Nel 1978, quando faceva ancora parte dei Black Sabbath, Ozzy Osbourne posò col gruppo per una foto promozionale. Indossava una t-shirt con impresso il logo di una cosa chiamata “Blizzard of Oz”. «Volevo fare un disco solista già quand’ero nei Black Sabbath», spiega oggi il cantante. «E volevo intitolarlo Blizzard of Oz, una cosa tipo il Mago di Oz fatto di coca». Ride. «Eravamo giovani e matti».
Un anno dopo quella fotografia, la band liquidò Osbourne per via dell’abuso di droga e alcol. Aveva 31 anni ed era al verde. Grazie all’incoraggiamento della futura moglie Sharon Arden, che aiutava il padre manager dei Black Sabbath, Osbourne ha messo in piedi una nuova band che comprendeva il prodigioso chitarrista Randy Rhoads, con cui ha registrato il debutto solista, nonché classico metal Blizzard of Ozz. I singoli Crazy Train e Mr. Crowley erano a loro molto ricercati, ma pur sempre heavy e cupi. Ozzy cantava con un senso d’urgenza che mancava agli ultimi dischi del gruppo. Pubblicato in Inghilterra il 20 settembre 1980, raggiunse il numero 7 in classifica. Negli Stati Uniti arrivò nel marzo 1981 e toccò la 21esima posizione. L’album è stato ripubblicato in digitale per il quarantennale, con l’aggiunta di alcuni pezzi dal vivo registrati in tour e un nuovo video animato per Crazy Train.
Oggi Ozzy non sembra più amareggiato per essere stato cacciato da Black Sabbath. «Quella storia era comunque finita», dice. «Qualcuno doveva andarsene. Eravamo stanchi di litigare tutto il tempo con management e case discografiche. Era deprimente e finiva per influenzare negativamente la musica. Sai di avere un problema quando cominci a fare dischi per pagare le parcelle degli avvocati o quelle cazzo di tasse».
Le prospettive di carriera cambiarono radicalmente quando il bassista Dana Strum, poi negli Slaughter, suggerì a Rhoads a fare un’audizione per Osbourne. Da una decina d’anni il chitarrista cercava inutilmente di far decollare il suo gruppo, i Quiet Riot (avrebbero avuto successo solo anni dopo con una cover di Cum on Feel the Noize degli Slade). Suonavano negli stessi club dei Van Halen e Rhoads aveva affinato il suo stile ispirandosi tanto alla musica classica quanto agli Small Faces e ai Dave Clark Five, di cui suonava cover. Le speranze di sfondare erano però poche: i loro due dischi erano stati pubblicati solo in Giappone.
Rhoads aveva otto anni in meno del cantante, eppure i due legarono in tutti i sensi. «Quando facemmo Goodbye to Romance viveva da me», ricorda Osbourne a proposito di Rhoads e della ballata di Blizzard in cui diceva addio ai Sabbath. «Mi disse: “Cos’è questa melodia che hai per le mani? Sai, vero, che è una canzone?”. Io invece credevo che non fosse granché, giusto una melodia che mi girava per la testa. Mi ha detto che avrei dovuto cantarla in un’altra tonalità ed è una cosa che non mi era mai successa. Con i Sabbath si partiva dai riff. “Ok, ecco il riff, ora adesso mettici sopra qualcosa”».
Oltre a Rhoads, Ozzy reclutò Bob Daisley, che aveva suonato il basso nei Rainbow e finì per scrivere gran parte dei testi, e dopo lunghe audizioni il batterista Lee Kerslake, che negli anni ’70 aveva suonato con gli Uriah Heep. L’intesa fra i quattro funzionò perfettamente. «Scrivemmo nel Monmouthshire [in Galles] prima di andare ai Ridge Farm Studio [a sud di Londra]», ricorda Osbourne. «Lee Kerslake è arrivato poco prima di iniziare a registrare e ce la siamo subito spassata. Eravamo tutti fatti di coca e ubriachi, tranne Randy. Lui fumava sigarette e beveva poco».
Osbourne ricorda soprattutto la libertà di fare qualcosa di diverso. «In tutte le band, gli anni migliori sono sempre i primi. Ma quando arrivano il successo e i primi soldi, tutti vanno fuori di testa e cominciano a dire: io ho scritto questo, io ho fatto quest’altro». Sulle session di Blizzard non gravava quest’aria pesante e a Osbourne piaceva fare il capo. «Ero il capitano della nave», ricorda. «Non dovevo farmi domande su quel che sarebbe piaciuto a uno o all’altro. Facevo quel che mi pareva. E Sharon era lì a dirmi quando esageravo».
L’album è una gioia per le orecchie e trasmette il senso di libertà provato da Ozzy e dai suoi: il modo in cui I Don’t Know parte con un gong riversato al contrario; l’eco modello Beatles sulle parole “up up up” alla fine di No Bone Movies; lo slang osceno di Ozzy sull’assolo in Suicide Solution, che verrà scambiata per un invito al suicidio (ci fu anche una causa); l’introduzione di Crazy Train e la parola “egg”, uovo, detta nel fade out da quello che sembra un bambino folle. «Non ricordo chi, ma abbiamo messo qualcuno davanti al microfono. “Non so che dire”. E io: “Che cosa hai mangiato a colazione?”. “Bacon, uova”. “Come?”. “Erano uova!”. Insomma, ci si divertiva».
E poi, dopo aver cantato in una band di alto profilo, a Ozzy piaceva l’assenza di pressione. «L’album avrebbe potuto anche venire fuori uno schifo. Ma sai, chi non rischia non ottiene nulla».
Nel settembre 1980 il gruppo, nascosto dietro al nome The Law, fece un paio di show di riscaldamento prima di fare un vero concerto usando il nome Ozzy Osbourne all’Apollo di Glasgow. «Ero nervoso perché eravamo in Scozia. Lassù devi avere musicisti con le palle. Se quel che non suoni non gli piace, te lo fanno sapere senza tanti giri di parole».
Il nervosismo giocò a loro favore come dimostra una registrazione bootleg del concerto. Introdotto dai Carmina Burana di Carl Orff, la performance inizia col pubblico che invoca Ozzy e con la band che attacca I Don’t Know. Osbourne sembra rinato. Rhoads piazza un improvvisazione incredibile prima di Crazy Train che sfocia nel riff della canzone. «Era pazzesco», ricorda Sharon. «Li avevo già visti provare e nei due concerti nei club, ma vederli lì, di fronte ai fan di Ozzy, è stato qualcosa di eccitante, di magico».
Blizzard of Ozz ha avuto un tale successo da convincere l’etichetta a chiudere nuovamente in studio Ozzy e i suoi per registrare un nuovo album, pochi mesi dopo. Pubblicato nel 1981, Diary of a Madman teneva il passo di Blizzard of Ozz, ma gli arrangiamenti di Over the Mountain, Diary of a Madman o Flying High Again erano più complessi. In classifica, l’album andò persino meglio del precedente.
Rhoads non ha più inciso dischi con Osbourne: è morto nel marzo 1982 in un incidente aereo durante una giornata libera del tour di Diary. Il cantante non ha mai smesso di ripensare a quella tragedia e al chitarrista – «era fenomenale», dice oggi – ma ha continuato a suonare prima con l’aiuto del chitarrista Bernie Tormé, poi di Brad Gillis dei Night Ranger. Pur attraversando un brutto periodo, come mostra la apparizione allo show di David Letterman pochi giorni dopo la morte di Rhoads, Osbourne ha tirato dritto per la sua strada.
Le musiche scritte con Rhoads in quei due anni hanno posto le basi per uno dei ritorni più clamorosi nella storia del rock. L’eco della collaborazione col chitarrista e delle canzoni di Blizzard è percepibile in tutta la carriera del cantante. Una metà di quei pezzi sono fissi nella scaletta dei concerti di Osbourne, che oggi riguarda indietro con piacere a quel periodo, quando sembrava che potesse finalmente riconquistare il mondo.
«È stato grandioso, ma sono passati tanti anni. Sono 40 anni e sono andati via in fretta. Mai visti 40 anni volare così».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.