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Ozzy: «Mi rifiuto di morire»

«Non so nemmeno da dove iniziare per farti capire quanto sono messo male». Ozzy Osbourne era convinto di essere finito, ma ha stupito tutti, anche sé stesso. Lo racconta in questa intervista: due ore e mezzo di conversazione, confessioni multiple, 40 anni di matrimonio, incalcolabili litri di alcol, 540 «fuck», un desiderio

Foto: Ross Halfin

Due van color argento s’avvicinano all’ingresso vip dell’Alexander Stadium di Birmingham. «Ma quella non è Sharon Osbourne?», chiede un addetto alla security rivolgendosi a un collega «Credo di sì», risponde l’altro, «ma quindi vuol dire che…».

I van tengono le luci interne spente mentre aspettano che il principe Edoardo conte di Wessex finisca il suo discorso alla cerimonia di chiusura dei Giochi del Commonwealth. I van si avvicinano al palco e i 30mila presenti iniziano a sentire una grancassa che batte il tempo: thump, thump, thump, thump. Una voce familiare grida: «I am Iron Man!» e Tony Iommi dei Black Sabbath esce sul palco. Sono passati 54 anni da quando i Sabbath, tutti originari di Birmingham, hanno evitato il loro destino da operai siderurgici per creare un altro tipo di metallo.

Si apre una botola e una silhouette snella, con le braccia aperte, si solleva fino all’altezza di Iommi. Ordina: «Forza Birmingham, fatevi sentire!». Un faro lo illumina: è il cantante originale dei Sabbath, Ozzy Osbourne, e ha un sorrisetto sornione sul volto. Il pubblico riconosce immediatamente l’eroe locale. Lo stupore si trasforma in un rumore assordante quando la band passa da Iron Man a Paranoid. La performance è stata tenuta segretissima, tanto che perfino il figlio di Ozzy, Louis, che è fra il pubblico, non crede ai suoi occhi vedendo il padre apparire sul palco.

Raggiungo Sharon e Kelly Osbourne in prima fila, nel posto riservato agli atleti ospiti. Sembrano felicissime e ne hanno motivo. Ozzy è appena salito su un palco per la prima volta in tre anni, dopo una serie di guai fisici e interventi chirurgici che hanno fatto temere di non rivederlo più esibirsi dal vivo.

Per diverso tempo la sua salute è parsa precaria. Ma eccolo qui che non perde un colpo e tira fuori le sue frasi tipiche come «let’s go crazy!» e «God bless you all!». Alla fine del pezzo esplodono fuochi d’artificio tutt’intorno e lui grida: «Birmingham forever!».

Le luci si abbassano e la famiglia si dirige verso i van, per dileguarsi.

Osbourne si è appena svegliato quando, il pomeriggio seguente, lo incontro nella lussuosa suite di un hotel londinese. «Mi sa che ero esausto, cazzo, perché non dormo mai così tanto», dice buttandosi su un divano. Si sistema in modo da stare comodo e chiede una Diet Coke.

Indossa abiti casual, una maglietta nera e pantaloni della tuta dello stesso colore. Ozzy, 73 anni, ha smesso di tingersi i capelli durante la pandemia e ora porta la chioma sale e pepe raccolta in un codino. Ha occhiali con lenti porpora, ma quando li abbassa i suoi occhi azzurri sono ancora penetranti. Ogni tanto armeggia con l’apparecchio acustico. Per camminare si aiuta con un bastone da passeggio argentato e s’agita come se fosse in preda al dolore nel corso della due ore e mezzo d’intervista, ma la performance del giorno prima gli ha visibilmente sollevato il morale. È sempre vivace, tira cuscini in giro per la suite e ti fissa dritto negli occhi per sottolineare certe affermazioni. “Fuck” è ancora la sua parola preferita e nelle poche ore che passiamo insieme la usa esattamente 540 volte: in pratica due volte e mezzo al minuto, in una gran varietà di inflessioni e significati.

«Fino a ieri sera ero praticamente in pensione», dice con enfasi. «Per tre anni ho pensato che non sarei mai più tornato su un palco. Mi ero praticamente autoconvinto che la mia carriera fosse finita».

Il calvario di Osbourne è iniziato nel 2018, nel corso di quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo tour mondiale. Ha contratto un’infezione da stafilococco molto pericolosa, probabilmente stringendo le mani di alcuni fan durante un meet and greet: un pollice si è gonfiato come una lampadina. Si è poi ripreso sufficientemente bene da suonare da headliner all’annuale New Year’s Eve Ozzfest, ma poco dopo è caduto mentre era in casa, peggiorando i danni dell’infortunio alla spina dorsale risalente al 2003, quando si è ribaltato col quad. Dopo quel capitombolo, l’Iron Man si è trovato con due placche di metallo nel collo.

Osbourne è stato costretto a rimandare mesi e mesi di date già fissate per sottoporsi a sedute di fisioterapia e a cure per quelli che lui chiama «i nervi strapazzati» del braccio e della gamba. Durante questo percorso riabilitativo ha inciso un album, Ordinary Man del 2020, con le ospitate di Elton John, Slash e Post Malone. Mentre lo stava promuovendo gli è stata diagnosticato il Parkinson. Poi è arrivato il Covid. Ozzy ha scansato la malattia fino allo scorso aprile, ma comunque ha avuto sintomi lievi, anche se da quel momento, dice, i capelli hanno iniziato a cadere e le unghie a spezzarsi. «Non so nemmeno da che parte iniziare, per raccontarti quanto sono messo male», spiega.

A giugno ha subìto un intervento chirurgico che, stando a quanto rivelato da Sharon ai media, avrebbe «influito sul resto della sua vita». Poi le viti delle due placche metalliche piazzate nel collo hanno iniziato a raschiare le vertebre, creando dei residui ossei. «È stato un cazzo di incubo», dice Sharon. Fortunatamente le placche sono state rimosse e Ozzy da allora è stato meglio. Da lì è iniziato il percorso che ha portato all’esibizione di Birmingham. Subito dopo la performance, il cantante ha scritto all’amico Billy Morrison, che suona la chitarra nella band di Billy Idol. «Mi ha scritto: “Giunsi, vidi, vinsi”. E gli ho risposto: “Sapevo che ce l’avresti fatta”».

Quand’è sul palco Ozzy sembra il ritratto dell’autostima, quando non è in scena è il più spietato critico di sé stesso. «Non penso mai di potercela fare», dice. Prima dell’apparizione a Birmingham era preoccupatissimo: «Questi ragazzi non sanno chi cazzo io sia».

In realtà, ha venduto più di 100 milioni di album ed è nella Rock and Roll Hall of Fame con i Black Sabbath. Ha anche stabilito un record mondiale certificato dal Guinness dei Primati per l’urlo più lungo mai fatto da una folla, al Dodger Stadium. Secondo Zakk Wylde, che è stato il suo chitarrista in diverse occasioni, «come frontman è da considerare alla stregua di Sinatra ed Elvis. Nessuno fra i suoi colleghi è come lui. È un grandissimo».

Ora ha anche pubblicato un ottimo nuovo disco, Patient Number 9, a cui hanno partecipato Tony Iommi, Eric Clapton e Jeff Beck, oltre a membri di Metallica, Pearl Jam, Guns N’ Roses e Red Hot Chili Peppers. Il crazy train finalmente sembra essere tornato sui binari.

«Sai che Winston Churchill alloggiava qui?», chiede Osbourne, ammirando gli ornamenti in foglia d’oro sulle pareti della sua suite. Il Claridge’s è stato inaugurato nel 1898 ed è ancora il posto in cui uomini col cappello a cilindro e cappotti pesanti ti aprono la portiera dell’auto. «Sharon adora questo posto», osserva Ozzy.

Dopo l’ultimo intervento chirurgico, quand’era parecchio indebolito, ha detto alla moglie: «Mi dispiace di essere così di peso». Lei gli ha risposto di non dire sciocchezze. «La mia famiglia è stata fantastica, cazzo: i miei figli, mia moglie… sono stati di grande aiuto e pazienti», spiega lui. E lo sono stati anche i suoi amici.

Lo scorso anno Iommi, che vive in Inghilterra, a migliaia di chilometri dagli Osbourne, che stanno a Los Angeles, mi ha detto: «Ci teniamo in contatto, ma non parliamo quasi mai direttamente. Mi telefonava spesso alle 2 del mattino e io gli dovevo dire: “Ozz, sono le 2!”. E lui: “Oh, scusa. Va bene, ciao”. Si dimentica sempre che ora è in Inghilterra e ovviamente quando senti il telefono squillare a quell’ora pensi subito: “Oh, cavolo: è morto qualcuno o è successo qualcosa di grave”. Quindi tendenzialmente ora ci mandiamo dei messaggi».

Oltre a guarire il corpo, Ozzy ha lavorato molto sulla fiducia in sé stesso. A volte dice a Sharon: «Esibirmi è l’unica cosa che ho fatto bene nella mia vita e in cui sono bravo». «Io gli rispondo che non è vero. È molto duro con sé stesso», dice lei.

Ozzy ha incontrato Sharon per la prima volta quando il padre di lei, Don Arden, era il manager dei Sabbath. «Forse ha pensato che io fossi pazzo, me ne stavo lì in piedi con la casacca del pigiama, scalzo…», ha ricordato lui nell’autobiografia del 2009 I Am Ozzy. Sharon ora racconta: «Ho sempre pensato che avesse un bellissimo viso e che di carattere fosse molto diverso da come lo descrivevano. Ma ero un po’ in ansia. Ero abituata a uscire con avvocati e gente dell’industria musicale: lui era diverso e quegli altri per me erano terribilmente noiosi».

Ozzy decisamente non era noioso. E quando, nel 1979, è stato licenziato dai Sabbath a causa della gravità delle sue dipendenze, Sharon ha visto in lui una scintilla e l’ha incoraggiato a tentare la carriera solista, divenendo la sua manager. Ozzy era ancora sposato con la prima moglie, Thelma (da cui aveva avuto tre figli), ma lui e Sharon si sono innamorati.

Con Randy Rhoads. Foto: Chris Walter/WireImage

Ozzy così ha radunato una backing band in cui militava anche Randy Rhoads, il chitarrista dei Quiet Riot con un look glam e un approccio speciale all’heavy metal, ispirato più a Beethoven che ai Sabbath. Insieme, con brani come Crazy Train e Mr. Crowley, hanno gettato le fondamenta su cui si sarebbero basati i successivi 40 anni di carriera di Ozzy: pezzi immediati e dark, melodie solidissime tutte da cantare, assoli di chitarra pazzeschi.

Grazie alla gestione scaltra di Sharon, a hit come Crazy Train e agli assist forniti alla stampa (come quando Ozzy ha staccato la testa a un pipistrello con un morso), ha iniziato a ottenere un certo successo senza i Black Sabbath, che nel frattempo stavano continuando con Ronnie James Dio alla voce. La festa, però, è durata poco: fino al marzo del 1982, quando l’autista del tour bus, durante un day off, ha portato Randy Rhoads e la parrucchiera Rachel Youngblood a fare un volo di prova su un piccolo aereo privato. Ha cercato di volare in cerchio sul bus, ma si è schiantato contro una villa, uccidendo tutti i passeggeri. «Ho partecipato a due cazzo di funerali in una settimana. È stato orribile», dice Osbourne. «Da allora non riesco più ad andare ai funerali. Mi manda fuori di testa. Non sono neppure andato a quelli dei membri della mia famiglia».

Il 4 luglio del 1982, Ozzy e Sharon si sono sposati a Maui, alle Hawaii. Quest’anno hanno festeggiato i 40 anni di matrimonio chiusi in hotel. «Ci siamo divertiti tantissimo, non siamo mai usciti dalla stanza, chiamavamo il servizio in camera e parlavamo delle nostre vite insieme», racconta Sharon. «È stato perfetto per noi».

«Ho regalato un rubino a Sharon, perché sono le nostre nozze di rubino», dice Ozzy. «L’ho pagato un sacco di soldi: 150 mila dollari. E le ho detto: “Mi sa che quei tizi m’hanno fregato. Io non l’avrei pagato nemmeno 70 mila”. Ma i rubini sono molto rari».

Dopo la morte di Rhoads, negli anni ’80 Osbourne ha suonato con i chitarristi Jake E. Lee e Zakk Wylde al suo fianco, mietendo successi su MTV con pezzi come Bark at the Moon e Shot in the Dark. «Mi sentivo come se avessi vinto il concorso più bello di sempre», dice Wylde, che si è unito alla band di Ozzy appena diciannovenne. «Mi pizzicavo per capire se ero sveglio o sognavo».

Nel frattempo, però, i problemi di alcol e droga di Osbourne erano peggiorati di brutto. Mentre parla, accenna un paio di volte alla volta nel 1989 in cui, alterato, ha tentato di strozzare Sharon. «Non è stata una mia idea uscire e farmi qualche drink per poi risvegliarmi in una cella accusato di tentato omicidio», dice pentito.

Sharon ha poi ritirato la denuncia. «L’hanno ricorverato e siamo stati separati per un po’ mentre era in terapia», spiega. «All’inizio Ero sollevata. Dopo un paio di mesi già mi mancava troppo. Ai bambini mancava il padre: “Quando torna a casa papà?”. Mi mancavano lui e la sua pazzia». Così, alla fine, lo ha ripreso in casa.

Osbourne ha messo alla prova il suo matrimonio altre volte. Nel 2013, alla vigilia del primo album di reunion con i Sabbath, ha sviluppato una dipendenza dagli antidolorifici e si è dovuto disintossicare. Nel 2016 ha avuto una relazione con la sua parrucchiera: è poi entrato in terapia per affrontare una dipendenza dal sesso. Il legame con Sharon ha resistito. Gli chiedo com’è che il matrimonio ha retto. Lui scrolla le spalle: «Non lo so, ma ho una brava moglie, credo. Mi ama, io amo lei. Non sono stato un marito perfetto, ma so che lei ha ragione su un sacco di cose, cazzo».

«Sapevo che stavo sposando un alcolizzato», dice Sharon. «Sapevo che sarebbe stato un matrimonio travagliato. Ma abbiamo passato più momenti belli che brutti, quindi non mi pento di nulla. Ho salvato Ozzy e lui ha salvato me».

«Fa caldo qui o cosa? È un inferno», dice Ozzy. «In Inghilterra non c’è il livello dell’aria condizionata dell’America».

Dopo un paio d’ore nella suite al piano terra ci spostiamo nella sua camera, dove Ozzy vuole fare un pisolino. Non si direbbe che è la sua stanza, giacché gli piace viaggiare leggerissimo. La sua filosofia è semplice: «Prendi una borsa e sali in aereo». Ma è fortunato ad avere Sharon e Kelly con lui, oltre a varie persone dello staff che lavora per gli Osbourne. Alcuni di loro mi dicono che sono alle dipendenze della famiglia da oltre dieci anni e non cambierebbero lavoro per nulla al mondo.

Scalzo e supino su un divano di fronte a una finestrella che dà sul quartiere chic di Mayfair, Ozzy si lamenta per l’ondata di calore che sta attanagliando il Paese. «La gente non crede ai cambiamenti climatici. Guarda fuori: è tutto riarso».

Ozzy e Sharon hanno in programma di tornare il prossimo anno a vivere fuori Londra, nella loro proprietà da 350 acri. Il motivo, mi spiega Ozzy, è che vuole stare più vicino alla sua famiglia in Inghilterra ed evitare l’aumento delle tasse che teme si verificherà negli Stati Uniti per aiutare il Paese a rimettersi in sesto dopo la pandemia.

Lo scorso marzo è caduto il ventesimo anniversario degli Osbourne, il reality televisivo che ha piazzato la famiglia di Ozzy davanti agli obiettivi delle telecamere per tre anni, trasformando tutti quanti in superstar. Lui ricorda il momento in cui si è reso contro del successo del programma: «Un giorno stavo viaggiando sulla 405 e ho detto all’autista: “Fermati, quando puoi”. Abbiamo parcheggiato davanti a un vecchio McDonald’s. Sono andato in bagno: non c’era nessuno. Quando sono uscito c’era tutto il cazzo di ristorante nel parcheggio, intorno alla mia auto».

«Sono stati tre anni folli. I miei ragazzi bevevano e si facevano. Io avevo ricominciato a bere, perché quando hai una troupe con le telecamere per 24 ore al giorno in casa dopo un po’ vai fuori di testa». Nonostante le perplessità di Ozzy, la BBC ha annunciato all’inizio di settembre che ci sarà un reboot della serie, quando Ozzy e Sharon si ristabiliranno nella loro proprietà nel Buckinghamshire.

‘Gli Osbourne’. Foto: Michael Yarish/MTV/Getty Images

Riflettendo sull’edizione originale dello show, Ozzy dice di essere molto fiero del modo in cui i suoi figli hanno affrontato la fama portata dalla televisione. Jack ora conduce alcuni programmi e sta producendo un biopic sulla storia d’amore fra mamma e papà (Ozzy dice di volere uno sconosciuto nella sua parte, non «un cazzo di Johnny Depp»). Kelly è stata commentatrice in Fashion Police per diversi anni ed è stata ospite del reality The Masked Singer. La figlia maggiore Aimee, che ha scelto di non comparire nel reality di famiglia, è una musicista synth-wave e ha adottato lo pseudonimo di ARO.

Ozzy è molto colpito dal figlio più grande, Louis, che «fa tutta quella roba da iron man». Ovviamente si riferisce alla disciplina atletica e non all’Iron Man del pezzo dei Black Sabbath: «Pedala per 25 chilometri, nuota per qualcosa come 15 chilometri, poi corre per 30. L’ultima gara è durata 14 ore. E io gli dico sempre: “Louis, per queste cose hanno inventato le cazzo di automobili!”».

Sharon è sempre la stella polare di Ozzy. Il suo più grande timore («la cosa che mi fa andare davvero fuori di testa») è pensare a cosa accadrebbe se Sharon morisse prima di lui. «Per me sarebbe inaccettabile, cazzo», dice sistemandosi meglio sul divano. «Non potrei sopravvivere senza di lei. Lei è tutto. In fondo spero che possiamo andarcene insieme, anche se so bene che le cose non funzionano così. Non so come le persone riescano a superare traumi simili».

Ozzy dice di essere stranamente elettrizzato dal nuovo album. Quando il produttore Andrew Watt gli ha suggerito di chiamare Eric Clapton e Jeff Beck (entrambi hanno suonato in una delle sue band preferite: gli Yardbirds), Ozzy era scettico: «Andrew, penseranno che sono un cazzo di malato di mente. E in effetti è così!». Quando entrambi hanno accettato, Osbourne era incredulo.

Qualche anno fa, Ozzy è andato a vedere Elton John in compagnia di Zakk Wylde. Il chitarrista racconta che «ha snocciolato una hit dopo l’altra. Così gli ho detto: “Anche tu non sei tanto male, fratello”. Lui ha ridacchiato. Non si vede all’altezza dei suoi pari».

Fra gli altri ospiti che hanno suonato in Patient Number 9 ci sono Tony Iommi, Mike McCready dei Pearl Jam, Robert Trujillo dei Metallica e Duff McKagan dei Guns N’ Roses al basso, mentre Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e il compianto Taylor Hawkins dei Foo Fighters siedono entrambi dietro alla batteria. E, nonostante la parata di ospiti, il disco suona Ozzy al 100%.

Sharon ha chiesto al produttore una sola cosa: che Patient Number 9 fosse più heavy di Ordinary Man. Ed è così che Tony Iommi è entrato nel quadro. Quando gli domando di Degradation Rules, uno dei due brani con Iommi alla chitarra, Osbourne risponde: «Lo sai, vero, di cosa si tratta?». E poi con la mano fa il gesto universale che indica la masturbazione. Taylor Hawkins, invece, oltre ad avere suonato la batteria nel brano, ha dato un contributo importante al testo, stando a Ozzy: «Ha avuto l’idea di includere “RedTube rules” in quel pezzo. No, un attimo: è RedTube o BlueTube?».

«Ozzy non sapeva cosa fosse RedTube», dice Watts riferendosi al sito porno. «Ha cantato la frase e Taylor è balzato in piedi gridando: “Sì!”. A Ozzy abbiamo spiegato solo dopo di cosa si trattava: avevamo le lacrime dal ridere». Osbourne è rimasto molto scosso dalla morte improvvisa di Hawkins, lo scorso marzo: «È una cosa tristissima, era un bravo ragazzo».

Cosa rende unico un pezzo di Ozzy, mi domando? «Melodie alla Beatles, ma scure e perverse. Progressioni di accordi malvagi e pesanti», è la risposta di Watts. Per Trujillo, invece, «gli ingredienti sono melodie vocali solide e appassionate, giri di accordi belli e oscuri, riff potenti e un bel groove della sezione ritmica. Tutto questo lo si trova nei classici di Ozzy e dei Sabbath».

Le backing band assemblate da Watts per ogni singolo brano rendono il nuovo album più duro di Ordinary Man, ma senza perdere di vista l’amore di Ozzy per la melodia. L’unico ospite con cui Osbourne ha avuto qualche problema durante la lavorazione è stato Eric Clapton, che ha dato un delizioso tocco bluesy alla ballad One of Those Days. Il ritornello (“È uno di quei giorni in cui non credo in Gesù”) è stato ispirato a Osbourne da una conversazione con Watts a proposito della notizia di una sparatoria in una scuola: è un’affermazione sull’umanità in generale. «Quando ho mandato il pezzo a Clapton lui ha detto: “Non sono molto a mio agio con quelle parole”», ricorda Osbourne. «Abbiamo cercato di cambiare il testo, ma non funzionava: quando incidi qualcosa catturi un momento speciale». Ozzy ha insistito e, alla fine, Clapton ha ceduto.

Ma quella con Clapton non è stata l’unica difficoltà. La salute di Ozzy, specialmente con la pandemia in corso, andava tenuta sotto stretto controllo. «Non era sicuro per lui uscire di casa», dice Watts. «Abbiamo speso centinaia di migliaia di dollari in test per assicurarci che fosse protetto mentre facevamo il disco».

Foto: Nitin Vadukul

Mentre parliamo, Osbourne menziona amici e colleghi che sono morti, spesso a causa del loro alcolismo. John Bonham dei Led Zeppelin una volta l’ha sfidato a una “gara” con 12 bottiglie di champagne e 12 bicchieri grandi di scotch. «Gli ho detto: “Te ne puoi andare affanculo”», ricorda ridendo (Bonham ha resistito solo fino alla quarta bottiglia e al quarto bicchiere, prima di vomitare). E poi c’è Lemmy, che ha colpito Osbourne quando ha bevuto una bottiglia di bourbon al giorno per un mese intero con l’intento di «provarne una di ogni tipo».

Ozzy non sa spiegarsi come sia riuscito a sopravvivere, quando tanti amici non ce l’hanno fatta. Dice il suo caro amico Bill Morrison: «È stato amico e ha lavorato con alcuni degli artisti più grandi degli ultimi 50 anni e la maggior parte ora sono morti. Quando ci pensa gli viene da chiedersi perché invece lui è ancora vivo». Una volta ha fatto l’elenco per il suo dottore di tutte le droghe e gli alcolici che ha bevuto. Il medico gli ha chiesto: «Perché sei ancora vivo?». Osbourne non ha saputo rispondere.

Stando a Sharon, è sobrio da 9 anni. Lui non saprebbe dire da quando è pulito. Ha sempre trovato una scocciatura il metodo degli Alcolisti Anonimi che ti fanno contare i giorni. «Il modo in cui ho affrontato la cosa è stato tipo: se mi avessero amputato una gamba, non vorrei stare in una stanza per il resto dei miei giorni a parlare ad altri di come ho perso l’arto. Bisogna che mi adatti alla nuova condizione e vada avanti così. Ormai non ci penso più. Non bevo e non mi passa nemmeno per la testa. Degli Alcolisti Anonimi ho fatto mio il motto: un bicchiere è troppo e 10 non sono abbastanza» (se la frase vi suona famigliare, in effetti l’ha usata nel pezzo del 1988 Demon Alcohol).

«All’inizio beveva perché era insicuro e lo faceva sentire meglio», dice Sharon. «Gli dava la spinta che gli mancava. Ti si ritorce contro: mentre la dipendenza avanza, le persone diventano cattive, fanno cose brutte e mandano a puttane le proprie vite».

Osbourne dice che ormai sta sempre in casa. E non lo fa per evitare le scocciature causate dalla fama: preferisce rimanere lì a guardare History Channel o passeggiare per le sue proprietà. «Non ho molti amici famosi», dice. «Faccio le mie cose. Non mi piace andare in posti dove vedere altre persone: non bevo, non fumo, non prendo più droghe. Sono un cazzo di tizio noioso».

Sono quasi tre ore che lo intervisto e Osbourne (ancora sul divano) si accorge di avere parlato tantissimo: «Non scriverai un articolo. Sarà una cazzo di enciclopedia». Gli dico che dopo le notizie preoccupanti sulla sua salute, le persone vogliono sapere come sta. Mi risponde: «Sto bene, compatibilmente con la situazione. Se mi avessi visto un anno fa avresti pensato: “No, non ci siamo”. Non potevo muovermi, cazzo, per colpa di quel tizio che mi aveva sbagliato l’operazione». Spiega Sharon: «Intenteremo causa. Non vogliamo che altre persone passino quello che abbiamo passato noi. È un cazzo di incubo. Ma ora siamo qui e le cose vanno meglio».

«Sono stato molto male per un po’», dice Ozzy molto seriamente. Adesso sembra tutto più gestibile: il suo intervento chirurgico pare essere andato per il meglio e il suo Parkinson è sotto controllo, grazie a una pastiglia che prende tre volte al giorno. Non gli resta che rimettersi in forma per fare qualche concerto vero e proprio.

Oltre a tornare sul palco, cosa desidera ancora ancora Ozzy? «Il cavalierato», risponde a bruciapelo, per poi scoppiare a ridere. «Non credo me lo daranno mai. Fanculo quella roba».

Si alza e si dirige verso la camera da letto per rilassarsi. Mentre ci salutiamo, gli domando se si sente mai abbattuto per tutti i problemi di salute che ha o se è carico e determinato a superarli. «Sono come tutti», risponde. «Semplicemente mi rifiuto di morire».

Tradotto da Rolling Stone US.

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