolto è la solita radio. Ciò che succede ogni tanto è che qualche mio collega faccia incursioni in radio perché ha iniziato a produrre dischi molto appetibili per quell’ambiente. Senza nessuna critica, eh. È una constatazione.

Sì è come se qualcuno, non facciamo nomi, stesse riproponendo il Battisti e il Venditti degli anni Ottanta.
Peraltro, con difficoltà di quel Battisti di passare in radio e una estrema facilità di Venditti di essere passato. Mi sembra che le cose non siano cambiate. In Italia sono 30/35 anni o giù di lì che in radio si sentono cose molto simili, mentre le altre vengono escluse. Prima parlavamo di Battiato: non ho mai sentito tutto ‘sto Battiato in radio, a parte i soliti due o tre soliti singoli che conoscono tutti.

Il nome Controluce ha una qualche connotazione sinestetica?
Devo deluderti, nel senso che ho scelto il nome del disco per ragioni prettamente estetiche. Faccio sempre molta fatica a dare un nome a un gruppo di canzoni, anche perché questo è un disco che ho scritto in 4 anni, attraversando vari periodi. Dovevo trovare un nome abbastanza diretto, ma non mi spingerei oltre.

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